Papola Grazia
Una preghiera profetica, i Salmi imprecatori
2020/5, p. 20
Qual è il significato di questi Salmi che lasciano spesso perplesse molte persone e sono considerati difficili da capire e da accogliere per la nostra sensibilità attuale e più ancora difficili da tradurre nella preghiera? Come interpretarli?

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CONSIDERAZIONI BIBLICHE
Una preghiera profetica, i Salmi imprecatori
Qual è il significato di questi Salmi che lasciano spesso perplesse molte persone e sono considerati difficili da capire e da accogliere per la nostra sensibilità attuale e più ancora difficili da tradurre nella preghiera? Come interpretarli?
«Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra» (Sal 137,8-9). È estremamente difficile, improbabile utilizzare questi versetti nella preghiera, che stessa sarebbe sentita come non autentica, espressione di una violenza raccapricciante e contraria allo spirito e ai sentimenti che devono animare l’orazione. Eppure queste parole concludono uno dei salmi della Liturgia delle Ore, (vespro del martedì IV sett.) che nella versione liturgica termina con il ricordo dolente di Gerusalemme innalzata «al di sopra di ogni mia gioia». Il Sal 137 non è l’unico ad essere decurtato di alcuni versetti, la stessa sorte tocca altri Salmi (cf. 5,11; 63,10-12; 110,6; 139,19-22). Inoltre tre composizioni, i Sal 58; 83; 109 sono del tutto omessi dalla liturgia perché in questi casi è tutto il testo ad esprimere un desiderio di vendetta contro nemici personali o popoli oppressori che risulta inaccettabile, tanto più perché espresso nella preghiera. Non sono gli unici passi del Salterio che manifestano sentimenti duri, violenti, carichi di intolleranza (cf Sal 11: «il Signore farà piovere brace, fuoco e zolfo sui malvagi»), ma le immagini e il linguaggio, di cui sono intessuti quelli che vanno sotto il titolo di Salmi imprecatori o di vendetta, sembrano debordare a causa della concretezza della rappresentazione, della crudeltà e del disprezzo nei confronti degli avversari.
La questione della interpretazione
I padri della chiesa interpretavano questi testi in senso allegorico (i «piccoli» sfracellati sulla roccia, per esempio, venivano spiegati come i cattivi pensieri che andavano annientati sul nascere, contro la roccia che è Cristo), o in senso profetico (il Sal 109, citato in At 1,20, era letto in riferimento a Giuda). È a partire dal XIX sec. che i Salmi imprecatori hanno cominciato a rappresentare un problema, e più di recente a motivo della loro traduzione in lingua moderna che ne ha restituito la vivezza e la comprensibilità delle espressioni. Sono state avanzate interpretazioni riduttive di questi testi ritenuti – in una prospettiva larvatamente marcionita – appartenenti a una fase superata della rivelazione (l’AT), o considerati componimenti dal solo valore storico-culturale, senza un significato normativo per i cristiani, o ancora attestanti un modo esasperato di concepire l’onnipotenza di Dio. Si tratta di prospettive che lasciano perlomeno insoddisfatti, perché non colgono quale passione per l’uomo e per Dio questi salmi nel loro contesto storico, nella loro forma linguistica, riescono a esprimere. Scegliere di eliminarli non solo espone al rischio di decidere che alcuni testi sono meno ispirati di altri, ma anche a quello di sottrarsi alla fatica che è di tutti i salmi e che con questi testi si fa più acuta, quella di essere condotti a una esperienza di Dio «senza sconti e senza riduzioni, in tutte le sue più radicali esigenze».La questione allora non è se utilizzare questi testi nella preghiera, ma come farlo.
L’imprecazione come atto profetico
Anche se non esclusivamente, la maggior parte dei salmi imprecatori appartiene ai salmi di lamento o di supplica, il genere letterario che raccoglie in forma orante l’esperienza di uomini confrontati con le diverse sfaccettature del male, i quali rivolgono il loro grido all’Unico che può salvare. La richiesta è spesso formulata come domanda accorata e impellente di giustizia e di vita di fronte alla minaccia concreta di morire. I salmi di supplica – anche quando non sono imprecatori – hanno sempre una tonalità esasperata, sia nella descrizione delle condizioni dell’orante vittima di ogni forma di male (malattia, calunnia, persecuzione, abbandono da parte di tutti e di Dio), che in quella dei nemici che incarnano oppressione e violenza, paragonati ad animali feroci o rappresentati nelle intenzioni o nell’atto di portare avanti e realizzare un progetto di annientamento ai danni di chi prega. Si potrebbe dire che i salmi imprecatori portano fino alle estreme conseguenze il racconto del confronto con il male e per quanto le loro espressioni ci disturbino, compiono un atto profetico perché dicono «una parola che sta interpellando la nostra storia, offrendoci le parole adatte – e adattabili – per sentire l’esasperazione del male e il desiderio urgente che venga il Signore con la sua forza a distruggere il male».
