Mantelli Carla
Un cuore ardente di amore
2020/7, p. 22
Il cuore della sua spiritualità sta nell’aver voluto farsi radicalmente dono per gli altri abbandonandosi senza riserve alla volontà di Dio. Da questo cuore ardente è nato l’Istituto delle Suore Missionarie Saveriane, presente oggi in Africa, Americhe e in Asia. Dichiarata Venerabile da papa Francesco.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
CELESTINA BOTTEGO FONDATRICE DELLE SAVERIANE
Un cuore ardente di amore
Il cuore della sua spiritualità sta nell’aver voluto farsi radicalmente dono per gli altri abbandonandosi senza riserve alla volontà di Dio. Da questo cuore ardente è nato l’Istituto delle Suore Missionarie Saveriane, presente oggi in Africa, Americhe e in Asia. Dichiarata Venerabile da papa Francesco.
La Congregazione, sorta a Parma nell’immediato secondo dopoguerra, realizzava il sogno espresso vent’anni prima dal fondatore dei Missionari Saveriani, san Guido Maria Conforti (vedi Testimoni, n. 4/2020).
Con il riconoscimento delle virtù eroiche, nel 2013, Celestina Bottego è stata dichiarata “Venerabile” e quindi, come ricorda Giordana Bertacchini, attuale Direttrice generale delle Missionarie di Maria-Saveriane, la Chiesa ha indicato in lei «un modello di vita cristiana per tutti». Ecco perché le sue “figlie” hanno affidato a una studiosa laica, Rita Torti, una nuova biografia della Madre. Biografia che va a integrare felicemente altri lavori precedenti sottolineando il contesto esistenziale e storico in cui si sviluppa la scelta/risposta di Celestina, esplicitando le dinamiche di genere che segnano la trama delle sue relazioni, non tacendo delle difficoltà e tensioni che accompagnano ogni esperienza umana, anche quella più intrisa di santità. Restituendocela dunque come vero modello perché, in qualche modo, imitabile, non troppo lontana dalla vita di donne e uomini “normali”.
Il libro “Mite è la forza”
Il bel libro di Rita Torti, MITE È LA FORZA. Celestina Bottego: la Sjorén’na di San Lazzaro Parmense, fondatrice delle Missionarie di Maria-Saveriane (EMI 2020, pp.244, euro 14), dopo la citata introduzione di Giordana Bertacchini e la prefazione di Matteo Truffelli, presidente nazionale di Azione Cattolica, si apre con un’immagine inconsueta: «Sorretto da alcune donne il feretro era uscito da una grande casa nel quartiere S. Lazzaro, alla periferia orientale della città. Tante persone lungo le strade percorse dal carro funebre scortato dai vigili urbani in motocicletta e diretto in Piazza duomo, tantissime quelle che parteciparono alle esequie in un clima di forte commozione e che al termine della liturgia si sciolsero in un lungo e intenso applauso mentre la bara usciva dalla cattedrale, di nuovo portata a spalla da quelle donne».
Di solito le bare sono portate a spalla da uomini. Ma Celestina poteva essere portata a spalla solo dalle sue “figlie”, donne che lei aveva generato a una nuova vita in Cristo e aveva reso forti per annunciare al mondo il Vangelo.
Mi pare che questa immagine si presti bene a simboleggiare un aspetto essenziale della vicenda di Celestina: il suo essere inserita in una genealogia di donne dalle quali ha ricevuto in dono valori, esempi di vita cristiana, straordinarie competenze relazionali. E alle quali ha donato ascolto, incoraggiamento, amicizia, luminosa testimonianza di fede e per le quali è stata una vera direttrice spirituale.
Con prosa leggera e precisa l’autrice ci conduce per mano attraverso l’infanzia e l’adolescenza della Bottego, caratterizzate dal rapporto strettissimo con la madre, che vive diversi anni sola con la figlia negli Stati Uniti mentre il marito con il resto della famiglia è in Italia. In questi anni americani la futura fondatrice delle Saveriane avrà modo di conoscere alcune suore che susciteranno in lei grande ammirazione per la fede, la dedizione agli altri e l’apertura mentale che manifestavano. Conosce anche bambine protestanti, e proprio nella comunità che frequentava con loro, dichiarò in seguito, riceve «la prima istruzione religiosa e il contatto con Gesù».
Gli anni della giovinezza
Quando, ormai quindicenne, arrivò a San Lazzaro Parmense con la madre, instaurò un rapporto molto bello con la sorella Maria (che poi entrò nelle Francescane Missionarie di Maria), di cui scrisse: «È stata per me sempre più un’amica che una sorella e mi ha aiutato molto nella formazione più di ogni altra persona». Ben presto partecipa alla fondazione in diocesi della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, che proprio all’inizio degli anni Venti diede un formidabile impulso all’apostolato femminile.
Ma non si può certo dire che nella vita di Celestina non abbiano contato gli uomini: fu il parroco di S. Patrick a Butte in Montana (USA) che la preparò ai sacramenti della Comunione e della Cresima che lei visse con grande intensità. Negli anni cruciali della sua giovinezza, poi, fu l’abate Emanuele Caronti a farle da direttore spirituale, e fu sotto la sua guida che si fece oblata secolare benedettina. Per l’occasione scelse il nome di Geltrude, una mistica del XIII secolo forte, decisa, dotata di intelligenza e cultura fuori dal comune che Celestina scelse come modello per il suo impegno a non fare affidamento sulle proprie doti ma sull’abbandono totale alla volontà del Signore.
