Gellini Anna Maria
La presenza di Dio nella storia
2020/5, p. 47
La riflessione teologico-pastorale di Borsato, presbitero e teologo della diocesi di Vicenza, affronta il tema dell’onnipotenza di Dio in relazione al suo modo di essere presente nel mondo. E di conseguenza, perché l’uomo cerca Dio?

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
NOVITà LIBRARIA
La presenza di Dio
nella storia
La riflessione teologico-pastorale di Borsato, presbitero e teologo della diocesi di Vicenza, affronta il tema dell’onnipotenza di Dio in relazione al suo modo di essere presente nel mondo. E di conseguenza, perché l’uomo cerca Dio? Secondo il filosofo Comte l'esigenza di Dio nascerebbe da un bisogno culturale (spiegare il mondo), secondo Marx da un bisogno sociale (fare giustizia), per Freud da un bisogno psichico (avere la serenità), per Feuerbach, Dio sarebbe la proiezione dei propri ideali. Il problema di fondo è cercare chi sia il vero Dio, per poter aderire a una persona e non ridurlo alle nostre idee o a quelle che ci sono state trasmesse con il rischio di dover fare i conti solo con idoli o maschere deformanti la verità di Dio.
L’A. chiarisce fin da principio che Dio è da vivere, da lodare, da invocare, da cercare, da amare, ma non crede che sia da «pensare». Del resto anche nella Bibbia «conoscere» Dio non significa pensare Dio, ma «amare» Dio. Il rischio che corriamo oggi è che, perdendo il Dio interventista che scendeva mosso dalla preghiera o dai riti a sanare malattie o a
provvedere ai vari bisogni degli uomini e delle donne, nasca il senso del vuoto e si perda il valore della trascendenza, la capacità e la volontà di guardare oltre il reale, o meglio di porre il reale alla luce di un oltre che gli dia senso.
Aprirsi al trascendente
Trascendente deriva dal verbo trascendere. E trascendere vuol dire andare oltre, superarsi,
ammettere qualcosa o qualcuno più grande di noi verso cui tendere. Il rovescio di trascendere è credersi il tutto e quindi ripiegarsi su di sé, chiudersi. Quando si dice il trascendente, si pensa subito a Dio. E questo riferimento è giusto, perché Dio è colui che è oltre ogni altra realtà, colui che attrae ogni cosa. Però trascendente può riferirsi anche a
realtà più concrete e più vicine. L’amico o l'amica sono trascendenti a noi stessi, cioè sono persone diverse da noi; hanno caratteristiche, pensieri, capacità che sono oltre le nostre. La cultura orientale o quella africana o quella latino-americana sono diverse dalla nostra
per sensibilità, intuizioni, modi di pensare; sono oltre la nostra cultura e di conseguenza la trascendono. Allora aprirsi al trascendente significa anzitutto schiudersi per lasciarsi interrogare e stimolare da persone, situazioni, culture diverse dalle nostre.
Nel vissuto quotidiano di ogni persona il «bisogno di trascendenza» si sdoppia in un bisogno duplice. Il primo è il bisogno dell'altro, in quanto nessuna creatura umana basta a se stessa; quando nasce, senza la presenza di altri non potrebbe neppure sopravvivere; ma anche in
seguito, in ogni tappa dell'esistenza, ha un bisogno vitale di altri per vivere e crescere; la sostanza dell'esperienza umana è, fino alla fine, nelle relazioni con gli altri; nel rapporto con ogni altro facciamo un'esperienza di trascendenza: siamo ciascuno la trascendenza dell'altro. Il secondo bisogno è quello che ciascuno avverte nei confronti di sé stesso: il bisogno di trascendersi, sia nel senso di crescere, maturare, diventare altro, perché siamo, come persone umane e più ancora come cristiani, uomini e donne in divenire.
Chi sono io
chi è Dio in me
La preghiera è un modo e un tempo per scoprire chi sono e chi è Dio in me, così che io possa vivere la mia vita a partire da questa conoscenza. Non cerco più di definire questo Dio nei termini di una persona soprannaturale. Credo di sperimentare questo Dio quando sono un operatore di vita, di amore e di essere per l'altro, poiché il Dio che vedo in Gesù di Nazaret, è presente nell'amore di ciascuno e lo si incontra nell'essere di ciascuno. Questo Dio mi chiama costantemente a essere l'incarnazione del suo amore, un testimone della realtà della sua vita. Con questa consapevolezza, anche la preghiera assume un nuovo volto: non è per cambiare Dio, ma per cambiare noi stessi.
Dio fra le macerie
Nel libro di Giobbe, l’uomo ferito, piagato, provato dalla vita, cerca un senso al dramma umano, senza peraltro trovare una risposta definitiva. La domanda sul male non è un quiz,
al quale si risponde con una battuta. È una questione che accompagna ogni vita umana e anche quella divina. Anche Dio è fragile. Come noi prova a resistere al male. Non si sottrae al negativo della storia, ai sismi della vita, ai frutti malati di una libertà umana contagiata dal male. Come noi si ribella, non si arrende e ricomincia, sempre, di nuovo, lotta per strappare dal caos il mondo. È fragile perché non è impermeabile all'amore, alla relazione, come testimonia la vicenda di Giobbe. Come diceva Etty Hillesum, più che aspettarci di esser salvati da lui, siamo noi a dover estrarre dalle macerie quel Dio che i terremoti della storia vorrebbero annoverare tra le vittime.
Di quali capovolgimenti è capace l'amore! Esso è più forte della morte e sa intonare il canto anche nella tragedia. Per vedere un Dio così bisogna essere compagni di Giobbe, fino in fondo. La fede, come la vita, può sempre trovare nuovi inizi, ma bisogna abitare la tempesta per poter sperimentare la quiete. Questo ci dice la Bibbia. E questo può aiutarci a riflettere su quanto l’A. invita a rileggere: il non interventismo di Dio, il senso della provvidenza, i miracoli, la differenza tra sacro e santo, una Chiesa in continua ricerca.
Anna Maria Gellini