L’attenzione ai single
2020/5, p. 34
In ambito cattolico la presenza dei single rimanda all’importanza della vocazione
battesimale nella Chiesa: tutti chiamati a vivere radicalmente il Vangelo. Ciò lascia il
primato alla relazione di ciascuno con Dio, affidando a lui di sapere il perché si diano
alcune situazioni.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
UN PROBLEMA PASTORALE NON MARGINALE
L’attenzione ai single
In ambito cattolico la presenza dei single rimanda all’importanza della vocazione battesimale nella Chiesa: tutti chiamati a vivere radicalmente il Vangelo. Ciò lascia il primato alla relazione di ciascuno con Dio, affidando a lui di sapere il perché si diano alcune situazioni.
Che ci siano single e che il loro numero sia considerevole è un’evidenza, perciò sembra venuto il momento non tanto di indagare le ragioni del fenomeno, che certamente coinvolgono la società e la pastorale, piuttosto di pensare a una Chiesa che non viva questo fenomeno come elemento residuale: persone che non si sono sposate né si sono consacrate.
Per comprendere quanto questo fenomeno sociale possa essere anche un “segno del tempo” dobbiamo chiederci se e come questo aiuta la Chiesa a vivere la propria realtà e chiamata.
Sociologicamente questa categoria di persone è molto vasta perché include i separati, i divorziati e i vedovi e coloro cui è semplicemente capitato di non stabilire un legame stabile.
Una collocazione nella Chiesa
Qui daremo la nostra attenzione a questi ultimi e in particolare ai credenti, che spesso sono definiti, appunto, come non sposati e non consacrati, offrendo di loro una collocazione nella Chiesa e nella società tutta in negativo, che non aiuta loro e neppure la comunità ecclesiale. Il disagio, infatti, è denunciato nei blog di single, in cui vien chiaramente espressa la domanda di una pastorale specifica. Forse neppure questa è una buona soluzione, ma la domanda evidenzia l’esigenza di essere visti dal cammino delle comunità cristiane. Per questo appare urgente approdare a una riflessione che sia in positivo, innanzitutto per non ridurre l’attenzione pastorale a un elenco di consigli, sempre con il presupposto di supplire a qualcosa che manca.
In questo modo, infatti, non si accompagnano le persone single proprio nella loro fatica esistenziale legata al desiderio di sposarsi, di avere una famiglia che resta sospeso. Oggi poi che l’età non è più un elemento decisivo per pensare al matrimonio, il sentimento accompagna davvero tutta la vita, non è mai definitivamente abbandonato se non in età avanzata. Forse 100 anni fa, ma potrebbero essere 50, dopo una certa età la persona non sposata entrava in una situazione definita ai propri occhi e a quelli della società e della Chiesa. Ora invece, anche per l’allungarsi della media dell’età, assistiamo al formarsi di coppie in diversissime età e perciò la domanda resta aperta per molto tempo. Ma convivere lungamente con il desiderio frustrato intacca l’autostima, e spesso l’ambiente ecclesiale tende a confermare questa dinamica.
Innanzitutto basta una lettura superficiale della pastorale per rendersi conto che il suo discorso generale a misura di famiglia, per cui chi non ha coniuge, e figli, vive inevitabilmente una marginalità perché le parole comuni solo in seconda battuta sono adattate a chi è solo.
Al di là delle maggioranze numeriche, l’attenzione esclusiva alle famiglie sottintende la precomprensione che identifica vocazione con lo stato di vita. Se sei sposato hai una vocazione cui rispondere, se non lo sei…la pastorale non sa che dirti perché è come se fossi senza vocazione.
Per quanti, invece, questa situazione è il frutto di scelte fedeli al vangelo, difficili da vivere in una realtà che sulla vita affettiva ha molta libertà e fantasia? E poi ancora la vocazione è il dialogo profondo che Dio ha con la persona, possiamo pensare che Dio abbia smesso di parlare con le persone sole? E a seguire, dobbiamo ipotizzare che tutte si siano chiuse alla relazione con Dio? Il compito è sospendere ogni giudizio e cercare parole positive, come con chiunque. Ne beneficerebbero anche coloro che sono felicemente single. Ci sono alcuni casi piuttosto eccezionali che suscitano l’ammirazione, ma nella ferialità rischiano anche loro di essere schiacciati dalla lettura secondo lo stato, che non è capace di dare senso e forza alle scelte positive per cui spesso liberamente non sono giunti a una relazione stabile.
Articolare vocazione e stato di vita, lascia il primato alla relazione di ciascuno con il Signore, lasciando a lui di sapere il perché si diano alcune situazioni. Del resto nella spiritualità della vita consacrata non si parla in alcuni casi di vocazione nella vocazione, seconda vocazione? Senza banalizzare l’espressione, essa vive di questa distinzione. Si potrebbe obiettare, ma qui si parla di uno stato vissuto diversamente, però nella storia della spiritualità abbiamo visto vite consacrate mutare profondamente. Uno sguardo veloce all’esperienza di Madre Teresa fa nascere la domanda se sia solo stato un cambio di “apostolato”.
La centralità del battesimo
Evidentemente chi è sposato o consacrato non percepisce immediatamente questa distinzione, ma è importante ricordare che alla fine ogni scelta cristiana fatta, o non fatta, vive della nostra fedeltà al battesimo. Per questo la prima attenzione è quella di avere rispetto dei single, attenzione per la loro eventuale fatica a condurre pazientemente una vita segnata da un desiderio con il quale si aprono alla speranza, senza farsi immobilizzare dall’attesa.
