Esposito Bruno
Un Ordine nato in un’osteria
2020/6, p. 32
Un incontro casuale diventato momento di grazia. Toccato dalla compassione per le anime vittime dell’errore, Domenico intuisce che nel cuore degli uomini ci sono le stesse attese e le medesime speranze di amore. Da qui nasce un Ordine che coniuga insieme vita contemplativa e vita attiva.

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Testimoni
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I DOMENICANI
Un Ordine nato in un’osteria
Un incontro casuale diventato momento di grazia. Toccato dalla compassione per le anime vittime dell’errore, Domenico intuisce che nel cuore degli uomini ci sono le stesse attese e le medesime speranze di amore. Da qui nasce un Ordine che coniuga insieme vita contemplativa e vita attiva.
Premetto subito che l’origine di questo titolo è nato da un incontro particolare con un laico domenicano; questo perché non si pensi a una mancanza di rispetto e irriverenza verso san Domenico di Guzman (Calaruega 1170-Bologna 1221), spagnolo, fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori e, tanto meno, verso coloro che da ottocento anni, donne e uomini, testimoniano nei cinque continenti, con la vita e le molteplici forme di predicazione, il carisma domenicano della Carità della Verità.
Un laico domenicano, con cui parlavo della situazione di generale ignoranza e confusione che contrassegna diffusamente il tempo presente, evidenziava l’incredibile attualità del carisma che Dio ha consegnato a Domenico per la sua Chiesa, di ieri e di oggi. Questo laico impegnato e ben preparato, notava giustamente che l’Ordine domenicano nacque in un’osteria, a Tolosa, a quel tempo culla dell’eresia catara, dove l’ignoranza e la confusione facevano da padrone. In quel contesto storico, l’Ordine si dice nato in un’osteria non tanto per ebbrietà dovuta al vino ma piuttosto per quelle ‘vertigini’ verso cui solo lo Spirito Santo può condurre.
Domenico, giovane canonico, nel 1203 mentre era in viaggio con il vescovo Diego di Acebes per una missione, attraversando il sud della Francia, prende coscienza della confusione e dell’instabilità, a livello religioso e sociale, in cui versava il popolo di Dio a causa dell'eresia catara e delle minacce delle tribù pagane dei Cumani. Durante il viaggio Domenico si pone in un atteggiamento di religioso ascolto, riflettendo su questi avvenimenti. La Provvidenza fa trovare ospitalità a Domenico e al vescovo Diego presso un oste eretico. Passa, quindi, tutta la notte ascoltando le parole di rabbia e di disprezzo di quest’uomo che se la prendeva con la Chiesa ricca, complice con il potere del tempo e non più evangelica. Domenico ascolta, non giudica l’oste, anzi si fa a lui prossimo, ma non con un falso buonismo: demolisce punto per punto le sue certezze. Porta avanti un vero dialogo aiutando l’oste a distinguere il vero dal falso, la verità del messaggio evangelico dalle sue contraffazioni che attirano, ma sistematicamente deludono per il semplice fatto che quel dio è creato dall’uomo, e quindi non esiste. In questo ascolto e confronto, Domenico, come Cristo con i discepoli di Emmaus, spezza prima di tutto la Parola (cf Lc 24, 27), fino a quando l’oste, come quei discepoli, riconosce l’unico vero Dio rivelato da Cristo, passando dalla delusione, dall’errore, dal sentirsi completamente allo sbando, alla gioia del cuore, scoprendo di essere stato sempre amato e mai ingannato (cf Lc, 24, 32). Scoprendo come quei discepoli di aver creduto di sapere tutto di Lui, ma di non aver mai incontrato Cristo. Di fatto lo spuntare del nuovo giorno vedrà anche la nascita di due uomini nuovi: l’oste convertito alla vera fede e Domenico che, toccato da Dio, vede quanto sia necessario aiutare il prossimo a riscoprire ciò che è vero, giusto, buono, bello!
