Dall'Osto Antonio a cura
Fermarsi per poi riprendere il cammino
2020/5, p. 8
La lezione che ci viene dalla pandemia del coronavirus è di fermarci a riflettere cercando di dare un senso nuovo alle nostre esistenze, a reimpostare la vita, per vedere poi come possiamo continuare a camminare.

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FR. LEPORI ABATE GEN. CISTERCENSI E IL CORONAVIRUS
Fermarsi per poi riprendere il cammino
La lezione che ci viene dalla pandemia del coronavirus è di fermarci a riflettere cercando di dare un senso nuovo alle nostre esistenze, a reimpostare la vita, per vedere poi come possiamo continuare a camminare.
In un momento di smarrimento e di angoscia come quello che stiamo attraversando, dovuto alla pandemia del coronavirus, sorgono nell’animo alcuni interrogativi che ci interpellano profondamente come cristiani e come consacrati. Fr. Mauro Giuseppe Lepori, attuale abate generale dell'Ordine cistercense ha risposto ad essi con due lettere scritte in successione ai suoi confratelli inquadrandole nel tempo liturgico della Quaresima e della Pasqua: la prima intitolata “Fermatevi, e sappiate che io sono Dio” e la seconda “La salvezza è presente”.
Nella prima, al di là degli aspetti sanitari della situazione si domanda: “Cosa ci chiede questo momento drammatico rispetto alla nostra vocazione? A cosa ci chiama Dio in quanto cristiani e particolarmente in quanto monaci e monache attraverso questa prova universale? Che testimonianza siamo invitati a dare? Che aiuto specifico siamo chiamati ad offrire alla società, a tutti i nostri fratelli e sorelle nel mondo?
E nella seconda dedicata al dopo epidemia: “Come possiamo continuare a camminare; quale direzione possiamo prendere?” – riconoscendo che tutto non potrà più essere come prima.
Fermarsi per dare un sensoalla nostra esistenza quotidiana
Forse il primo compito a cui Dio ci chiama, scrive fr. Lepori, «è quello di vivere questa circostanza dandole un senso. In fondo, il vero dramma che vive attualmente la società non è tanto o solo la pandemia, ma le sue conseguenze nella nostra esistenza quotidiana. Il mondo si è fermato. Le attività, l’economia, la vita politica, i viaggi, i divertimenti, lo sport si sono fermati, come per una Quaresima universale. Ma non solo questo: in Italia e ora anche in altri paesi, si è fermata anche la vita religiosa pubblica, la celebrazione pubblica dell’Eucaristia, tutti i raduni e gli incontri ecclesiali, per lo meno quelli in cui i fedeli si incontrano fisicamente. È come un grande digiuno, una grande astinenza universale»
Il contagio ha imposto un arresto, presentato come un “male necessario”. «L’uomo contemporaneo, infatti, non sa più fermarsi. Si ferma solo se è fermato. Fermarsi liberamente è diventato quasi impossibile nella cultura occidentale odierna, peraltro globalizzata. Neppure per le vacanze ci si ferma veramente. Solo i contrattempi spiacevoli riescono a fermarci nella nostra corsa affannosa per approfittare sempre più della vita, del tempo, spesso anche delle altre persone. Ora, però, un contrattempo sgradevole come un’epidemia ci ha fermati quasi tutti. I nostri progetti e i nostri piani sono stati annullati, e non sappiamo fino a quando. Anche noi, che pur viviamo una vocazione monastica, magari di clausura, quanto ci siamo abituati a vivere come tutti, a correre come tutti, a pensare alla nostra vita sempre proiettandoci verso un futuro!
Fermarsi vuol dire ritrovare il presente, l’istante da vivere ora, la vera realtà del tempo, e quindi anche la vera realtà di noi stessi, della nostra vita. L’uomo vive solo nel presente, ma siamo sempre tentati di rimanere attaccati al passato che non c’è più o a proiettarci verso un futuro che non c’è ancora e forse non ci sarà mai… Dio ci chiede di fermarci; non ce lo impone. Vuole che di fronte a Lui ci fermiamo e rimaniamo liberamente, per scelta, cioè con amore. Non ci ferma come la polizia che arresta un delinquente in fuga. Vuole che ci fermiamo come ci si ferma davanti alla persona amata, o come ci si ferma di fronte alla tenera bellezza di un neonato che dorme, o a un tramonto o a un’opera d’arte che ci riempiono di stupore e silenzio. Dio ci chiede di fermarci riconoscendo che la sua presenza per noi riempie tutto l’universo, è la cosa più importante della vita, che nulla può superare. Fermarci di fronte a Dio significa riconoscere che la sua presenza riempie l’istante e quindi soddisfa pienamente il nostro cuore, in qualsiasi circostanza e condizione ci troviamo».
