Cabra Piergiordano
Quella e questa clausura
2020/5, p. 4
In questi giorni le nostre città sembravano monasteri di clausura: le strade vuote, tutti in casa, divieto d’uscire, la vita rinchiusa tra quattro mura. E così qualcuno ha riscoperto il ruolo tradizionale dei monasteri di clausura, le cui linee telefoniche si sono intasate per le richieste più varie: dall’aiuto di preghiere, dalle confidenze di particolari situazioni, dalle insostenibili solitudini, dalle preoccupazioni per i loro cari, dal futuro minaccioso e persino dai molti “perché” che lo sconosciuto virus sollevava.

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Quella e questa clausura
In questi giorni le nostre città sembravano monasteri di clausura: le strade vuote, tutti in casa, divieto d’uscire, la vita rinchiusa tra quattro mura.
E così qualcuno ha riscoperto il ruolo tradizionale dei monasteri di clausura, le cui linee telefoniche si sono intasate per le richieste più varie: dall’aiuto di preghiere, dalle confidenze di particolari situazioni, dalle insostenibili solitudini, dalle preoccupazioni per i loro cari, dal futuro minaccioso e persino dai molti “perché” che lo sconosciuto virus sollevava.
Per alcuni è stata una scoperta dei vantaggi del vivere in regime di clausura: “Chiusi in casa da oltre un mese, isolati da tutti, seguiamo le funzioni religiose attraverso la radio o sul video e non ne perdiamo una. C’è da dire che in questo modo le famiglie sono sempre riunite e si prega tutti insieme. I sacerdoti in Chiesa, anche se vuota, mi sembra che cerchino di rendere i Sermoni più interessanti del solito, arricchiti da bellissimi canti (naturalmente registrati) per non disperdere il loro gregge”.
“Straordinari ascolti dei riti religiosi”, “dati esorbitanti” dei programmi con Papa Francesco, sottolineano i giornali.
Chiese vuote, ma famiglie riunite, attente come non mai ai programmi religiosi parrocchiali, diocesani, nazionali, offerti e apprezzati come non mai da fedeli e meno fedeli. La Chiesa, in questo frangente, meno visibile sul piano dell’assistenza, si è ripresa il suo spazio religioso e liturgico presso il popolo di Dio, grazie alla “clausura”.
Da tempo, mai una quaresima, con il “picco” della settimana santa, è stata seguita con tanta intensa partecipazione. Una vasta evangelizzazione non programmata, ma efficace. Un riunirsi attorno al mistero cristiano, alla riscoperta del valore salvifico della croce del Signore, con la luce che getta sul dolore, sulla precarietà della condizione umana, sulla morte, in una più sentita attesa della Pasqua di risurrezione.
E così la pastorale, che rischiava di essere apprezzata soprattutto per la sua pur necessaria incisività nel sociale, ha ricuperato la sua dimensione misterica, di orientamento dell’esistenza cristiana verso l’accoglienza del dono della salvezza, portata dal Signore nostro Gesù Cristo.
Se normalmente si entra in clausura, quando si comprende che questo mondo non è tutto, in questi giorni la clausura forzata ha fatto comprendere a molti che questo mondo non è tutto.
Se in clausura si coltiva il primato di Dio, la clausura imposta in questi giorni ha fatto riscoprire che siamo vulnerabili, come singoli e come società, che non siamo onnipotenti, dal momento che non tutto può essere previsto, né dominato. Non è ancora il primato di Dio, ma non è più il tranquillo diffuso sentimento dell’inutilità di Dio.
È la grande lezione che viene dalla clausura: per non illudersi sulla realtà delle cose, occorre mettere dei muretti che ci impediscono di essere dominati dalle cose. Per non essere travolti dalla vita, occorre coltivare le ragioni del vivere.
È una lezione che va raccolta in primo luogo dalla vita consacrata, perché sappia difendere la sua peculiare forma di clausura, ben consci che per andare efficacemente “in uscita” bisogna aver qualcosa di diverso da portare, un qualche cosa che non può maturare se non in uno spazio di clausura interiore.
La stessa cosa vale per ogni cristiano e per tutta la Chiesa, perché sia pronta ad annunciare la parola di Dio, quando Dio apre la porta del cuore dell’uomo. Magari usando dei grimaldelli imprevedibili, come un virus invisibile.
È nella clausura del cuore, sorretta da quella del corpo, che matura quella dimensione contemplativa della vita consacrata, sorgente d’acqua limpida per ogni stagione dell’anno, compresa quella che favorisce il contagio dei virus più imprevedibili e disarticolanti le consuete forme del vivere.
Un grazie di cuore alle nostre sorelle, che in clausura, dietro le mura, senza attendere possibili pandemie, coltivano gli antivirus necessari per una solida vita cristiana. Il Signore vi benedica!
Piergiordano Cabra