Ferrari Gabriele
Incoscienza e volontà di potenza
2020/7, p. 8
I vescovi, e non solo, hanno denunciato “molte irregolarità”, circa una decina, per quanto concerne la libertà e la trasparenza del processo elettorale e si domandano se queste irregolarità non pregiudichino i risultati.

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LE ELEZIONI IN BURUNDI
Incoscienza e volontà di potenza
I vescovi, e non solo, hanno denunciato “molte irregolarità”, circa una decina, per quanto concerne la libertà e la trasparenza del processo elettorale e si domandano se queste irregolarità non pregiudichino i risultati.
Mentre in Italia la crisi ormai globale del coronavirus sembra finalmente rallentare e forse esaurirsi, è normale guardare all’Africa e all’America Latina domandandosi quale sia l’andamento del contagio in quei continenti.
Interrogativi sul contagio del coronavirus
Le notizie dell’Africa sono molto frammentarie tanto che viene spontaneo il sospetto che si voglia nascondere l’entità e la diffusione del contagio. In Burundi ad esempio, il Covid-19 c’è senza dubbio, ma si dice che sia ridotto a poco rispetto all’estensione del contagio in Europa e in America Latina. Sarebbe bello poter credere a questa affermazione, ma non è possibile. I casi ufficialmente accertati di coronavirus in Burundi, un Paese di 7 milioni di abitanti, sono 42! Una cifra che nessuno ritiene attendibile mentre la gente locale sa che i casi sono molti di più e molto più alto è il numero delle vittime del contagio, curate – quando lo sono – come casi di normale influenza stagionale o al massimo di malaria. Quanta gente sarà morta sulle colline senza che neppure si sia tentato di curarli? In Burundi, dove non c’è un sistema sanitario nazionale, non si sono fatti che pochi tamponi, neppure nel miglior ospedale della Capitale, perché le autorità non hanno permesso l’importazione dei reagenti necessari per farli, dichiarandoli non necessari dato che “nel paese non c’è la pandemia”. Affermazioni che fanno inorridire chi le viene a sapere e che fanno sospettare una politica di …sfoltimento della popolazione. Così pure per le necessarie precauzioni e le disposizioni per evitare il contagio: “Si fa qualche cosa tanto perché non si dica che non si fa nulla, quando altrove ci sono norme draconiane per evitare il diffondersi della pandemia. Qui sembra che tutto questo si faccia tanto per assomigliare in qualche misura ai paesi che hanno vissuto e stanno ancora vivendo questa tragedia”, scrive un missionario. Tanto per l’epidemia, come per l’esito delle ultime elezioni e la loro contestazione, commenta ancora lo stesso,“silenzio assoluto. Tutto è chiuso: frontiere con il Rwanda, Tanzania e RDC Congo, aeroporto chiuso da quasi due mesi e non si sa fino a quando... La gente soffre e i prezzi delle cose più elementari sono ormai alle stelle. Che il buon Dio ce la mandi buona”.
Le elezioni presidenziali e legislative
In questo contesto si sono svolte le elezioni presidenziali e legislative il 20 maggio u.s. delle quali si parlava ormai da più di un anno. A tutti è sembrata una scelta di tempo sbagliata, segno di volontà di potenza e di scarsa attenzione per la salute della gente. Si trattava di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica dopo il lungo mandato di Pierre Nkurunziza al potere dal 2005. Questi aveva fatto sapere da tempo che non si sarebbe presentato per un ulteriore mandato, ma si è preparato il successore, il generale Evariste Ndayishimiye. Questi, candidato del partito di governo CNDD-FDD ha vinto con il 68,72% contro il 24,19% ottenuto da Agathon Rwasa, candidato del CNL e suo principale sfidante nella competizione. Questi sono i dati forniti dal Comitato elettorale nazionale indipendente (CENI) che indipendente è…per modo di dire.
