Prezzi Lorenzo
La prova e il discernimento
2020/7, p. 1
La Chiesa e la vita consacrata hanno bisogno che Bose continui il suo cammino. Il senso e la fatica dell’allontanamento del fondatore (E. Bianchi) e di altri. Cronaca, commenti, discussioni e attese.

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Testimoni
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COMUNITÀ MONASTICA DI BOSE
La prova e il discernimento
La Chiesa e la vita consacrata hanno bisogno che Bose continui il suo cammino. Il senso e la fatica dell’allontanamento del fondatore (E. Bianchi) e di altri. Cronaca, commenti, discussioni e attese.
Fra i religiosi e religiose italiani – provati, come tutti, dal confinamento della pandemia e dalle sue conseguenze (cf. la lettera di sr. Margron su Testimoni di giugno e la testimonianza che riportiamo a p. 13) – la tensione esplosa nella comunità monastica di Bose ha costituito un vero terremoto interiore. Più che uno scandalo (non ci sono elementi dottrinali o disciplinari), essa rappresenta una ferita nel cuore di un patrimonio spirituale condiviso. Il comunicato del 1 giugno in cui la comunità annuncia l’obbedienza dei tre fratelli (il fondatore Enzo Bianchi, Goffredo Boselli, Lino Breda) e una sorella (Antonella Casiraghi) alle indicazioni della Santa Sede in ordine alla loro separazione dalla comunità e alla decadenza dagli incarichi ricoperti, ha rappresentato un sospiro di sollievo, anche se il processo di ripartenza chiederà tempo. Il racconto degli eventi può partire dai fatti per allargarsi ai commenti e alle attese.
La visita canonica
Il 26 maggio il delegato pontificio, p. Amedeo Cencini, accompagnato da mons. J.R Carballo, segretario del dicastero per i religiosi, e da mons. M. Arnolfo, arcivescovo metropolita di Vercelli, presentano ai quattro interessati e successivamente alla comunità le disposizioni del decreto firmato dal segretario di Stato, card. P. Parolin e approvato in forma specifica da papa Francesco. È la conclusione di una visita canonica dal 6 dicembre 2019 al 6 gennaio 2020 in cui tre visitatori (l’abate Guillermo Leon Arboleda Tamayo, la badessa M. Anne-Emmanuelle Devéche e p. Amedeo Cencini) hanno ascoltato tutti i fratelli e le sorelle. In particolare sui problemi connessi a «l’esercizio dell’autorità del fondatore, la gestione del governo e il clima fraterno». La comunità aveva dato notizia della visita indicandola come «opportunità preziosa di ascolto e dialogo», «segno di vicinanza e sollecitudine paterna» da parte del Papa. Dei quattro interessati solo fr. Lino Breda acconsente immediatamente, mentre gli altri tre resistono. Il 27 maggio fr. Enzo Bianchi afferma: «Invano a chi ci ha consegnato il decreto abbiamo chiesto che ci fosse permesso di conoscere le prove delle nostre mancanze e di poterci difendere da false accuse … In quanto fondatore, oltre tre anni fa ho dato liberamente le dimissioni da priore, ma comprendo che la mia presenza possa essere stata un problema. Mai però ho contestato con parole o fatti l’autorità del legittimo priore, Luciano Manicardi, un mio collaboratore stretto per più di vent’anni, quale maestro dei novizi e vice priore della comunità, che ha condiviso con me in piena comunione decisioni e responsabilità». E sui social scrive: «Certi tratti della nostra vita vissuta appaiono meteore: non comprendiamo perché le tenebre le hanno sopraffatte».
La reazione della comunità è intuibile nell’omelia del priore per la festa della Pentecoste, quindi prima della decisione dei “resistenti”. Commentando Gv 20,20-22 egli diceva: «Questa comunità (dei discepoli) che, come sempre ogni comunità, è una povera comunità che vive una comunione ferita, che ha conosciuto lacerazioni e impara dal Crocifisso risorto che le ferite possono divenire le feritoie attraverso cui passa il dono vivificante, il dono dell’amore. Il corpo ferito e risorto di Gesù è per i discepoli, memoria della storia d’amore vissuta insieme, è attualizzazione di tale storia non interrotta dalla morte, ed è donazione di futuro per continuare una storia di amore (Gesù dona loro lo Spirito). Proprio come lo è l’eucaristia. E aggiunge: «Perdonare è donare attraverso le ferite ricevute, è fare del male subìto l’occasione di un gesto di amore, è creare pace con una sovrabbondanza di amore che vince l’odio e la violenza sofferti». In uno scritto agli amici della comunità ricorda i «giorni difficili», le «crisi personali» e il «discernimento problematico» invitando, sulla scorta della regola, alla preghiera. L’accettazione delle disposizioni vaticane da parte degli interessati sembra chiudere positivamente il momento più duro.
