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Testimoni, storica rivista del Centro Editoriale Dehoniano, si propone di accompagnare il cammino delle comunità religiose, dei consacrati e delle consacrate, mettendo al cuore del suo programma le attese di papa Francesco, per aiutare i religiosi a leggere i segni dei tempi, a discernere ciò che oggi lo Spirito dice alla Chiesa.

 

Buona lettura.

La redazione di Settimana News
e il Centro Editoriale Dehoniano

Dall'Osto Antonio a cura
Il vangelo come punto di partenza
2020/4, p. 39
Il Papa indica con tutta chiarezza i percorsi su cui la Chiesa potrà camminare nei prossimi anni» (EG 1) ed esorta; “costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno “stato permanente di missione”» (EG 25)
PENSIERO DI PAPA FRANCESCO SULLA MISSIONE
Il Vangelo come punto di partenza
Il Papa indica con tutta chiarezza i percorsi su cui la Chiesa potrà camminare nei prossimi anni» (EG 1) ed esorta; “costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno “stato permanente di missione”» (EG 25)
Il rinnovamento-riforma della Chiesa richiama fortemente l’attenzione sull’impegno di papa Francesco per il rinnovamento-riforma della Chiesa.1 Si può dire che questa è la melodia di fondo che percorre la partitura di questi sei anni. Difficilmente si potrà capire il suo pensiero, se non si tenesse conto di questa preoccupazione che il cardinale Bergoglio portava già dentro di sé prima di essere eletto “vescovo di Roma”.2 Basta ricordare il suo intervento in una delle Congregazioni segrete che i Cardinali hanno tenuto in preparazione al Conclave: “Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare – ha affermato in quell’occasione – diventa autoreferenziale e allora si ammala. È la donna del Vangelo curva su se stessa. I mali che si verificano nel corso dei tempi nelle istituzioni ecclesiali si radicano nell’autoreferenzialità, una sorta di narcisismo teologico. Nell’Apocalisse, Gesù dice che sta alla porta e bussa. Ovviamente il testo si riferisce a chi bussa alla porta dall’esterno, per entrare. Ma penso alle volte in cui Gesù bussa dal di dentro perché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale sequestra Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire ”. Sono parole forti, ma piene di saggezza. ( cf. “La missione universale oggi”. Eloy Bueno de la Fuente. Verso una teologia della missione, SCAM). Questo è uno dei punti che il cardinale Bergoglio ha esposto nella Congregazione dei cardinali che ha preceduto il Conclave; il giorno dopo consegnò al cardinale dell’Avana, Jaime Ortega, una copia di ciò che aveva detto. Papa Francesco ci ha ricordato, ancora una volta, che il suo invito al rinnovamento della Chiesa è radicato nel Concilio Vaticano II; ci dice che “il Concilio Vaticano II ha presentato la conversione ecclesiale come l’apertura a una riforma permanente di sé per fedeltà a Gesù Cristo”; e aggiunge: Cristo chiama la Chiesa pellegrinante a una riforma perenne, di cui essa stessa, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno ”(EG 26). Perciò, in questo interesse per la riforma della Chiesa si trova la chiave che dà significato a tutto il resto; ma c’è un ingrediente nuovo che il Papa sottolinea con forza, ed è che questo rinnovamento deve essere missionario. Tutto il primo capitolo dell’EG è dedicato alla “trasformazione missionaria della Chiesa” (EG 19-49). E circa due anni dopo, nell’enciclica Laudato Si’, riaffermerà questa intenzione ricordando che la sua prima esortazione era rivolta “ai membri della Chiesa per mobilitare un processo di riforma missionaria ancora da compiere” (LS 3).
I principali cardini di questa riforma
Per esporre con sufficiente chiarezza ciò che ci sembra fondamentale nel pensiero del Papa, abbiamo scelto alcuni cardini dinamici di riforma che appaiono ripetutamente nella sua azione e nelle sue esposizioni dottrinali. In esse ci sono molti aspetti che richiedono una nuova comprensione della Missione e nuovi modi di realizzarla. Sono:
– Il ritorno al Vangelo e a Gesù di Nazaret.
– Un nuovo volto di Dio.
– Un nuovo modello di Chiesa.
– Una nuova visione del mondo.
(Roma, 9 marzo 2013, Il preambolo dell’ampio volume “La riforma e le riforme nella Chiesa”, Ed. Sal Terrae, 2016, scritto con il coordinamento di Antonio Spadaro e Carlos María Galli, con cui ha collaborato un folto gruppo di teologi, espone il problema di “una riforma missionaria della Chiesa” (pagg. 21-32).