Vivere la costrizione con libertà
Per arginare l’espandersi del contagio, sono state emanate delle norme che limitano notevolmente, anche se in forma provvisoria, la nostra libertà di movimento. Fr. Lepori si domanda: «è possibile vivere questa costrizione con libertà, cosa significa nella situazione attuale; come viverla in libertà anche se costretti?».
«La libertà – risponde – non è scegliere sempre e comunque quello che si vuole. La libertà è la grazia di poter scegliere ciò che dà pienezza al nostro cuore anche quando ci è tolto tutto. Persino quando ci è tolta la libertà, la presenza di Dio ci conserva e offre la libertà suprema di poter fermarci di fronte a Lui, di riconoscerlo presente e amico. È la grande testimonianza dei martiri e di tutti i santi».
Fr. Lepori cita, a questo proposito, l’episodio di Gesù che cammina sulle acque per raggiungere i suoi discepoli in mezzo al mare in tempesta. Li ha trovati che non potevano avanzare per il vento contrario: «Gesù li raggiunge come solo Dio può avvicinarsi all’uomo, con una presenza libera da ogni costrizione. Nulla, nessun vento contrario e neppure nessuna legge della natura si può opporre al dono della presenza di Cristo venuto a salvare l’umanità. “Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare” (Mt 14,25)».
La risposta alla paura
Ma, prosegue, fr. Lepori, c’è un’altra tempesta che vorrebbe opporsi alla presenza amica del Signore: la nostra diffidenza e paura: «I discepoli furono sconvolti e dissero: “È un fantasma!” e gridarono dalla paura» (14,26). Spesso quello che immaginiamo con gli occhi della nostra diffidenza trasforma la realtà in “fantasma”. Allora, è come se fossimo noi stessi ad alimentare la paura che ci fa gridare. Ma Gesù è più forte anche di questa tempesta interiore. Si avvicina di più, ci fa sentire la sua voce, la sonorità pacificante della sua presenza amica. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!” (14,27)» … E “subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti”.
«Può avvenire questo – si domanda Lepori – nella situazione di pericolo e timore che viviamo ora di fronte al dilagare del virus e alle conseguenze, certamente gravi e durature, di questa situazione su tutta la società? Riconoscere in questa circostanza una possibilità straordinaria di accogliere e adorare la presenza di Dio in mezzo a noi non vuol dire fuggire la realtà e rinunciare ai mezzi umani che si mettono in atto per difenderci dal male. Questo sarebbe un’ingiuria a chi ora, come tutto il personale sanitario, si sacrifica per il nostro bene. Sarebbe anche blasfemo pensare che Dio ci manda Lui le prove per poi mostrarci quanto è buono nel liberarcene. Dio entra nelle nostre prove, le soffre con noi e per noi fino alla morte in Croce. Ci rivela così che la nostra vita, nella prova come nella consolazione, ha un senso infinitamente più grande che la risoluzione dell’attuale pericolo. Il vero pericolo che incombe sulla vita non è la minaccia della morte, ma la possibilità di vivere senza senso, di vivere senza essere tesi ad una pienezza più grande della vita e ad una salvezza più grande della salute».
Nella prova riconoscere la Sua presenza
«Questa pandemia, con tutti i corollari e le conseguenze che comporta, è allora per tutti un’occasione di fermarci davvero, non solo perché costretti, ma perché siamo invitati dal Signore a stare davanti a Lui, a riconoscere che Lui, proprio ora, ci viene incontro in mezzo alla tempesta delle circostanze e delle nostre angosce, proponendoci un rinnovato rapporto di amicizia con Lui, con Lui che è senz’altro capace di arrestare la pandemia come ha calmato il vento, ma che soprattutto ci rinnova il dono della sua presenza amica, che sconfigge la nostra fragilità piena di timore – “Coraggio, sono io, non abbiate paura!” – e ci vuole condurre subito al destino ultimo e pieno dell’esistenza: Lui stesso che rimane e cammina con noi».
«La prova che viene a tormentarci deve anche renderci più sensibili alle tante prove che colpiscono gli altri, gli altri popoli, che spesso guardiamo soffrire e morire con indifferenza. Ci ricordiamo, per esempio, che mentre da noi infierisce il coronavirus, i popoli del Corno d’Africa subiscono da mesi un’invasione di locuste che minaccia la sussistenza di milioni di persone? Ci ricordiamo dei migranti sospesi in Turchia? Ci ricordiamo della ferita sempre aperta in Siria e tutto il Medio Oriente? …».”
«Un periodo di prova, può rendere le persone più dure o più sensibili, più indifferenti o più compassionevoli. In fondo, tutto dipende dall’amore con cui lo viviamo, ed è soprattutto questo che Cristo viene a donarci e a destare in noi con la sua presenza. Qualsiasi prova prima o poi passa, ma se la viviamo con amore, la ferita che la prova incide nella nostra vita potrà rimanere aperta, come sul Corpo del Risorto, come una fonte sempre zampillante di compassione».
