Preghiera e riconciliazione
La prima delle sette parole pronunciate da Gesù sulla croce, nella sua dolorosissima agonia, è «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Così si esprime il Signore mentre sperimenta sempre maggior fatica a respirare, i chiodi straziano mani e piedi.
Gesù sa molto bene che i suoi carnefici hanno scelto proprio questa morte dolorosissima, perché hanno un atteggiamento crudele verso di Lui, la vittima. Le parole che si scambiano tra di loro i soldati, i commenti che sente da parte delle persone che passano per quella strada molto frequentata, mostrano una determinazione malvagia: soffra il più possibile questo crocifisso. Ai tormenti fisici, si aggiungono le parole di scherno che vengono pronunciate a commento di ciò che sta accadendo.
«Padre, … non sanno quello che fanno», così prega Gesù, per testimonianza degli astanti che lo amano. Eppure essi, coloro che lo stanno uccidendo, sapevano tutto. Hanno voluto ignorare il tormento che infliggevano, la improbabile giustizia cui facevano riferimento. Hanno perseguito con determinazione la scelta di far soffrire. Gesù sa anche che in coloro che lo torturano fino alla morte vi è ipocrisia e malvagità perché in questo gesto essi rivendicano per sé la condizione, falsa, del giudice obiettivo.
Non sapevano? Rispetto al bene e al male, nella cella più profonda e segreta del cuore, si sa dove sta la verità. Ma al tempo stesso si odia quella luce di sincerità, e la si respinge nel buio del profondo della propria coscienza. «Non sanno quello che fanno…», come afferma Gesù. Certamente costoro che uccidono il Signore umiliandolo, e spezzando il suo cuore, una verità non sanno, non hanno conosciuto l’amore di Dio per loro.
Solo all’amore è dato di comprendere il dono dell’amore. Per questo essi non sanno quello che fanno.
La preghiera di Gesù che invoca perdono per chi lo tortura a morte diviene esemplare anche per ciascuno di noi. Ci mostra che solo credendo e professando la verità dell’amore dissennato, perché mai vinto, di Dio nei confronti della creatura, si può giungere a perdonare il fratello, la sorella che ci hanno offeso, denigrato, impoverito.
Possiamo dunque individuare due vie per conoscere e praticare il perdono. Con frequenza nella Scrittura troviamo l’invito a ricordare che il perdono va dato all’offensore proprio perché sia autentica la preghiera. Gesù chiede non solo che si perdoni al fratello che ci ha offeso, ma anche che si cerchi la riconciliazione se è l’altro che ha qualcosa contro di noi. «…prima di compiere il gesto dell’offerta da porre davanti all’altare di Dio, va, riconciliati con il fratello che ha qualcosa contro di te…». A quale divinità si offre un dono, quale il riferimento ci unisce a Lui con la liturgia eucaristica se non comprendiamo il legame profondo – l’Alleanza! - che Egli liberamente ha stretto con noi come umanità, come popolo suo?
La via verso il perdono inizia guardando con gli occhi della fede la nostra situazione. Un briciolo di lealtà ci fa scoprire di essere noi stessi delle persone perdonate. Non ci è difficile riconoscere, se siamo obiettivi, che noi stessi non siamo innocenti da colpa persino nei confronti dei fratelli e delle sorelle a cui siamo decisi a rifiutare il perdono.
Nella preghiera ci è possibile riconoscere le scelte nostre personali che hanno offeso o impoverito l’altro; vanno considerate in questa linea anche le condizioni oggettive di ingiustizia, che hanno reso difficile la vita dell’altro. Di esse forse non siamo i diretti colpevoli, ma comunque sono situazioni che danno a noi vantaggi, e ad altri veri svantaggi.
Ancora più decisiva è la necessità di pregare per giungere ad un atteggiamento che apra il cuore e l’intelligenza alla meraviglia a proposito della bontà del Creatore; solo credendo alla universalità della sua unilaterale alleanza di salvezza con ciascuna creatura, siamo in grado di abbracciare e condividere con tutto il cuore la forza creativa della sua misericordia.
È importante pregare per conoscere meglio il Signore, il cui Nome è ‘misericordia e fedeltà’. Appoggiandoci a questa certezza, lo Spirito del Signore, che suscita e fa vivere in noi il dialogo personale con Dio, ci consente di abbandonare in Dio le nostre rivendicazioni, di mettere nelle sue mani le offese ricevute, di affidare la giustizia, infranta e da ricostruire integra, alla sua misteriosa ma certa opera di Creatore e Padre.
Perdonare infatti non significa abbandonare il progetto di verità delle persone, dei gesti, delle cose che Dio ha posto a fondamento della sua creazione; la parola o il gesto di perdono dichiarano che la giustizia dimenticata o tradita dal gesto di offesa, di ingiustizia, di imbroglio che hanno squassato la vita di una persona, è sempre e comunque difesa da Dio. Indubbiamente l’offeso, pregando, chiede la grazia di giungere alla sapienza del cuore che è dono dello Spirito. Nella contemplazione del Crocifisso, cresce in noi la persuasione che Dio è il custode e il difensore di ogni giustizia. A suo modo, con i suoi tempi Dio ricondurrà alla verità ciò che è stato tradito.
Giovanni Giudici