1. Il ritorno al Vangelo e l’incontrocon Gesù di Nazaret. Il Vangelo,punto di partenzadella riforma missionaria.
Il programma di rinnovamento di papa Francesco non si appoggia sulle usanze del passato; né si nutre di fantasie del futuro. Il Papa cerca di ritornare al Vangelo senza aggiunte, così che possa essere accettato nel mondo di oggi come la grande offerta di una “vita in abbondanza” (cf. Gv 10,10). Il riferimento di fondo è nel Vangelo. È mettere il Vangelo in primo piano; e non le dottrine. Come dice il cardinale Walter Kasper, ciò che interessa a papa Francesco è il Vangelo di Dio, vivamente annunciato, celebrato e vissuto nella Chiesa. Per papa Francesco, il Vangelo è, innanzitutto e soprattutto, un messaggio attuale, vivo e palpitante. Con il Vangelo ci giunge “il messaggio più bello che c’è in questo mondo (EG 277). Ora, proponendo “il ritorno al Vangelo”, stiamo dicendo qualcosa di ovvio, ma che non sempre si ammette. Dobbiamo tornare indietro perché ce ne siamo allontanati. Senza riconoscerlo, non è possibile alcuna intesa.
Papa Francesco ci offre alcune tracce che ci aiutano a vedere cosa è successo. In primo luogo, hanno interferito i filtri che noi poniamo: “A volte, usando un linguaggio del tutto ortodosso, ciò che i fedeli ricevono nel linguaggio che essi usano e comprendono, è qualcosa che non risponde al vero Vangelo di Gesù Cristo. Con la santa intenzione di comunicare loro la verità su Dio e sull’essere umano, in alcune occasioni diamo loro un falso dio o un ideale umano che non è veramente cristiano ”(EG 41). E, in secondo luogo, nella Chiesa si sono accumulati troppi precetti, regole e rubriche che non consentono di scoprire la grandiosa e attraente bellezza della Buona Novella: “San Tommaso d’Aquino (cf. Walter Kasper “Papa Francesco. Rivoluzione della tenerezza e dell’amore. Radici teologiche e prospettive pastorali ”. Ed. Sal Terrae, 2015. Pagina 42) sottolineava che i precetti dati da Cristo e dagli Apostoli al Popolo di Dio “sono pochissimi”. Citando sant’Agostino, avvertiva che i precetti aggiunti in seguito dalla Chiesa si devono esigere con moderazione “per non appesantire la vita ai fedeli” e trasformare la nostra religione in una schiavitù, quando “la misericordia di Dio ha voluto che fosse libera”. Questo avvertimento, fatto diversi secoli fa, ha una enorme attualità. Dovrebbe essere uno dei criteri da tenere presente al momento di pensare una riforma della Chiesa e della sua predicazione che permetta realmente di giungere a tutti” (EG 43). Non forse è necessario tornare al Vangelo?
Il Vangelo e l’incontro personale con Gesù Cristo.
Il Vangelo ci offre la pienezza di vita a cui aspira ogni essere umano (cf. EG 265), l’obiettivo che dobbiamo raggiungere. E al centro del Vangelo, fonte di gioia (cf. EG 1), c’è Gesù Cristo in persona. Si può dire che Gesù è il Vangelo. Citando Benedetto XVI, papa Francesco ricorda che “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”cf. EG 7). Pertanto, l’incontro con Gesù di Nazaret è il termine del viaggio e, allo stesso tempo, è un nuovo inizio, perché Egli è colui che ci chiama continuamente a ricominciare il cammino di ricerca, di servizio a Dio e di donazione ai fratelli.
Il Papa intuisce che, dopo 20 secoli di storia della Chiesa, il modo opportuno di radicare nuovamente il cristianesimo è di incontrarsi con la persona di Gesù: “Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo o situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta” (EG 3). Abbiamo bisogno di riscoprire Gesù Cristo e il suo messaggio che cerca non solo la vera conversione del cuore, ma anche la trasformazione radicale delle strutture sociali e religiose di tutti i tempi.
2. Il nuovo volto di Dio
Il secondo cardine del pensiero di papa Francesco è costituito dal suo impegno a presentare la novità del vero volto di Dio. Un volto che il Papa non inventa. Lo trova inventato nel Vangelo; ma fa sì che lo vediamo con maggior chiarezza e fermezza.
La deplorevole eredità di un volto deforme
José M.a Mardones pubblicò nel 2008 un libro intitolato “Uccidere i nostri dei (falsi). Un Dio per un credente adulto.” Il suo contenuto è scioccante. Nell’introduzione, scrive: “Nella mia esperienza pastorale mi sono imbattuto in una triste constatazione: attorno alla sua figura - di Dio - si danno appuntamento un cumulo di paure, terrori, oneri morali, repressioni o costrizioni vitali. (...) E molti non hanno il coraggio di gettare a mare questo fardello”. Resta inteso che Mardones non dice tutto questo riferendosi a Dio, ma alle immagini false e terrificanti che abbiamo costruito e trasmesso su di Lui per secoli. Più recentemente, negli esercizi predicati a papa Francesco e ai membri della Curia, il sacerdote Hermes Ronchi fa la seguente diagnosi: “Abbiamo impoverito il volto di Dio; a volte lo abbiamo immiserito, relegandolo al ruolo di chi rovista nel passato e nel peccato dell’uomo e della donna. Abbiamo fatto forse di lui un Dio da venerare e adorare, ma non qualcuno che si coinvolge e implica, che ride e gioca con i suoi figli nelle piccole contrattazioni sotto il sole e al mare. Tutti cercano un Dio che si coinvolga.” Siamo d’accordo con questa diagnosi o sembra esagerata e fuori luogo?