L’offerta della preghiera
Il compito che i religiosi sono chiamati ad assumere, sottolinea fr. Lepori, rivolgendosi ora direttamente ai suoi confratelli è «l’offerta della preghiera, della supplica che mendica la salvezza. Gesù Cristo, con il battesimo, la fede, l’incontro con Lui tramite la Chiesa e il dono di una particolare vocazione a stare con Lui nella “scuola del servizio del Signore” (RB Prol. 45), ci ha chiamati a stare di fronte al Padre chiedendo tutto nel suo nome. Per questo ci dona lo Spirito che, “con gemiti inesprimibili”, “viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente” (Rm 8,26). Prima di entrare nella passione e morte, Gesù ha detto ai suoi discepoli: “Io ho scelto voi (…) perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda” (Gv 15,16). Non ci ha scelti solo per pregare, ma per essere sempre esauditi dal Padre.
La nostra ricchezza è allora la povertà di non avere altro potere che quello di mendicare con fede. E questo è un carisma che non ci è dato solo per noi, ma per portare a compimento la missione del Figlio che è la salvezza del mondo: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). Anche il bisogno di salvaguardare o recuperare la salute, che tutti sentono in questo momento, magari con angoscia, è un bisogno di salvezza, della salvezza che preservi la nostra vita dal sentirsi senza senso, sballottata dalle onde senza un destino, senza l’incontro con l’Amore che ce la dona in ogni istante per giungere a vivere eternamente con Lui.
Questa coscienza del nostro compito prioritario di preghiera per tutti deve renderci universalmente responsabili della fede che abbiamo, e della preghiera liturgica che la Chiesa ci affida… Dobbiamo essere più che mai consapevoli che nessuna delle nostre preghiere e liturgie va vissuta senza sentirci uniti a tutto il Corpo di Cristo che è la Chiesa, la comunità di tutti i battezzati tesa ad abbracciare tutta l’umanità».
Come continuare a camminare?
Tutti noi ora ci chiediamo, sottolinea Lepori nella sua seconda lettera ai confratelli: «Fino a quando durerà l’epidemia? Fino a quando dovremo stare rinchiusi nelle nostre case? Quando potremo tornare alla vita normale? Sono domande lecite e comprensibili, ma non devono distoglierci dalla vera domanda che dovremmo sempre porci, anche quando non c’è un’epidemia: Ci lasciamo guidare dalla presenza di Dio?
Paragona il momento attuale a “una marcia nel deserto”. Il deserto è, come in mezzo al mare, un luogo dove l’orizzonte non è definito. Come possiamo continuare a camminare, quale direzione prendere?
Ma, «Dio non ci dà indicazioni di cammino senza accompagnarci. Dio ha sempre camminato con il suo popolo. In Cristo, l’Emmanuel, Dio-con-noi, la strada da percorrere è Dio stesso che cammina con noi, che possiamo sempre seguire. Gesù Cristo, “Via, Verità e Vita” (Gv 14,6), è il vero orizzonte che guida i nostri passi nell’attraversata del deserto della nostra esistenza. Quando, come ora, ci sentiamo disorientati, non dobbiamo allora scrutare l’orizzonte, guardare lontano, ma accorgerci di nuovo, o magari per la prima volta, che Gesù è vicino, che è con noi, ci guarda e ci indica la strada dicendoci: “Stai con me! Seguimi!”.
È tempo di reimpostare la vita
«È tempo di rivedere, di reimpostare la vita – afferma fr.Lepori, – ha ricordato con intensità papa Francesco il 27 marzo, durante il momento straordinario di preghiera in Piazza San Pietro: “questo è “il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri”. E aggiungeva: “Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.”
«Se dobbiamo concentrarci su una cosa, pur in mezzo a tante preoccupazioni e paure – conclude Lepori – questa è proprio la presenza di Cristo con noi, qui ed ora, nella barca agitata dalla tempesta o in mezzo allo spazio senza orizzonte del deserto che dobbiamo attraversare.
«Cristo riconosciuto in mezzo a noi, trasforma ogni spazio ostile in via percorsa con Lui, con Lui che è senso e pienezza della vita. Anche la morte è via alla pienezza della vita, via al Padre, se la viviamo con Gesù. San Paolo ha riassunto questo annuncio scrivendo ai Tessalonicesi: “Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui” (1 Ts 5,10).
Questo è l’annuncio pasquale: la presenza viva del Risorto nelle nostre vite, in ogni circostanza. Ce lo ha ricordato ancora il Papa il 27 marzo: “In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi.”
Gesù è morto in Croce per essere vivo accanto a noi, per donarci di vivere accanto a Lui, anzi: di abbracciarlo, come ci invita ancora Papa Francesco: “Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza”».
a cura di A.D.