Che al centro della vita cristiana ci sia il battesimo è affermazione quasi tautologica e scontata, però se la vocazione coincide con lo stato, si riduce il fondamento della nostra vita cristiana a sfondo generico delle diverse scelte.
È interessante come la teologa episcopaliana Chistina S. Hitchocok, nell’intento di dare spazio alla “singleness” nella sua Chiesa, presenti la martire Perpetua come testimone di una vita cristiana in cui è il battesimo a connotare la persona, prima del ruolo di madre, di figlia.
In ambito cattolico questo rimanda ancora una volta all’importanza dell’essere laici nella Chiesa, al loro ruolo, e tra di loro anche quello dei single, tutti chiamati a vivere radicalmente il Vangelo.
Se il modello dell’immagine di laici è quello familiare, la persona single è solo una persona che ha più tempo libero.
Se il modello di riferimento è il battezzato, allora la persona single è un fedele chiamato a dedizioni diverse da quella di un coniuge, di un genitore o di un consacrato.
Solo all’interno di questo orizzonte possono prendere valore alcuni inviti all’impegno per il Vangelo, perché non si tratta di riempire con gesti buoni quanto piuttosto di cogliere quelle chiamate che via via il Signore fa, senza per questo pretendere di soffocare la speranza di essere marito/moglie, padre/madre, e d’altra parte senza farsi agire da questa, come direbbe la psicologia.
Una chiesa che abilita i laici
Porre al centro il battesimo definisce anche il volto della comunità. Essa si comprenderà come comunità chiamata a coltivare il proprio rapporto con Dio, di ciascuno e della comunità tutta, come fonte prima, e unica del proprio essere. Questo fenomeno ci interpella a una visione di Chiesa certamente non nuova, ma maggiormente fedele al Vaticano II, che abilita i laici a vivere il proprio battesimo invitandoli ad essere voce e presenza nella Chiesa. Per inciso va considerato come la centralità effettiva del battesimo potrebbe anche offrire un orizzonte entro cui trovare le vie per rapportarci con persone che vivono situazioni pastoralmente delicate, perché queste sarebbero davvero considerate innanzitutto come credenti.
Il libro di Chistina S. Hitchocok rilegge figure di donne del primo cristianesimo proprio a sostegno della possibilità di una vita da single, dedicata. Per esempio è interessante la citazione di Macrina per indicare quelle vie di “maternità spirituale” e anche di amicizia, che nella nostra Chiesa sono di solito immediatamente riferite alla vita consacrata.
Il fatto che le Chiese dell’ambito protestante non conoscano, di fatto, forme di consacrazione, conduce l’autrice a indagare maggiormente il significato antropologico di stili di presenza nella comunità cristiana.
Recuperare la dimensione antropologica di parole come maternità/paternità spirituale, amicizia, evita il rischio che una pastorale dedicata ai single dia vita a una “ riserva per gli indiani”. E sollecita, invece, a riscoprire la ricchezza e significatività per ciascuno del proprio battesimo, e così farà trovare parole per le persone sole. Queste soprattutto saranno sostenute nel coltivare atteggiamenti che in realtà sono nelle potenzialità dell’umano e a non viverli come ripiego.
Già nel 2010 Claire Lesegretain offrì alla Conferenza episcopale franceseun’attenta analisi del tema con valide indicazioni, che ci sembrano ancora da raccogliere e porre in essere.
Innanzitutto vivere e testimoniare la centralità della speranza donata dal Vangelo: ogni vita è visitata e interpellata dall’amore di Dio. Il Signore offre per altro una speranza che non si compie definitivamente se non nella dimensione eterna; questo sostiene il senso del vivere l’incompiutezza.
Valorizzare l’amicizia
Tornare poi a valorizzare l’amicizia, che non solo può aiutare i single, ma che fa di loro persone capaci di custodire la vicinanza.
Amicizia non è amore, la distinzione chiede anche una ripresa del tema del corpo, da amare e una ripresa delle parole liberanti della castità cristiana, che sono per tutti. Esse sono importanti per i single, ma preziose per una pastorale che in generale non conosce ancora la capacità di ricordare liberamente che abbiamo un corpo. Viene da chiedersi quanto questo tema sia attivo nella pastorale familiare, per esempio. A tutti offrirebbe l’aiuto nel confrontarsi con un contesto culturale eroticizzato, senza esorcizzare il tema, e andando oltre la doverosa presa di distanza.
Ci siamo concentrarti su di una parte del vasto mondo dei single, anche a livello ecclesiale. E si potrebbe andare ancora oltre perché l’intera comunità dei credenti non può fare a meno della libera scelta di fede di ciascuno, del suo cammino di fede per essere fedele al proprio battesimo, coltivando il suo personalissimo dialogo con Dio, obiettivo fondante di ogni atto pastorale.
Una nuova attenzione pastorale fa ritrovare le parole di sempre per aiutare le persone ad attivare la propria libertà e fantasia nel corrispondere all’amore di Dio per le sue figlie i suoi figli.
Un po’ di attenzione nelle parole e nelle prassi della pastorale ordinaria aprirà il futuro, da sempre custodito da Dio, ma affidato alla fedeltà del suo popolo.
Elsa Antoniazzi