Il nome di Dio è misericordia
Fin dai primi giorni come vescovo di Roma, si può costatare che il Papa ha la ferma intenzione di liberare la Chiesa da queste false immagini. La caricatura di un Dio “che premia i buoni e punisce i cattivi” non ha niente a che vedere con il Dio di Gesù, un “Padre celeste che fa sorgere il sole sui buoni e cattivi e fa piovere sui giusti e gli ingiusti (Mt 5,45).
Nella sua seconda omelia da Papa, commentando il Vangelo sulla donna adultera, manifesta in tutta chiarezza il suo pensiero: “Il messaggio di Gesù è questo: la misericordia. Per me, lo dico con umiltà, questo è il messaggio più forte del Signore: la misericordia. Il Papa sente che quel volto di Dio è la vera risposta ai desideri più profondi del cuore dell’uomo, non il Dio punitivo e terribile. Nell’intervista rilasciata al giornalista Andrea Tornielli, dopo aver affermato che il nostro tempo è un “kairós” di misericordia, compie un percorso che va da Giovanni XXIII a Benedetto XVI, passando per Paolo VI e Giovanni Paolo II, per dimostrare che, ora, sta raccogliendo il frutto dei semi del “Dio misericordia” sparsi nella Chiesa dai suoi immediati predecessori.
Non ci sorprende che il Papa si sia prodigato con tanto impegno a presentarci la misericordia di Dio. Come qualcosa di decisivo (cfr. “Le brevi domande del Vangelo”. Hermes Ronchi Ed. Paoline. 2016 p. 22. 9 Cfr. Omelia del 17 marzo 2013. 10 Cfr. “Il nome di Dio è misericordia”. Andrea Tornielli. Editorial Planeta S.A. 2016. p. 26-28. per la vita della Chiesa). Il giornalista Andrea Tornielli, dopo avergli ricordato ciò che aveva detto nell’esortazione “Evangelii Gaudium” e di averlo ripetuto in altre occasioni - che “Dio non si stanca mai di perdonare” (cf. EG 3), gli chiede: “Perché Dio non si stanca mai di perdonarci?” Il Papa risponde: “Perché è Dio, perché è misericordia e perché la misericordia è il primo attributo di Dio. È il nome di Dio”.
La rivoluzione della misericordia
Alla domanda sulla decisione di convocare un anno giubilare della misericordia, papa Francesco rispose: “Credo che la decisione sia venuta pregando e pensando all’insegnamento dei Papi che mi hanno preceduto e alla Chiesa come ospedale da campo, dove si curano soprattutto le ferite più gravi”. Con la celebrazione dell’Anno Giubilare, papa Francesco ha voluto lanciare un invito per compiere la grande rivoluzione della misericordia. In effetti, nella bolla “Misericordiae Vultus” compaiono una serie di affermazioni che confermano questa intenzione. “La misericordia – afferma il Papa – è l’architrave che sostiene la vita della Chiesa”. Questa sola affermazione mette in discussione tutta una serie di pratiche e procedimenti che sono state molto presenti nella storia della Chiesa: crociate, guerre di religione, inquisizione, processi inquisitori e divieti a destra e sinistra, con conseguenze molto gravi su persone concrete. Queste realtà sono compatibili con l’architrave maestra della misericordia? Il Papa assicura che, nell’azione pastorale della Chiesa, “tutto dovrebbe essere ammantato di tenerezza con cui si rivolge ai credenti; nulla nel suo annuncio e nella sua testimonianza al mondo può mancare di misericordia”.
Da questa risposta del papa, Tornielli ricavò il titolo del suo libro “Dio non è solo un padre, ma anche una madre che non cessa mai di amare la sua creatura”, (Cf. anche “Catechesi del papa sul Padre Nostro, 16.01.2019)
La credibilità della Chiesa passa attraverso la via dell’amore misericordioso e compassionevole ”(MV 10). Stupisce il contrasto tra quel “tutto” e quel “niente”, “tutto” rivestito di tenerezza e “niente” privo di misericordia. Per raggiungere questo obiettivo, bisognerà superare le routine e le inerzie di generazioni; e, soprattutto, si dovranno ripensare le strutture pastorali, amministrative e giuridiche in vigore oggi nella Chiesa, insieme al modo di affrontare lo studio della teologia. Rivolgendosi all’Associazione dei teologi italiani, il Papa ha affermato che “è necessaria una teologia che aiuti tutti i cristiani ad annunciare e mostrare, soprattutto, il volto salvifico di Dio, il Dio misericordioso”. In realtà, l’immagine di un Dio implacabile si oppone diametralmente al suo perdono senza limiti e alla sua infinita misericordia. Sorge una domanda elementare: oggi sarà possibile evangelizzare, mantenendo la zavorra di insegnamenti teologici estranei all’amorevole novità di Dio?