Concilio e monachesimo
Nel 2014 ci fu una prima visita canonica, chiesta dall’allora priore Enzo Bianchi. L’igumeno di Grottaferrata, p. Michel Van Parys e la badessa Anne-Emmanuelle Devéche fra gennaio e maggio ascoltarono tutti lasciando alcune indicazioni come la vigilanza sull’uso della parola, il discernimento comunitario (una autorità «non autoritaria, ma trasparente e sinodale»), un nuovo statuto per regolamentare il rapporto fra Bose e le altre fraternità, oltre che qualche indicazione sul percorso formativo. Suggerimenti comprensibili per una comunità che, nata nel 1965, si era molto sviluppata. La regola viene approvata nel 1973, nel 2001 diventa associazione privata di fedeli. Oggi i fratelli e le sorelle sono 86. Quattro le fraternità: Ostuni, Cellole (Volterra), Civitella (Civita Castellana), Assisi. Un centinaio di giovani hanno avviato negli anni il percorso formativo. Gli ospiti negli ultimi lustri sono computati sui 15.000 all’anno. È la presenza monastica attualmente più nota del paese.
Scrivere sul post-concilio in Italia non sarà possibile senza incrociarla. Dalla formazione cristiana per molte generazioni giovanili alla riscoperta del monachesimo, dalla cura liturgica (la comunità ha un ritmo e testi propri per la preghiera delle ore) alla riflessione teologica (alimentata anche dell’editrice Qiqajon), dalla coltivazione estetica (musica, architettura, arte sacra) all’annuncio dentro la cultura contemporanea, dalla pratica del “monastero doppio” (uomini e donne) all’interlocuzione con l’intelligenza laica, dalla fedeltà al Concilio alla pratica ecumenica (protestanti, anglicani, ortodossi), dalla presenza sui media (affidata in particolare a fr. Bianchi, che firma un pregevole articolo a p. 19) alla critica sociale in nome della «differenza cristiana»: tutto questo sarà necessario tenere presente in ordine a una valutazione complessiva. Fra le numerosissime testimonianze e commenti accenno ad alcuni. La pastora evangelica Lidia Maggi interpreta l’affetto e la vicinanza di molti: «La comunità di Bose non rappresenta per me l’incontro con l’esotico (con quella dimensione monastica che le Chiese della riforma hanno per lo più espulso dal loro orizzonte) o con una risorsa utile per coltivare lo spirito ecumenico. Più radicalmente, la forma della fede vissuta a Bose, mi ha interpellata nella mia identità più profonda, a proposito di quel marcatore identitario che caratterizza il cristianesimo riformato, ovvero la centralità della Parola». E conclude: «Per tutto questo sento Bose come parte del mio corpo. Per questo la sua ferita è la mia». Un altro pastore, Fulvio Ferrario, riflette sul tema dell’obbedienza richiesta alla Chiesa cattolica interrogandosi sull’amore che in essa si manifesta, pur nel dubbio di «una sublimazione mistica».
Fede vissuta e ardire del pensiero
Approcci marcatamente critici verso i provvedimenti vaticani e poco rispettosi verso i fratelli e le sorelle della comunità sono invece quelli di G. Ruggieri e A. Melloni. Il primo scrive: «Hanno ucciso il padre mediante interposta persona … Enzo è il fondatore, quella è una sua creatura. È impossibile pensare Bose senza Bianchi». Melloni parla ironicamente di «reato di caratteraccio» e di «faida vaticana contro Francesco». Una operazione «che infilza l’anomalia di Bose, il priore, l’ex-priore, il mancato priore, l’ecumenismo, la terza loggia vaticana, i vescovi italiani, un lembo della tonaca del papa». Tutt’altra lettura e un invito all’obbedienza sono invece presenti nelle parole di Raniero La Valle e p. Bartolomeo Sorge. La Valle afferma che «non c’è nessuna intenzione punitiva o di repressione nei confronti di Bose. Papa Francesco ha sempre apprezzato il cammino intrapreso dalla comunità piemontese. Se si è resa necessaria una decisione come quella che ci ha addolorato evidentemente non è per porre fine o stroncare questo carisma, ma per difenderlo, preservarlo e farlo crescere». Per Sorge «a questo punto Enzo Bianchi deve accettare con amore la sofferenza della prova. La ribellione e la resistenza sarebbero un errore fatale perché in questi casi si accetta la croce anche senza capirne le ragioni».
