Il lento scivolamento nella mondanità spirituale
2020/5, p. 18
Può essere utile analizzare brevemente attraverso quali processi e meccanismi
psicologici avviene questo lento ‘scivolamento’ e quali rimedi e interventi possono
essere adottati per contrastarlo.
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COME VIVERE SERENI ANCHE COMPORTANDOSI MALE
(1parte)
Il lento scivolamento nella mondanità spirituale
Può essere utile analizzare brevemente attraverso quali processi e meccanismi psicologici avviene questo lento ‘scivolamento’ e quali rimedi e interventi possono essere adottati per contrastarlo.
Spesso papa Francesco, parlando della ‘mondanità spirituale’, fa notare che essa si va diffondendo a poco a poco, quasi senza rendersene conto. “È una caduta con anestesia, tu non te ne accorgi, ma lentamente si scivola, si relativizzano le cose e si perde la fedeltà a Dio”. “La mondanità – ricorda papa Francesco – è vivere il Vangelo, ma con criteri mondani. No, il Vangelo si vive con criteri evangelici”.
Il disimpegno morale
Ogni persona viene educata fin dai primi anni a far propri determinati valori e comportamenti, apprendendo nello stesso tempo a provare un ‘disagio interiore’ – che può prendere diversi nomi: paura, vergogna, senso di colpa, rimorso, senso del peccato – quando il proprio comportamento non è conforme agli insegnamenti ricevuti e ai valori assimilati. Nello sviluppo di un sé morale gli individui adottano criteri di giusto e sbagliato che svolgono la funzione di guide e deterrenti per la propria condotta.
I vissuti negativi, appena citati, che si accompagnano alle trasgressioni morali causano un disagio e una sofferenza più o meno accentuati che a lungo andare non possono essere sopportati.
Per evitare questo pungolo doloroso si possono seguire due strade: o si cerca di rimediare al male compiuto e ci si impegna per evitare altri comportamenti negativi oppure si può cercare di neutralizzare a poco a poco il disagio interiore che la condotta negativa provoca. Nel primo caso le varie forme di disagio interiore servono da autosanzioni morali, le quali fanno sì che i comportamenti siano in linea con i criteri morali che si sono appresi; nel secondo caso, il potere di queste autosanzioni può esser a poco a poco neutralizzato tramite determinati meccanismi psicosociali, arrivando progressivamente a una forma di ‘disimpegno morale’ che permette alla persona di comportarsi in modo non corretto (in base ai propri criteri morali) e nello stesso tempo continuare a vivere in pace con se stessa, mantenere un senso di integrità, sentirsi a posto e non perdere il rispetto di sé. Un disimpegno morale che si è andato sviluppando e consolidando nel tempo consente di venire a patti con i propri criteri morali, elimina sia i freni rispetto a una condotta non buona sia qualunque autosanzione di condanna. Di norma, siamo quasi tutti virtuosi in astratto, ma le differenze sono nella facilità con cui facciamo ricorso al disimpegno morale in determinate circostanze della vita quotidiana.
I meccanismi del disimpegno morale
In uno studio condotto da A. Bandura, l’autore individua alcuni meccanismi psicosociali con cui le persone disimpegnano selettivamente la propria autoregolazione sociale dai comportamenti non buoni che mettono in atto. Ecco una breve presentazione di alcuni di questi meccanismi.
Giustificazione morale.
Il comportamento negativo viene trasformato in un comportamento positivo, ricorrendo di volta in volta a giustificazioni morali e sociali che fanno apparire positivi determinati comportamenti negativi, investendoli di scopi onorevoli, e i mezzi non buoni sono giustificati appellandosi a fini giusti e meritori. Le giustificazioni possono andare da quelle più banali alle forme più estreme. Ad esempio, si può attribuire la nostra irritabilità al caldo, si giustificano comportamenti negativi di un bambino dicendo che ‘sono cose da bambini’, mentre a livello più complesso si costruiscono finzioni o ideologie più elaborate, compiendo, ad esempio, atti distruttivi in nome di principi religiosi (come fanno estremisti islamici o come hanno fatto in passato anche i cristiani).
Anche il linguaggio merita una certa attenzione, dato che esso modella la percezione degli eventi e gli schemi di pensiero su cui le persone basano molte delle loro azioni. Si ricorre, ad esempio, ad eufemismi linguistici che ‘spersonalizzano’ il proprio comportamento, così da intorpidirci e desensibilizzarci rispetto a comportamenti non buoni o dannosi (‘scambiare qualche chiacchiera tra amici, parlando dell’uno o dell’altro, aiuta a passare il tempo…’, oppure: ‘è necessario stare al passo con i tempi’).
Anche il ricorso al ‘confronto vantaggioso’ può essere adottato in certi casi come strategia di autogiustificazione, così da far apparire il proprio comportamento il minore dei mali non solo accettabile, ma persino moralmente giusto (‘ho dovuto intervenire con molta durezza, per scoraggiare guai peggiori…’). Le giustificazioni morali sono il più potente insieme di meccanismi psicologici per far apparire accettabili e buone modalità comportamentali negative.
Spostamento della responsabilità.