3. Il nuovo modello di Chiesa (LG 9-14; EG 102-106.111.119.120):
Breve excursus storico
Durante questi venti secoli di storia, la Chiesa ha cercato di seguire Gesù Cristo e di avvicinarsi al Vangelo. Questo è fuori dubbio. Abbiamo funzionato con una serie di norme che hanno fornito un certo servizio; ma molte altre sono diventate un fardello pesante, delle routine, senza valore e senza significato, che oggi non contribuiscono a trasformare la vita umana e non servono a rendere più attraente la fede cristiana. È vero anche che sono stati compiuti seri tentativi di rinnovamente-riforma. Uno di quei momenti forti si è verificato nella seconda metà del secolo scorso con il Concilio Vaticano II. Lì avvenne una svolta copernicana. Si parlò senza giri di parole di una Chiesa che aveva sempre bisogno di riforme. Ma, dopo oltre cinquant’anni, quel cambiamento straordinario, chiaramente evangelico, non si è realizzato come avrebbe dovuto. Ora siamo giunti a una situazione dell’ umanità in cui si rende più necessario che mai quel rinnovamento– riforma ecclesiale che deve essere genuinamente missionario. Così lo esprime papa Francesco: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa perché le consuetudini, stili, programmi, linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo di oggi più che per l’autoconservazione.”(EG 27) Per ciò stesso aggiunge, è necessario abbandonare per sempre il comodo criterio pastorale del“si è sempre fatto così ”.” Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità…. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure” (EG 34). Cristiani, sacerdoti o vescovi che si chiudessero in se stessi e non accettassero questo cammino di rinnovamento, non diventerebbero forse un grande ostacolo all’accoglienza del Vangelo nel nostro mondo oggi?
Tratti fondamentali del nuovo modello di Chiesa
Enumereremo ciascuno di questi tratti e noteremo i testi dell’EG in cui è possibile trovare il loro sviluppo.
La Chiesa intesa e vissuta come popolo di Dio (Cf. EG 111).
In cui tutti abbiano pari dignità, derivante dal battesimo, avendo chiaro che il sacerdozio ministeriale è una funzione e che nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri (Cf. EG 102.104).
– Una Chiesa in cui la responsabilità missionaria appartiene a tutti i battezzati, non solo ai vescovi, al sacerdote e alle persone consacrate (cf. EG 119.120).
– Una Chiesa che superi il recalcitrante clericalismo che mantiene i laici al margine delle decisioni e impedisce loro di essere corresponsabili della vita della Chiesa (EG 102).
– Una Chiesa in cui le donne occupino il posto che loro corrisponde, ricordando il comportamento di Gesù e l’insegnamento della lettera ai Galati 3, 28-29. (Cf. EG 103.104; Sinodo dei giovani, n. 148).
– Una Chiesa che scommette sui giovani, poiché essi sono il presente e il futuro della Chiesa (cf. EG 105.106. Documento finale del Sinodo dei giovani).
Una Chiesa, testimone della tenera misericordia di Dio (EG 24.47.112.114. 193.194.197).
– Una Chiesa consapevole che Dio la precede nell’amore (EG 24).
– Una Chiesa che esca all’incontro, offrendo sempre misericordia (EG 114).
– Una Chiesa che sia “casa delle porte aperte” e mai dogana (EG 47).
Una Chiesa povera e soprattutto accogliente verso i poveri (EG 48.53-58. 93-97. 186-201).
– Una Chiesa che si rispecchia in Gesù Cristo, vicino ai poveri (EG 186). –
– Una Chiesa che abbandoni i simboli del potere e della grandezza (EG 93-97).
– Una Chiesa che denunci l’economia dell’esclusione che uccide (EG 53).
– Una Chiesa che rifiuti l’idolatria del denaro (EG 55-57).
Una Chiesa preoccupata dell’ecumenismo
– L’impegno ecumenico risponde alla preghiera del Signore Gesù che chiede “che tutti siano una cosa sola” (Gv 17, 21). La credibilità dell’annuncio cristiano sarebbe molto maggiore se i cristiani superassero le loro divisioni e la Chiesa realizzasse “la pienezza della cattolicità che le è propria” (cf. EG 244). Dobbiamo sempre ricordare che siamo pellegrini e pellegriniamo insieme. Per questo, dobbiamo affidare il cuore al compagno del cammino senza timori, senza sfiducia, e guardare anzitutto a ciò cerchiamo: la pace nel volto dell’unico Dio (EG 244).
– Data la gravità della controtestimonianza della divisione tra cristiani, in particolare in Asia e in Africa, la ricerca di percorsi di unità diventa urgente. I missionari in questi continenti ricordano di continuo le critiche, le lamentele e le derisioni che ricevono a causa dello scandalo dei cristiani divisi. Se ci concentriamo nelle convinzioni che ci uniscono e ricordiamo il principio della gerarchia delle verità, potremo camminare decisamente verso espressioni comuni di annuncio, servizio e testimonianza (EG 246).