Sta qui, mi pare, il cuore della spiritualità di Celestina: vuole donarsi completamente, farsi radicalmente dono per gli altri abbandonandosi senza riserve alla volontà di Dio. Teme sempre di restare legata a qualche sicurezza mondana, a qualche progetto proprio. Per tutta la vita cerca di vincere questa tentazione per essere libera di camminare spedita lungo la strada che Dio le indica e non per quella che a lei appare più piacevole, comoda o gratificante.
È questa libertà radicale che cerca quando scarta la via del convento: «ogni volta che andavo a visitarne uno mi sembrava di non respirare». Ed è rispondendo a questa vocazione di libertà radicale che accetta la proposta di fondare il ramo femminile dei Saveriani presentatole dal brillante e colto padre Giacomo Spagnolo, l’uomo di fede, l’amico, il padre, qualche volta l’antagonista... che rivestì un’importanza fondamentale nella sua vita accompagnandola nel suo ultimo “sì” alla volontà del Signore.
La nascita dell’Istituto
Quando nel 1943 padre Spagnolo propose a Celestina di fondare quelle che poi furono chiamate Missionarie di Maria, lei si oppose fermamente. Aveva da tempo trovato la propria vocazione: sostenuta da un’intensa vita spirituale, era contenta del suo lavoro di insegnante di inglese e dedicava gran parte del suo tempo alla cura materiale e spirituale dei poveri, all’apostolato e alla catechesi. Ma lui fu paziente e tenace. La convinse che quella era la volontà di Dio e lei si convinse che doveva abbandonarsi. Non obbedì a padre Spagnolo, pronunciò il suo “fiat” al Signore che attraverso Spagnolo la chiamava: «Ecce ancilla Domini», scrisse il 24 maggio 1944. Aveva quasi 50 anni, poteva ritenersi “arrivata” e invece si rimise in gioco, disposta a cominciare una nuova vita.
Decise che il modello della nascente Congregazione sarebbe stata Maria di Nazareth, alla quale associava le qualità dell’umiltà, della semplicità e del silenzio. Ma esattamente come in Maria, anche per lei esse significavano libertà di seguire sempre e solo la volontà del Signore e, quando necessario, prendere la parola con autorevolezza. Certo, come Maria, Celestina non ha per nulla chiaro in che cosa consisterà il suo compito, non ha in testa un progetto preciso, e nemmeno padre Spagnolo ce l’ha. Insieme, piano piano, danno inizio a un’esperienza che andrà precisando i contorni con il tempo, non senza incertezze e qualche tensione.
Intanto la comunità si forma e si ingrandisce, poi le sorelle cominciano a partire per le terre di missione. Celestina è per loro una madre spirituale e una madre educatrice: un ruolo che esercita anche nei confronti di molte altre persone che incontra sul suo cammino. La tormentata figlia di un’amica racconta per esempio: «Riuscivo a parlare con lei con molta facilità, intimità e confidenza estrema. Mi metteva a mio agio, e non esistevano barriere, né differenze di età, né altro. Molto, molto meglio di un confessore o di un padre spirituale. Non è possibile farne il paragone! L’anima che incontravo non aveva legacci, era libera, senza limiti o remore imposte dall’educazione, dal contesto sociale o da altro, e mi faceva sentire libera. Andava all’essenza delle cose o dei fatti; sapeva anche essere severa, ma sempre riusciva a indicarti la strada giusta e che “lo Spirito Santo scenda su di noi».
Voleva suore con una solida formazione
Desiderava che le sue “figlie” avessero una solida formazione spirituale e fossero mature e formate come donne”; come missionarie, voleva che imparassero ad ascoltare e rispettare ogni persona e ogni cultura cercando di inserirsi al meglio nel nuovo mondo in cui si trovavano a vivere. Anche se sapeva bene che la missione è innanzitutto un’opera di Dio.
Questo impegnativo ruolo di guida di una nuova Congregazione non impediva a Celestina di continuare ad aprire le porte della sua casa di San Lazzaro Parmense, diventata ormai Casa madre, a quei poveri – di beni materiali o immateriali – che erano stati sempre al centro del suo cuore e che, al pari di tutte le persone che la frequentavano, la consideravano una santa: sempre capace di dare attenzione amorosa a ciascuno e ciascuna, di trasmettere serenità, speranza, coraggio.
Fin dall’inizio padre Spagnolo frequentò assiduamente la Casa madre accompagnando la crescita della giovane Congregazione, amato e stimato da tutte. Anche da Celestina, con la quale tuttavia si manifestarono divergenze originate sia dalla differenza di carattere e di esperienza che da un contesto in cui la concezione dei rapporti tra uomini e donne e tra clero e laici rendeva assai difficile uno scambio alla pari. Nonostante le sofferenze, la loro fitta corrispondenza testimonia un rapporto di profonda stima reciproca e una volontà incrollabile da parte di entrambi di condividere il cammino intrapreso.
Nel 1966, in occasione del primo Capitolo generale, Celestina si fece da parte e la direzione fu affidata a un’altra sorella. Ma fino alla fine rimase la “Madre”. E lo è ancora, per tutte le Saveriane che continuano a partire per luoghi lontani pur avendo ben compreso che la vita missionaria, come diceva la loro fondatrice, è un modo di stare al mondo e di essere credenti: se non si è missionarie vicino a casa, sarà difficile esserlo in terre lontane.
Una storia semplice e avvincente quella di Celestina Bottego, raccontata da Rita Torti con delicatezza e verità, una storia che ha ancora molto da dire sulle dinamiche ecclesiali, la “Chiesa in uscita” e la dialettica tra narrazione e realtà nelle relazioni di genere.
Carla Mantelli