Preghiera e trasparenza del cuore
2020/5, p. 30
Nella proposta di vita che Gesù fa a coloro che intendono seguire Lui, vi è una affermazione che ci dona tanta speranza, e che ci chiede responsabilità: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre mio che mi ha mandato” (Gv 6,44). Il fatto che la persona del credente riceva l’interiore richiamo del Padre, ci porta a riflettere su quali sintonie e quali distanze abbiamo sviluppato nella
nostra interiorità, così che la Sua “voce” sia intesa pienamente e attraverso tutti i giorni della nostra vita.
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Preghiera e trasparenza del cuore
Nella proposta di vita che Gesù fa a coloro che intendono seguire Lui, vi è una affermazione che ci dona tanta speranza, e che ci chiede responsabilità: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre mio che mi ha mandato” (Gv 6,44). Il fatto che la persona del credente riceva l’interiore richiamo del Padre, ci porta a riflettere su quali sintonie e quali distanze abbiamo sviluppato nella nostra interiorità, così che la Sua “voce” sia intesa pienamente e attraverso tutti i giorni della nostra vita.
Il Signore, in una parabola, ci ha rivelato che la sua Parola è paragonabile ad un seme che è posto nella terra dell’animo umano; ha una forza straordinaria, e produce frutto a seconda di quanto spazio trova nella persona. Quindi, rileva Gesù, si possono verificare delle resistenze, per cui il seme non ha possibilità di fiorire e non porta frutto. È dunque necessario che chi intende perseverare nella ricerca di una vita cristiana sempre più autentica si domandi: che tipo di terreno, e quale quantità di spazio c’è nel nostro animo per far sì che la Parola si sviluppi e cresca in pienezza? Quale disponibilità abbiamo nei confronti dello Spirito del Signore che è Maestro nostro, e che ci è dato perché plasmi i nostri pensieri e i nostri intendimenti?
In una vita umana ciò che passa sono solo gli avvenimenti esteriori. Ma quando essi si allontanano nel passato che tutto annulla, essi generano qualcosa di eterno: l’unicità del nostro amore come dono di noi stessi, la decisione pro o contro Dio, la disponibilità ad accogliere la verità, la giustizia, il bene in ogni sua forma. Nella nostra anima è presente la traccia, indelebile, delle scelte che, suggerite dallo Spirito o in contrasto con la sua voce interiore, abbiamo fatto. Questo vissuto è ciò che si intende quando parliamo del “cuore”.
Possiamo pensare ad un patrimonio di abitudini, pensieri, giudizi che tuttavia non è sempre conosciuto da noi stessi per varie ragioni: il tempo trascorso, talune scelte di cui non desideriamo chiarire i motivi, superficialità e disattenzioni, preferenze che non sono secondo il Vangelo. Il coraggio che ci viene chiesto è di non nasconderci a Dio; Egli sa che cosa c’è nel nostro cuore; sta a noi essere leali, e imparare a leggere che cosa vi è depositato al centro della nostra persona, a seguito di libere scelte che noi abbiamo fatto.
Paolo apostolo, nella lettera ai Filippesi, ci fornisce una parola utile al nostro discorso: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Il punto di riferimento per tenere viva e per illuminare la ricerca della nostra interiorità, è la vita di Gesù. La sua vita passata è in Lui per sempre presente. Egli è vero uomo e ha portato a termine una vita veramente umana. E pertanto tale vita è presente non solo in Dio, ma nello stesso Signore Gesù. È a tale patrimonio che possiamo fare riferimento, per purificare il nostro cuore, per rendere trasparente al Vangelo la nostra interiorità.
La fanciullezza di Gesù è passata, ma anche ora Egli è colui che ha vissuto una fanciullezza; le sue lacrime sono esaurite, ma anche oggi il Signore è colui che ha pianto, né può dimenticare le ragioni del suo pianto. Le sue pene sono terminate, ma in Lui rimangono per sempre la maturità dell’uomo che le ha sofferte.
Quando il Signore viveva la sua vita nei giorni della sua carne, nei suoi pensieri e nel suo amore non aveva presente soltanto il suo ambiente. Nel cuore umano del Signore c’eravamo anche noi, la vita nostra, il nostro tempo. Egli accoglieva e portava nel cuore tutta la vita di ciascuno di noi. Il Signore Gesù ha già detto di sì alla nostra vita, per ciascuno di noi ha pianto, per noi ha pregato, per noi ha reso grazie.
Il Signore, mediante il suo Spirito viene in noi, ed è luce ai nostri passi, ci chiama alla risurrezione, ci insegna a vivere con pienezza la nostra vita. A noi occorre mettere a disposizione «un cuore integro e buono» (Lc 8,15). Dunque è importante coltivare la preghiera, e sviluppare attraverso la Parola, l’interiore conoscenza e verifica dei «sentimenti di Cristo» (Fil 2,3), e cioè appunto confrontarci con gli stati d’animo, gli atteggiamenti, le posizioni assunte dal nostro Salvatore nel dialogo, nella predicazione, e infine nella sofferenza e nella morte.
Il cuore integro e buono si confronta con il cuore del Maestro, e poco alla volta diviene trasparente al vissuto del Salvatore. È dunque indispensabile la preghiera, con uno spazio dato alla riflessione contemplativa personale. Vi è il tempo per pregare con le formule che ci aiutano a stare in comunione con la Chiesa, e che ci allargano gli orizzonti. Penso ai salmi, e alla loro varietà di temi e ricchezza di slancio nei confronti di Dio che essi ci suggeriscono quando li preghiamo; vi è il tempo del confronto tranquillo, e un poco prolungato, con la Parola per interpretare e fare nostri i sentimenti di Cristo.
Ci aiuterà ad avere un cuore trasparente la straordinaria certezza di poter accogliere, e riconoscere, la presenza in noi del Signore perché ha accolto in se stesso la nostra vita.
Giovanni Giudici