Una Chiesa che approfondisce le relazioni con l’ebraismo (EG 247) e il dialogo interreligioso (EG 250)
Una Chiesa veramente sinodale in cui tutti siano corresponsabili
– Il cammino della sinodalità è il percorso che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio.
– È impossibile immaginare una conversione dell’azione ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutti i membri del Popolo di Dio.(Il p. Víctor Codina, teologo gesuita, che ha trascorso gran parte della sua vita in America Latina, ci offre una visione profetica della situazione che sta vivendo oggi la Chiesa “Lo Spirito chiude la porta di una Chiesa clericale e maschilista, di una vita religiosa potente e autosufficiente; e apre le porte a una Chiesa tutta Popolo di Dio, sinodale, povera e aperta, in cui i laici, per tanti secoli emarginati e passivi, assumono la loro responsabilità ecclesiale e sociale, una Chiesa nata nel battesimo e nella confermazione, tutta ministeriale, con diversi doni gerarchici e non gerarchici dello Spirito, una Chiesa in cui tutti viviamo l’unzione dello Spirito, che ci fa vivere la fede e partecipare attivamente all’eucaristia, fonte di comunione ecclesiale e di solidarietà con i poveri e gli scartati della società”.
4. Una nuova cosmovisione
Riferimenti per una nuova visione
A partire dal ritorno al Vangelo, tenendo conto del volto di Dio-Padre che Gesù Cristo manifesta e della centralità dei poveri, si può comprendere molto meglio il significato di questo quarto cardine nel pensiero di papa Francesco. Egli contempla il mondo con uno sguardo speciale, tipico di uno che, anche in mezzo alle ombre, sa vedere i piccoli bagliori di luce e la speranza che appaiono in ogni angolo della terra. San Tommaso diceva che in base alla visione che abbiamo del mondo - creazione di Dio - questa sarà l’immagine che ci facciamo di Lui, se torniamo a questa esperienza sulla sinodalità che già hanno i fratelli ortodossi. Successivamente, su questo argomento sono stati pubblicati un importante documento della Commissione teologica internazionale (02.03.2018) e la Costituzione apostolica “Episcopalis Communio” (15.09.2018) [cfr. “Lo Spirito chiude e apre le porte”. Víctor Codina s.j. Articolo pubblicato su Digital Religion l’11 novembre 2017.] Il teologo Víctor Codina ha trascorso più di 35 anni della sua vita in Bolivia, come formatore dei gesuiti e lavorando pastoralmente in quartieri popolari. Se si pensa, si può anche dire che a seconda dei tratti che scopriamo di Dio attraverso Gesù di Nazaret, così sarà il nostro modo di contemplare la sua opera e l’intensità della nostra preoccupazione per prendercene cura.
Il mondo, campo della continua azione di Dio
La visione del mondo che papa Francesco trasmette è molto simile a quella che l’autore della Genesi mette in bocca a Dio al termine del racconto della creazione: “E Dio vide che tutto era buono “(Gn 1,31). Sembra che il Papa si sia lasciato influenzare dall’insegnamento del Vangelo di Giovanni (Gv 3,16), dove appare l’amore senza limiti di Dio per il mondo. Si collega anche con ciò che sentiva e pensava quell’altro papa passato alla storia con l’epiteto di “Papa buono”. Giovanni XXIII conosceva perfettamente le conseguenze di affrontare il mondo con la mentalità dei “profeti della sventura” e la differenza così enorme che esiste quando lo si guarda con gli occhi di Dio e lo si ama con il suo cuore. È qui dove si colloca papa Francesco. E da questo punto di vista ci offre delle tracce per affrontare tutto un sistema di relazioni:
– La relazione con la madre-terra e con tutta la creazione (cfr. “Laudato si’ 1-16).
– Uno sguardo nuovo e illuminante della realtà (cfr. EG 71-75).
– Nuovi criteri per far fronte alle relazioni umane (cfr. EG 87.88).
– Il mondo, compito per tutti noi (cfr. EG 84).
– Uno sguardo contemplativo per “riconoscere” le città in base alla presenza di Dio e all’operare del suo Spirito (cf. EG 71-75).
Le nuove accentuazioni del messaggio da trasmettere
Lo scopo della “Missio ad gentes” e del primo annuncio.
A partire da ciò che abbiamo appena detto sull’invito di papa Francesco, il primo nuovo accento dovrebbe essere posto sullo scopo che la “Missio ad gentes” deve avere oggi, sul significato del primo annuncio. Si tratta forse di battezzare quante più persone possibili, iscrivendole nei registri della rispettiva Chiesa, per liberarle dal peccato originale e dalla dannazione eterna? Per diversi secoli, lo scopo della missione è stato compreso in questo modo. Oggi non più . Allora, sarà suo obiettivo prioritario la “plantatio ecclesiae” tra i popoli e le culture non cristiane, con sufficiente clero nativo e con la creazione degli organismi diocesani? Settant’anni or sono si diceva questo con tutta naturalezza. Ha senso oggi, quando la Chiesa è messa in questione per la sua autoreferenzialità?