Di fronte al male
Le espressioni crude con le quali si chiede l’intervento divino, perché si faccia giustizia dei nemici, chiedono di riconoscere quanto sia acuto il dolore del salmista e quanto sia atroce il male che patisce, orribili le molte pratiche di una violenza quotidiana e di una azione di oppressione diventata struttura sociale. Questo sistema di violenza e di ingiustizia è restituito nella sua intollerabilità, perciò, più che il racconto di eventi o la descrizione esatta di situazioni, sono presentati l’intensità del male e il mondo emotivo dei salmisti, la loro angoscia, la lacerazione della sofferenza, il senso di impotenza e di sconfitta, ma anche la percezione che non si può tacere, che occorre indignarsi e farlo con tutte le forze, perché altrimenti si diventerebbe conniventi con i malvagi e le loro azioni, o si rischierebbe, drammaticamente, di sminuire o ignorare il carattere distruttivo della violenza. A partire dalla propria esperienza di brutalità subita o a nome di tutte le vittime rese mute dall’oppressione e dalla prevaricazione dei violenti – ed è questo il nostro ruolo possibile nella recita di questi testi – i salmisti denunciano il male come ciò che contraddice fatalmente la bellezza e la bontà del mondo voluto da Dio. Qui e ora i malvagi paiono mettere in scacco la realizzazione del progetto divino di comunione e di giustizia. Dunque, «questi Salmi sono espressione del desiderio profondo che nella storia il male e i malvagi non abbiano l’ultima parola, perché il mondo e la storia appartengono a Dio». Assumere questa sofferenza è un atto profetico perché si dà nome a quanto accade di disumano, interpretandolo davanti a Dio, e perché questa forma di denuncia è già, in forza della solidarietà e della condivisione che la promuovono, un primo passo verso la liberazione di chi patisce un peso insostenibile.
La chiamata in causa di Dio
Il grido ha un preciso destinatario: il Signore promotore e custode della alleanza e della giustizia. I salmisti sono infatti lucidamente consapevoli che il male non può essere superato solo dallo sforzo generoso di quanti si impegnano per il bene; il loro sforzo è sempre necessario, ma risulta insufficiente a stabilire una giustizia perfetta. La loro profezia giunge a mettere a nudo che la violenza e l’ingiustizia nella loro radice pongono in questione Dio stesso come principio e garante del bene, capace di tutelarlo, ristabilendo la giustizia violata dai nemici. È in gioco il riconoscimento di Dio, perché è nell’annientamento del male che si rivela il suo Nome glorioso.
I salmi imprecatori sono perciò una espressione della fede nel Dio della alleanza. Il salmista ricorda a Dio l’alleanza conclusa con Israele, le vicende in cui il suo Nome si è legato a quello del popolo, ricorda il progetto che il Signore ha nutrito nel corso della storia, la liberazione attuata più volte. «Così grida la sua angoscia con forza, perché ai suoi occhi l’alleanza con Dio ha la stessa importanza della vita. Allora, senza più via di scampo, grida insieme la sua fiducia e la sua paura. Chiede la vita perché viva l’alleanza di Israele con il suo Dio».
Perciò nei salmi imprecatori si chiede l’intervento di Dio in nome di una immensa sete di giustizia alle prese con la crudele realtà dell’iniquità, ma anche in nome di una fede profonda in un Dio che si schiera con le vittime della violenza.
Tutto ciò, proprio per l’eccessività delle espressioni usate, per il risentimento e la collera che si rivelano, manifesta anche la straordinaria fiducia che gli oranti ripongono nel Signore: sanno di poter sfogare tutta la loro indignazione e violenza senza paura di venire giudicati, incompresi o rifiutati; sanno che nella preghiera Dio apre uno spazio di preghiera dove esprimere l’aggressività, perché possa mostrarsi, essere riconosciuta e detta e sia così possibile convertirla.
L’attesa del compimento pasquale
È decisivo per l’interpretazione riconoscere che attraverso queste parole, nonostante l’apparenza, i salmisti rinunciano ad agire loro contro i nemici, non domandano la forza di vendicarsi personalmente, ma affidano il compito di far giustizia nelle mani di Dio. Di nuovo, in questo modo si esprime «una immensa fiducia in Dio e Signore onnipotente, che solo potrà intraprendere in maniera giusta ed efficace quell’azione sapiente e provvida, risolutiva e liberatrice, per ogni creatura sofferente».
Attraverso la parola, la vendetta si decanta e si può tornare a ciò che è essenziale: il sentimento di un’ingiustizia, di una violenza subita e denunciata prendendo Dio, il giusto giudice, come testimone. Dire così la propria aggressività traduce la complessa verità dell’uomo, violento e insieme assetato di giustizia, in cammino verso una umanizzazione nella fiducia posta in Dio.
I Salmi imprecatori sono perciò testi estremamente esigenti, perché sanciscono il principio per cui, anche di fronte all’ingiustizia e al male subiti, ci si priva del farsi giustizia da sé, non si cede alla tentazione del rispondere al male con il male, ma si assume la condizione di vittima, restandovi fino in fondo senza trasformarsi in carnefici. Nella preghiera si lascia a Dio il compito di fare giustizia, perché è Lui ad essere messo in causa dal male. Allora, i sentimenti di violenza e di distruzione sono affidati a colui al quale è rivolta la supplica, e sono esposti alla sua azione e ai suoi criteri. È un atto di fede in Colui che si crede sia capace di agire davanti al male assoluto e insopportabile, facendolo sparire e producendo vita.
I Salmi imprecatori sono la richiesta della distruzione del male che solo Dio può operare senza eliminare il malfattore. «Ultimamente, il Dio a cui si chiede di compiere la vendetta sull’empio nemico è il Dio che distrugge l’empietà inviando il Figlio e che annienta il nemico con la morte e resurrezione del suo Messia. Qui è la vera, definitiva “vendetta”, l’unica, reale vittoria su chi attenta alla nostra vita e alla nostra felicità».
sr Grazia Papola osc