Il Cuore di Gesù
2020/6, p. 20
La Festa del Cuore di Gesù è una delle più recenti del nostro calendario liturgico (1856) e la devozione al suo Cuore, come noi la conosciamo, si è sviluppata soltanto nei tempi moderni; ma il suo messaggio fondamentale affonda le sue radici nella Sacra Scrittura.
Molti pensano che nell’Antico Testamento Dio si manifesti soltanto come un Dio che giudica e castiga severamente, davanti al quale avere paura ed essere intimoriti.
Ma il profeta Ezechiele mostra che nell’Antico Testamento si afferma continuamente che egli ha un cuore per gli uomini e ha cura del suo popolo, come un pastore è premuroso per le sue pecore.
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Il Cuore di Gesù
La Festa del Cuore di Gesù è una delle più recenti del nostro calendario liturgico (1856) e la devozione al suo Cuore, come noi la conosciamo, si è sviluppata soltanto nei tempi moderni; ma il suo messaggio fondamentale affonda le sue radici nella Sacra Scrittura.
Molti pensano che nell’Antico Testamento Dio si manifesti soltanto come un Dio che giudica e castiga severamente, davanti al quale avere paura ed essere intimoriti. Ma il profeta Ezechiele mostra che nell’Antico Testamento si afferma continuamente che egli ha un cuore per gli uomini e ha cura del suo popolo, come un pastore è premuroso per le sue pecore.
Quando nel Nuovo Testamento guardiamo a come Gesù ha vissuto e agito, come ha incontrato le persone, riconosciamo in lui l’immagine del buon pastore come è stato descritto dal profeta Ezechiele: Gesù va alla ricerca della pecorella smarrita, cerca gli uomini là dove sono finiti a causa dei loro errori o di un destino inevitabile – nel loro isolamento e nel loro smarrimento. Il messaggio di amore salvifico di Dio, si concretizza nel modo in cui Gesù si rivolge in particolare alle persone che si trovavano ai margini delle società di allora, per donare ad esse ciò che avevano perduto o mai conosciuto: fiducia e amore. Egli dona loro la comunione con Dio, il quale ha un cuore per ciascuno e nel suo infinito amore guarisce tutte le nostre ferite e le nostre malattie.
Quanto Dio sia serio nel suo amore si mostra con la massima chiarezza nella sofferenza e nella morte del suo Figlio sulla croce. Nella croce di Gesù appare chiaramente in maniera più drastica che cosa significa un amore infinito, spinto fino ai limiti estremi – anche se ciò comporta una separazione dalle persone amate. Questo amore non ci dà solo qualcosa, ci dona se stesso. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).
Nel cuore trafitto di Gesù possiamo vedere il cuore di Dio per noi. È il segno più luminoso e inconfondibile dell’amore di Dio, che non conosce limiti. Nella croce si rivela che “Dio è amore”” (1 Gv 4,8.16). Solo un tale amore ha potuto realmente redimerci. Infatti questo amore non viene dall’alto al basso e dal di fuori; al contrario è pronto a scendere fino in fondo e a trasformare dal di dentro, dal cuore, ogni odio e ogni ingiustizia del mondo. Gesù si è caricato delle nostre colpe e dei nostri peccati affinché noi potessimo essere liberi e redenti e vivere ora di amore.
Il cuore trafitto di Gesù ci apre gli occhi su ciò che è importante nella nostra vita di cristiani. In definitiva, ciò che conta è solo una cosa: l’amore. È il più grande comandamento di Dio, è il compimento di tutta la legge.
La prima risposta all’amore di Dio, rivelato nel cuore trafitto di Gesù, può essere solo la gratitudine. Dobbiamo essere riconoscenti per avere un pastore e salvatore che ci guida e ci ama, di cui possiamo avere piena fiducia. Non perdiamo la gioia di essere cristiani. Non è un peso; è una liberazione. Essere cristiani significa vivere e sapere di essere amati e che pertanto non dobbiamo avere più alcun timore – né degli uomini e ancor meno di Dio. Perché siamo sempre così smemorati e ingrati?
La devozione al cuore trafitto di Gesù vuole aprirci gli occhi sul fatto che la nostra vita cristiana può avere successo quando assume i suoi sentimenti profondi, quando l’amore che proviene dall’unione con Dio può essere donato al prossimo in cui riconosciamo i nostri fratelli e le nostre sorelle. Saremo cristiani se avremo un cuore per gli altri, un cuore che non si chiude di fronte ad essi e ai loro bisogni, se andremo loro incontro, e ci apriamo ad essi, se offriamo loro il perdono, li scusiamo, li consoliamo e li rialziamo, li aiutiamo e sosteniamo. Anche noi dobbiamo essere buoni pastori, buoni accompagnatori del nostro prossimo. E come Dio ci dice sempre il suo sì, così dobbiamo dire anche noi il nostro sì ai nostri fratelli.
Fa parte di una credibile esistenza cristiana incontrare i nostri fratelli non stando a distanza, non da moralisti dall’alto al basso, ma nella consapevolezza della nostra stessa fragilità. Anche noi portiamo ferite e lacerazioni che possono essere risanate e redente solo mediante l’amore salvifico di Dio. Saranno redente da colui che nella sua donazione si è lasciato ferire, per guarire le nostre ferite. “Dalle sue piaghe siete stati guariti” (1 Pt 2,24)
Walter Kasper
Wer glaubt, zittert nicht (EDB, Chi crede non trema)