Per papa Francesco, lo scopo ultimo della missione non è rafforzare le istituzioni della Chiesa, ma rendere presente il Progetto di Dio per la vita del mondo, così come l’ha vissuto e trasmesso Gesù di Nazaret. È qui dove risplende “la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto” (EG 36, Cf. 39, 128.164).
Il nucleo del primo annuncio: Gesù Cristo e il suo modo di vivere
Il mandato-missione di evangelizzare non può essere orientato a trasmettere idee o a ripetere determinate formule dottrinali. Oggi, meglio che in passato, scopriamo che l’essenziale della Missione-Evangelizzazione si incentra nell’annunciare “l’amore personale di Dio che si è fatto uomo, si consegnò per noi, ed è vivo, offrendo la sua salvezza e amicizia” (EG 128 ). L’immagine di Dio da trasmettere nel primo annuncio non può essere diversa da quella del Padre misericordioso che Gesù presenta nel Vangelo, rendendo tangibile il suo gesto di amore e la sua tenerezza posti al di sopra di tutto. È rendere presente Gesù Cristo e attuare il suo modo di vivere, amando e servendo, con tutte le sue conseguenze. Dovremmo chiederci se prestiamo sufficiente attenzione al cuore di questo primo annuncio, per tornare continuamente ad esso, ogni volta che è necessario (cf. EG 164).
Nuove accentuazioni per i messaggeri
Declericalizzare la missione (EG 111.116. 120)
Tutto il Popolo di Dio è chiamato ad annunciare il Vangelo. “Il tema dell’evangelizzazione è qualcosa di più di un’istituzione organica e gerarchica, perché è prima di tutto un popolo che cammina verso Dio”. Ciò comporta alcune conseguenze elementari. La prima è che “ognuno dei battezzati, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione nella sua fede, è soggetto attivo di evangelizzazione; sarebbe inadeguato pensare a uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solo ricettivo delle loro azioni ”(EG 120). È assolutamente necessario superare il clericalismo e mettere in pratica “la missione condivisa”. Non sono “i chierici “gli unici chiamati alla Missione. Sono tutti i battezzati. La Missione non è infatti un monopolio delle Congregazioni religiose, né di Istituti o Società missionarie, è patrimonio di tutti e di ciascuno dei discepoli missionari. Bisogna lasciar da parte ogni genere di autosufficienza, credendosi al di sopra degli altri e demitizzare la figura del missionario “superman o supereroe”. Ogni cristiano, ovunque sia e operi è chiamato a sentirsi “discepolo missionario”. Ciò implica una grande sfida. I laici sono chiamati a svolgere un ruolo preponderante nella Missione; e le donne, come sottolinea il Papa, “non possono essere ridotte a delle serve del nostro clericalismo recalcitrante”. L’invito urgente che papa Francesco ci rivolge è di vivere tutti intensamente la condizione di “discepoli missionari”. È indispensabile farsi quotidianamente discepolo. La Chiesa non evangelizza se non si lascia evangelizzare (cf. EG 174). E lo stesso avviene per ciascuno dei messaggeri. È necessario superare la passività e il conformismo: la routine che ci rende incapaci di nuove iniziative. Spesso ci siamo accontentati di vivere di rendita. Ecco perché è necessario coltivare l’ammirazione e lo stupore.
Disposizioni nella vita dei messaggeri
Il missionario, come qualsiasi agente pastorale, è soggetto a tutta una serie di tentazioni o deviazioni. Il Papa, nel secondo capitolo dell’esortazione EG, dà loro nome e cognome: accidia egoista (EG 81-83); pessimismo sterile (EG 84-86); mondanità spirituale (EG 93-97); guerre, invidie e gelosie (EG 98-101). E di fronte a queste possibili deviazioni, offre un’altra serie di uscite o percorsi di realizzazione evangelica: la sfida stimolante di una spiritualità missionaria (EG 78); le nuove e arricchenti relazioni che Gesù Cristo genera (EG 87-92); e la legge sublime dell’amore fraterno (EG 101). Siamo chiamati a crescere come evangelizzatori, cercando di acquisire una migliore formazione, un approfondimento del nostro amore e una testimonianza più chiara del Vangelo. (cfr. EG 121). Poi, sulla base di tale convinzione, giungerà il momento di condividere l’annuncio con un atteggiamento umile e testimoniale di chi sa sempre imparare, con la consapevolezza che il messaggio è così ricco e profondo che sempre ci supera (cf. EG 128).