Il partito di Rwasa ha subito contestato il risultato delle elezioni, parlando di “mascherata elettorale” e di “scrutinio non credibile”, dato che, secondo i conteggi fatti dal partito di Agathon Rwasa, il CNL ha ottenuto il 58,98% dei voti contro il 34,63% del CNDD-FDD. Per questo il partito di Rwasa ha annunciato ricorso alla Corte costituzionale e denunciato l’arresto arbitrario di centinaia di suoi membri, sia durante la campagna elettorale che durante le operazioni di voto e di conteggio. Contestualmente alle presidenziali, mercoledì scorso si sono tenute in Burundi anche le legislative nelle quali il partito di governo ha superato la maggioranza assoluta (68% dei voti). Se la Corte respingerà (come è facile prevedere) il ricorso dell’opposizione, il 52enne Ndayishimiye ad agosto inizierà il suo mandato, rinnovabile solo una volta.
Evariste Ndayishimiye succede dunque a Pierre Nkurunziza, che dopo 15 anni di presidenza non si è ricandidato ma rimarrà comunque una figura chiave nell’amministrazione e nella politica del Paese, perché è stato proclamato “suprema guida al patriottismo”. Questa nomina impone di consultarlo per tutte le questioni di rilevanza nazionale. Nel 2015 l’annuncio di Nkurunziza di volersi candidare per un terzo mandato aveva provocato una profonda crisi politica con oltre mille morti e la fuga di 40 mila persone. A Nkurunziza va riconosciuto il merito di aver concluso la lunga guerra civile che dal 1993 aveva insanguinato il Paese, ma con la terza candidatura alla presidenza ha dimostrato di essere attaccato al potere al quale non rinuncia neanche ora, anche se sembra aver fatto un passo indietro, ritagliandosi però una figura di «padre nobile» della Repubblica, con la quale avrà quindi una tale influenza sul nuovo presidente da renderne pleonastica o solo formale la figura istituzionale del nuovo Presidente Ndayishimiye.
La reazione nel Paese?
Scrive un osservatore: “Nessuna sorpresa e nessuna reazione. Silenzio assoluto. Nessun commento e un solo invito a chi non accetta i risultati di rivolgersi agli uffici competenti”. Non è necessario ricordare qui le minacce e le violenze che hanno preceduto e accompagnato queste elezioni. “Niente di nuovo sotto il sole di un regime che, guardando il grado di simpatia o meglio di antipatia che gode riesce a superare anche quello riservato a Buyoya”, dice lo stesso osservatore politico. Alla gente semplice, ancora una volta presa in giro, resta solo il silenzio e il tempo per leccarsi le ferite procurate da coloro che hanno abbracciato il regime usando la violenza fisica e verbale, persone della stessa etnia, che hanno frequentato gruppi di azione cattolica e vanno ancora in chiesa, abitano gli stessi quartieri o sulle medesime colline, che sono magari parenti o addirittura fratelli di sangue. Sono centinaia le persone imprigionate per motivi politici e chi potrà dire di sapere quante sono di fatto? Così è difficile predire se ci saranno strascichi... Qualcuno avrà il coraggio di ripetere o anche solo ricordare il coraggioso messaggio pre-elettorale dei vescovi burundesi?
I quali vescovi, dopo aver conosciuto l’esito delle elezioni, hanno avuto il coraggio di parlare chiaro. Il 26 maggio hanno emesso un comunicato in cui parlano dei 2716 osservatori designati dalla Conferenza episcopale del Paese, sulla scorta dei quali concludono che “le elezioni si sono svolte in generale nella calma”, ma denunciano “molte irregolarità per quanto concerne la libertà e la trasparenza del processo elettorale, come pure per quanto concerne l’equità del trattamento dei candidati e degli elettori, elementi che dovrebbero caratterizzare elezioni veramente democratiche”. Di seguito i vescovi presentano una lista di dieci irregolarità constatate dagli osservatori e concludono domandandosi “se queste irregolarità non pregiudichino i risultati che devono essere proclamati” (lo saranno il 4 luglio p.v.). Condannano inoltre tutte le ingiustizie e ogni ricorso alla violenza invitando chi si sente ingiustamente trattato a ricorrere alle legittime istanze. Il comunicato si conclude con un “appello rivolto alla popolazione a porre la propria fiducia nel Signore che rimane l’unico Signore della storia e a mantenere la calma”.
Gabriele Ferrari s.x.