Toccato dalla compassione
Da che cosa Domenico è stato toccato tanto da stravolgergli la sua metodica e tranquilla esistenza? Dalla compassione per le anime vittime dell’errore. Sono convinto che Domenico, prima di tutto, si sia reso conto che dietro il rifiuto e la rabbia di tante persone verso la Chiesa istituzionale dell’epoca, c’era una ricerca del senso della loro esistenza, una sete di Dio. Soprattutto che dentro agli uomini che si combattono, si disprezzano fino ad odiarsi, ci sono le stesse attese e le medesime speranze di amore, di fraterna condivisione. Intuisce che se si fa emergere, con la vera fede e la grazia di Dio, questo ‘nocciolo’ di bene che è in ognuno, migliorare è possibile. Domenico allo stesso tempo, prende coscienza delle conseguenze che possono avere le infedeltà degli uomini di Chiesa (non della Chiesa, ma di coloro che la tradiscono: cf card. C. Journet), ma anche delle falsità e mistificazioni dell’eresia. Sente crescere la responsabilità di essere collaboratore di Cristo nella salvezza degli altri e non risparmierà più nulla di se stesso (cf 1 Cor 9, 22), per accogliere tutti gli uomini e condividerne gioie e dolori. Quindi Domenico, di fatto, iniziò ad intravvedere da quel dialogo franco e spassionato in quella osteria, l’importanza della carità della verità e della verità della carità, che contrassegnò la sua vita e la sua predicazione della Verità che è Cristo, senza mai staccarsi dall’abbraccio della carità (cf Ef 4, 15). Convinto che l’uomo non è contro Dio, ma spesso contro una falsa idea di Dio, docile allo Spirito Santo, fondò l’Ordine dei Frati Predicatori (1216), affinché con la testimonianza della loro vita e la profondità di uno studio sapienziale e non nozionistico, annunciassero ai fratelli quella Buona Novella alla luce della quale potessero cogliere il progetto d’amore di Dio e quindi il senso della loro vita. Un carisma di una attualità sorprendente e sconvolgente se si guarda alla confusione, a tutti i livelli e in tutti gli ambienti, che sta condannando l’uomo all’infelicità. Una predicazione opportune et importune (2 Tim 4, 2), nell’intenzione di san Domenico, sempre intesa come proposta e mai come imposizione, nella fedeltà a Cristo che mai ha costretto qualcuno a seguire il vangelo: “Se vuoi …” (Mt 19, 21). Un Ordine che coniugando la vita contemplativa e la vita attiva si trova a realizzare l’eccellenza nella vita religiosa.
Attualità del suo carisma
La confusione e l’instabilità dei tempi di san Domenico non è una realtà cronologica, ma piuttosto una verità ontologica: è legata all’essere dell’uomo dopo il peccato originale, e quindi niente di nuovo sotto il sole (cf Eccl 1, 9). L’attuale crisi che stiamo vivendo per il covid-19, come ogni crisi, sta facendo emergere il meglio e il peggio di ciascuno e allo stesso tempo evidenzia i contorni di situazioni irrazionali e contradditorie rispetto al bene comune che oggi per la globalizzazione, dovrebbe qualificarsi come bene universale. In un mondo ‘perso’, facile preda dei diversi ‘incantatori’ di turno che promettono tutto ed il contrario di tutto, si comprende come sia necessaria la carità della verità che Domenico ha intuito essere la risposta alle attese di ogni donna e di ogni uomo. Come in quella osteria di Tolosa, Domenico si è reso conto della pericolosità dell’ignoranza e della necessità quindi di educare e proporre la verità alle persone, per liberarle dalla schiavitù del ‘sentire’. Così oggi i frati predicatori sono chiamati a tutti i livelli della vita sociale, ma prima di tutto a livello ecclesiale, a smascherare le varie pretese di essere ciò che non si è e di agire in modo contrario al proprio bene e al bene degli altri. Non rimanendo spettatori passivi, limitandosi a guardare quello che accade, ma impegnandosi a vedere i problemi, le difficoltà, i dubbi, la rabbia come occasioni di grazia. Non limitandosi ad incrociare le persone e i loro problemi lungo il cammino della vita, ma desiderando sempre incontrarle.