La formula “ad gentes, ad extra, ad vitam “
Questo costituiva il trittico che formava l’aureola del “missionario”. Crediamo che sia ben meritata la stima positiva di coloro che lasciano la loro terra, la loro cultura, il loro ambiente, i loro famigliari e i loro amici per annunciare il Vangelo ad altri popoli e ad altre culture, con la volontà di farlo per tutta la vita. È importante, ma, sinceramente, non sarebbe il caso di relativizzare i tre riferimenti citati? Appigliarsi ad essi, non vorrebbe dire confondere il secondario con l’essenziale della evangelizzazione? L’ “ad gentes” (andare ai “Gentili”, a coloro che non hanno sentito parlare di Gesù Cristo). Oggi, l’ “ad gentes” è diventato un “inter gentes”, dal momento che i “gentili” sono in tutti i luoghi della terra, nelle nostre famiglie e ... nella nostra stessa vita. “Ad extra” (uscir dai propri confini). Tutti sperimentiamo fino a quali estremi la mappa del mondo sia stata modificata e le distanze siano state ridotte! È vero che lasciare la propria terra e giungere in altri luoghi del mondo costituisce sempre una sfida speciale; è come un invito a rieducare lo sguardo e nascere di nuovo. Ma la missione non è una questione di luoghi ma di atteggiamenti. Ci possono essere persone che “escono” e, tuttavia, continuano a vivere di nostalgia, degli usi e costumi del loro luogo di origine.
L’“Ad vitam” (per tutta la vita). Se accettiamo il modello di Chiesa popolo di Dio e crediamo sinceramente che ogni battezzato è un discepolo-missionario, l’ “ad vitam” si applica a ogni cristiano. Ciò è per tutta la vita! D’altra parte, i modi e i luoghi di esercitare la condizione di “discepoli missionari” saranno sempre una questione secondaria; dipenderà dalla decisione che ciascuno prende, o dall’organizzazione e dai regolamenti che ciascun gruppo adotta, una volta che avranno l’approvazione della Chiesa. A che serve essere iscritti “ad vitam” in un’istituzione missionaria, se ciò che si vive è una continua routine, senza inquietudine, senza orizzonti, senza nuovi impulsi?
Per i destinatari del messaggio
I destinatari non sono “la terra di nessuno”, né un “campo raso al suolo”
È una terra preparata. Lo Spirito ha anticipato gli inviati. Quando questi arrivano, scoprono che i semi della Parola sono già piantati; e, senza che ci siano stati agricoltori ufficiali che li hanno annaffiati e curati, di giorno e di notte questi semi sono cresciuti (cf. Mc 4, 26-29). Papa Francesco, nel suo primo incontro con i rappresentanti del Cammino Neocatecumenale, ha ricordato la stessa cosa: “lo Spirito di Dio arriva sempre prima di noi. Dio sempre ci precede ”. In tutti i destinatari c’è l’impronta amorevole di Dio; sono figli suoi. Da qui, il messaggero deve sviluppare la sua capacità di ammirazione e di stupore per scoprire quella presenza. Questa percezione portò i Padri del Concilio Vaticano II ad affermare che nelle tradizioni non cristiane ci sono “cose vere e buone” (LG 16), “preziosi elementi umani e religiosi” (GS 92), “semi della contemplazione” (AG 18), “elementi di verità e grazia” (AG 9), “semi della Parola “(AG 11.15),” bagliori della Verità che illumina ogni uomo “(NA 2). Questi valori sono custoditi nelle grandi tradizioni religiose dell’umanità. Ecco perché meritano l’attenzione e la stima dei cristiani e il loro patrimonio spirituale è un autentico invito al dialogo (cf. NAe 2, 3; AG 11), non solo su argomenti convergenti ma anche su quelli divergenti.
Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo
E i cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno. Ma sempre come offerta; come chi condivide una gioia e indica un bell’orizzonte o offre un banchetto appetibile; mai imponendo o manipolando (cfr. EG 14). La Chiesa, afferma papa Francesco, non cresce per proselitismo ma per attrazione. Citando l’enciclica “Redemptoris Missio” di Giovanni Paolo II, aggiunge che l’annuncio a coloro che sono lontani da Cristo è il compito principale della Chiesa. Per questo l’attività missionaria è la sfida più grande. (cf. EG 15).
Esigenza di inculturare il Vangelo (EG 69.129).
L’annuncio del Vangelo non si compie solo da persona a persona, né con determinate formule imparate a memoria o con parole che esprimono un contenuto invariabile. Il Vangelo si diffonde in modi molto diversi. Bisogna far sí che la predicazione del Vangelo, espressa con le categorie proprie della cultura in cui è annunciato, provochi una nuova sintesi con quella cultura (cf. EG 129). “È imperativa la necessità di evangelizzare le culture per inculturare il Vangelo” (EG 69).
Per il messaggio evangelico
La pedagogia è forse uno dei campi che ha conosciuto maggiori trasformazioni a partire dal secolo scorso. E in questo campo, i nuovi accenti del processo di evangelizzazione sono particolarmente rilevanti.
Ascoltare, testimoniare e dialogare, per annunciare il Vangelo.
L’annuncio perde in parte la sua capacità di trasformare la mente e il cuore del missionario, nella misura in cui non è preceduto dall’ascolto attento, dalla testimonianza umile e dal dialogo rispettoso da parte di chi lo annuncia. Queste tre condizioni hanno acquistato una crescente importanza nella coscienza ecclesiale degli ultimi tempi.