Si oscura o si minimizza la propria responsabilità: si fanno apparire, ad esempio, le proprie azioni, in sé non (completamente) accettabili, come conseguenze di volontà superiori, oppure si dice che ‘è la società di oggi che ti porta a fare certe cose che tu non vorresti…’.
Diffusione di responsabilità.
Qualunque danno realizzato da un gruppo può essere attribuito in gran parte al comportamento degli altri: quando tutti sono responsabili, nessuno si sente davvero tale.
Minimizzare, ignorare, distorcere le conseguenze negative del proprio agire.
Ricorrere a riformulazioni tese a far apparire meno negativi gli effetti nocivi (‘la persona è rimasta male, ma alla fine non potevo tacere la verità…’).
Attribuzione della colpa a chi è maltrattato.
Le persone vittime di maltrattamento vengono giudicate responsabili di attirare su di loro il maltrattamento stesso (‘con il suo modo di fare così irrispettoso quella persona ha finito per provocarmi e indurmi a trattarla male’; ‘è vero che le donne subiscono spesso violenza da parte dei maschi, ma non raramente esse hanno atteggiamenti provocanti e finiscono per indurre negli uomini comportamenti aggressivi’).
Spersonalizzazione.
Le persone vengono trattate con distacco emotivo e scarso riguardo per la loro individualità, considerate in modo anonimo e senza un reale interesse per loro, finendo per essere semplicemente dei burocrati o buoni funzionari. Possono verificarsi diverse situazioni, per ‘spiegare’ le quali e farle apparire (quasi) inevitabili non è difficile trovare anche ‘buone’ attenuanti osservazioni peraltro che non mancano di una certa ragionevolezza. Si fa presente, ad esempio, che in alcune condizioni un certo distacco emotivo può essere utile e costruttivo (quando, ad esempio, si svolge una professione di aiuto o ci si trova a confrontarsi con persone afflitte da grandi sofferenze e problemi molto complessi da risolvere); in altri casi è la routine noiosa legata a determinate attività o servizi che può portare a scivolare nell’indifferenza e nella spersonalizzazione; infine, si sottolinea che nell’attuale era elettronica la digitalizzazione favorisce la spersonalizzazione, i servizi vengono erogati in modo anonimo e impersonale, si moltiplicano i ‘contatti’ a scapito di incontri reali.
Attraverso i meccanismi appena ricordati, le persone – che oltre a fare i conti con l’autocensura si preoccupano di come appaiono agli occhi degli altri – cercano in definitiva di auotoingannarsi e mantenersi volontariamente non informate su qualche verità sgradita per sottrarsi così alle proprie responsabilità. Può capitare che in qualche caso vi sia una qualche consapevolezza della realtà che si vuole negare, ma in definitiva si agisce in modo da essere intenzionalmente non informati e non si fa niente per cercare le prove degli effetti negativi del proprio agire. Alla base di questo generale atteggiamento – che metacomunica sostanzialmente una certa rigidità – sta il bisogno di salvaguardare la propria immagine e la propria autostima, come anche il desiderio di evitare la disapprovazione sociale ed eventualmente le minacce di sanzioni sociali che deriverebbero da condotte moralmente discutibili. E così si è in pace con se stessi.
Disimpegno morale e mondanità spirituale
Venendo ora al tema della mondanità spirituale che può manifestarsi nella vita cristiana e, in particolare, nella vita delle persone consacrate (l’aspetto che in questa riflessione maggiormente interessa), le considerazioni sopra richiamate possono aiutare a comprendere meglio come essa di fatto possa arrivare a segnare a poco a poco la loro vita.
Il passaggio a forme di ‘mondanità spirituale’ inizia di solito a piccoli passi, per finire a volte con il vivere una doppia vita. A mano a mano che passa il tempo, infrazioni più gravi vengono giustificate dai successivi compromessi morali. Succede come quando un freno a poco a poco si è usurato o un tabù è stato violato o una inibizione si è indebolita o venuta meno.
Il disimpegno morale che avviene è descritto in modo efficace nella sintesi di un’omelia tenuta da papa Francesco nel corso della Messa a Santa Marta sopra citata, dove leggiamo (le frasi del papa sono virgolettate): «“Quante volte dimentichiamo il Signore ed entriamo in negoziato con altri dei: il denaro, la vanità, l’orgoglio. Ma questo si fa lentamente e se non c’è la grazia di Dio, si perde tutto”. Questo mescolarsi con i pagani e imparare ad agire come loro significa farsi mondani. “E per noi questa scivolata lenta nella vita è verso la mondanità, questo è il grave peccato: ‘Lo fanno tutti, ma sì, non c’è problema, sì, davvero non è l’ideale, ma…’. Queste parole che ci giustificano al prezzo di perdere la fedeltà all’unico Dio sono degli idoli moderni”, ha avvertito Francesco, chiedendo di pensare “a questo peccato della mondanità” che porta a “perdere il genuino del Vangelo. Il genuino della Parola di Dio”, a “perdere l’amore per questo Dio che ha dato la vita per noi. Non si può stare bene con Dio e con il diavolo. Questo lo diciamo tutti noi quando parliamo di una persona che è un po’ così: ‘Questo sta bene con Dio e con il diavolo’. Ha perso la fedeltà”. E, in pratica, ha continuato il Pontefice, ciò significa non essere fedeli “né a Dio né al diavolo”».
Aldo Basso