Molte le voci sulle attese che insistono sulla continuità e originalità della comunità. Per M. Faggioli «L’intervento potrebbe rafforzare il carisma di Bose o forse è il primo passo da parte dell’autorità ecclesiastica centrale di Roma per riconoscere formalmente Bose … Ma potrebbe anche indebolire la specificità e l’unicità di Bose agli occhi dei cattolici e dei partner ecumenici della comunità». Per R. Larini: «Un dato importante è che è in gioco una testimonianza cristiana sui generis di cui il mondo ha un enorme bisogno, Bose è un esempio straordinario di come lo studio, la conoscenza, la profondità e l’ardire del pensiero siano compatibili con la fede cristiana, e anzi la rafforzino. È un laboratorio che ha dato chiara prova, nel corso degli anni, di un eccezionale equilibrio, senza mai ricorrere a cliché, senza utilizzare dogmatismi». Secondo p. C. Monge l’istituzionalizzazione minima non dovrebbe penalizzare l’intuizione ecumenica, «dovrebbe venire da uno statuto giuridico approvato ecumenicamente dalle diverse confessioni cristiane» a cui il Papa potrebbe essere pronto, mentre altri no. «È sfuggito a tutti gli attori – annota L. Guerzoni – che Bose, per l’unicità del carisma che ha storicamente incarnato nella Chiesa post-conciliare è da considerare alla stregua di un “bene comune ecclesiale”, cioè di tutti i fedeli, della Chiesa e dell’intera cristianità».
Riconoscimento e statuti
Mentre si avvia con fatica a soluzione il contenzioso, la comunità viene confermata nel suo cammino e nella sua identità, voluta dal fondatore, ma è anche resa possibile una evoluzione. Accenno solo a due elementi: l’identità monastica e il tema dell’obbedienza. Bose canonicamente è un’associazione privata di fedeli, non è censita all’Ordo monasticum. Con genialità si è imposta per quello che è. Si è sempre considerata tuttavia comunità monastica e i suoi membri sono monaci e monache. La presentazione a Bose del decreto è avvenuta con la presenza di mons. Carballo, segretario del dicastero dei religiosi. Questo fa presumere un cammino di riconoscimento formale, che non richiede di per sé la rinuncia a nessuna delle particolarità di Bose: dalla liturgia al “doppio monastero”, dalla regola alla dimensione ecumenica. Se così fosse, la corrente monastica occidentale e benedettina sarebbe arricchita dal flusso delle memorie basiliane e del monachesimo pre-benedettino. Fra le sue caratteristiche si può ricordare: la centralità e la signoria della Parola, l’unicità della vocazione cristiana, la dimensione non clericale, la preminenza del binomio “celibato – vita comune” rispetto al trinomio dei voti (povertà, castità, obbedienza).
A Bose l’obbedienza è verso la comunità piuttosto che al priore. Anche questo è un portato della tradizione basiliana che affida al responsabile un compito di amalgama e di fedeltà al Vangelo piuttosto che un profilo di autorità vincolante. L’autorità è occasione di obbedienza a Dio. Coerentemente si sono sviluppati gli organismi interni: il priore, il consiglio della comunità (i monaci e le monache che hanno fatto professione monastica), il «discretorio» (una struttura più snella per i casi personali), il capitolo (tutti quelli accolti liturgicamente in comunità) e l’assemblea (tutti quelli che hanno ricevuto l’abito). I fatti recenti mostrano che un affinamento del tema è possibile e prezioso.
Le indicazioni del decreto della Santa Sede, l’indirizzo largamente prevalente della comunità e il gesto di obbedienza degli interessati convergono nel dare futuro a una comunità monastica, formata da cristiani chiamati a vivere radicalmente l’Evangelo nella vita comune e nel celibato. Comunità mista (uomini e donne) e interconfessionale. Un dono prezioso per tutti.
Lorenzo Prezzi