L’ascolto. C’è sempre stata la tentazione di avere risposte pronte prima di ascoltare le domande o di offrire ricette preparate prima di conoscere le necessità. È molto significativo il dato biblico. Primo: Dio “ascolta il grido del suo popolo e conosce le loro angosce “ (cf. Es. 3,7); solo più tardi ci sarà la richiesta che il popolo ascolti la voce di Dio: “Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio” (cf. Dt 6.4). La pedagogia di Dio segna il percorso, ma i procedimenti umani sono in ritardo. Perché il Vangelo non è ricevuto come sarebbe desiderabile? Sentiamo il bisogno di imparare ad ascoltare come un modo nuovo di accostarci alla realtà? (cfr. EG 46.105.108.139.158.171) Siamo davvero capaci di ascoltare le voci e le implorazioni della gente?
La testimonianza. Durante il viaggio di ritorno dalla visita apostolica nel Myammar e in Bangladesh, il gruppo di giornalisti francesi chiese al Papa: durante questo viaggio, lei ha parlato del dialogo per costruire la pace. Ma qual è la priorità: evangelizzare o dialogare per la pace? E il Papa rispose: “La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione, cioè per testimonianza. (...) Cos’è l’evangelizzazione? È vivere il Vangelo, è testimoniare come si vive il Vangelo: testimoniare le Beatitudini, testimoniare Matteo 25, testimoniare il buon Samaritano, testimoniare il perdono settanta volte sette. E in questa testimonianza, lo Spirito Santo lavora e ci sono conversioni”. L’accento della proclamazione del Vangelo deve essere messo, oggi più che mai, sulla testimonianza di vita dei messaggeri e non tanto sulle parole; i discorsi, per quanto elaborati, servono poco, quando i comportamenti smentiscono ci�� che si predica.
Il dialogo L’evangelizzazione implica un cammino di dialogo; l’ “annuncio” richiede determinate condizioni: non imporre la verità, libertà di risposta e non ridurre l’annuncio ad alcune dottrine, a volte più filosofiche che evangeliche (cf. EG 165. 238). L’evangelizzazione e il dialogo si sostengono e si alimentano a vicenda (cfr. EG 251). Per comprendere l’importanza del dialogo di fronte al primo annuncio, è necessario scoprire che si tratta di qualcosa di più di un semplice scambio di idee; che non è una giustapposizione di monologhi, né una discussione tra soggetti antagonisti. Come diceva il noto pedagogo Paulo Freiré, il dialogo autentico si nutre di amore, di umiltà, di fede e di fiducia. E quando i due poli del dialogo si relazionano in questo modo – con amore, speranza, con fiducia l’uno dell’altro – allora si crea un rapporto di simpatia tra di essi, ed entrambi diventano “critici” nella ricerca di qualcosa comune e di migliore. Compreso in questo modo, è evidente che senza un dialogo così, non può esserci un’evangelizzazione autentica.
Accompagnare per discernere
Il bisogno di essere accompagnati e di accompagnare gli altri, diventa parte del tessuto normale dell’esistenza umana. Nel mondo che cambia in cui ci è dato di vivere, diventa sempre più difficile discernere ciò che è più conveniente e quali sono le decisioni giuste; per questo, si richiedono tante consultazioni e consigli. Lo stesso accade nel processo di evangelizzazione. Poiché tutte le dimensioni dell’esistenza umana devono essere evangelizzate, diventa necessario – afferma papa Francesco – accompagnare con misericordia e pazienza le possibili fasi di crescita delle persone nel cammino della fede (cf. EG 44).
Annunciare il Vangelo significa anche accompagnare i nuovi discepoli missionari nel cammino della vita.
Vivere la “sinodalità-corresponsabilità”
La sinodalità – camminare insieme, condividendo le responsabilità – è il modo migliore per affrontare le sfide che si presentano oggi alla Missione della Chiesa. Sebbene l’ispirazione sinodale provenga da lontano, la sua esplicitazione è, come tutti sappiamo, molto recente. Il termine “sinodalità” non appare mai nei documenti del Vaticano II. Nell’Esortazione “Evangelii Gaudium” appare una sola volta ed è per ricordare che possiamo imparare molto dall’esperienza sinodale dei fratelli ortodossi (cf. EG 246). Papa Francesco, in questi ultimi tre anni, ci sta aiutando a riscoprire questo nuovo dinamismo dello Spirito, in modo che possiamo crescere come Chiesa di Gesù. Fin dai primi passi dell’evangelizzazione, non dovremmo parlare più di “collaboratori” riguardo alla Missione, perché tutti i battezzati sono responsabili di ciò che la Chiesa è e di come agisce.
a cura di Antonio Dall’Osto
1.Le seguente riflessioni sono un estratto ricavato dal testo integrale a firma di Fausto Franco Martínez Antonio González-Mohíno Espinos, pubblicato da Misiones Extranjeras N° 288 gennaio -Marzo 2019, pp.67-8 e ripreso anche da SEDOS.
2.Nella preparazione di questo argomento, insieme ad altri scritti e autori, abbiamo trovato luci anche in due suggestive riflessioni sulla “Missio ad gentes”; una del professor Eloy Bueno de la Fuente su “La missione universale oggi” e un’altra dello SCAM – servizio congiunto di animazione missionaria.