Una preghiera nutrita dallo studio
Quanto avvenne in quella osteria, ricorda alle monache, ai frati, alle suore e ai laici Domenicani, che il nostro carisma nasce dall’incarnare la fede nel presente. Questo esige che tutti mettano al primo posto la relazione con Dio in una preghiera nutrita dallo studio che trova le sue ragioni nel desiderio di conoscere sempre di più Colui che mi ama (cf santa Caterina di Siena). Solo così potremo dare una testimonianza e quella Parola vera, come fece Domenico con l’oste, e non le tante nostre parole che mostrano tutta la loro insignificanza e producono reazioni contrarie, specialmente quando sono contraddette dall’incoerenza della vita. Domenico fu prima di tutto un uomo di Dio (parlava con Dio o di Dio) e quindi profondamente onesto, che seppe riconoscere e dare il giusto ordine alle cose. Poverissimo, Domenico donava tutto ai bisognosi, non aveva neanche una cella propria e richiedeva che i suoi frati non avessero proprietà comuni, esigeva per la liturgia quanto di più bello e prezioso ci si potesse permettere: niente era troppo per Dio e tutto bisognava donare a chi era nel bisogno. L’uomo di oggi è come quell’oste e si aspetta d’incontrare chi lo aiuti ad essere una creatura nuova (cf Gal 3, 26-27). Cosa fare allora? Il beato Giordano di Sassonia (1176-1237), successore di san Domenico alla guida dell’Ordine, sintetizzò così il carisma dei frati predicatori: Vivere onestamente, imparare ed insegnare. In quell’osteria Domenico imparò ad ascoltare e insegnò all’oste la verità liberante del vangelo; anche noi, allora, che siamo stati ‘catturati’ dall’attualità del suo carisma, siamo chiamati ad essere onesti, ad imparare ed a insegnare ciò che ci è stato trasmesso dalla Rivelazione e dalla Tradizione, in quell’osteria che è sempre e rimane il mondo.
Verso l’ottavo centenario della morte di Domenico
Il prossimo anno ricorrerà l’VIII centenario della morte del Santo Padre Domenico, così come lo chiamano con filiale affetto coloro che seguono il suo carisma. Date le circostanze mi sono chiesto: io che da più di quaranta anni sperimento il dono di questa vocazione, in cui sono comprese come sempre gioie e dolori, come posso celebrarlo? Sono convinto che la cosa più importante sia il mio impegno personale a vivere onestamente, imparare e insegnare. Il tutto si riassume in una semplice, ma allo stesso tempo impegnativa parola: conversione! Non la conversione degli altri, ma la mia, impegnandomi quotidianamente a mettere sempre Dio al primo posto, a dare solo a Lui le primizie e non gli scarti della mia giornata (cf Gn 4, 3-7), verificandone la veridicità nell’impegno della vita comunitaria. Scoprendo che siamo dove siamo, non perché ci siamo scelti e ci piacciamo, o perché abbiamo le stesse idee, la stessa educazione e sensibilità, ma solo perché Dio ci ha riuniti per fede. Allora non si può pensare di vivere la vita fraterna in una comunità religiosa solo con le virtù cardinali (ma neanche dispensandosi dalla buona educazione, dal rispetto dell’ultimo arrivato verso coloro che sono prima di lui!), ma sono necessarie quelle teologali. In conclusione devo ringraziare questo laico domenicano che dalla battuta che siamo nati in un’osteria, mi ha portato a ripensare le priorità e la coerenza del carisma domenicano e della mia vita, e soprattutto come sia vitale per ognuno rinnovarsi per essere un “uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4, 23-24), affinché possiamo essere nel nome di Cristo predicatori della conversione e del perdono, iniziando da quella Gerusalemme dove Dio ci ha voluti (cf Lc 24, 47-48).
p. Bruno Esposito, O. P.