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Testimoni, storica rivista del Centro Editoriale Dehoniano, si propone di accompagnare il cammino delle comunità religiose, dei consacrati e delle consacrate, mettendo al cuore del suo programma le attese di papa Francesco, per aiutare i religiosi a leggere i segni dei tempi, a discernere ciò che oggi lo Spirito dice alla Chiesa.

 

Buona lettura.

La redazione di Settimana News
e il Centro Editoriale Dehoniano

Chiaro Mario
150 anni di presenza nel Paese di mezzo
2020/4, p. 22
Il Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) celebra quest’anno un importante anniversario: esattamente 150 anni fa partiva il viaggio dei suoi primi missionari per portare il Vangelo nel cuore della Cina.
MISSIONE INIZIATA NEL 1870
150 anni di presenza nel Paese di mezzo
Il Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) celebra quest’anno un importante anniversario: esattamente 150 anni fa partiva il viaggio dei suoi primi missionari per portare il Vangelo nel cuore della Cina.
Nella Cina oggi si contano circa 3mila preti, più di 5mila religiose e 110 vescovi. I cattolici arrivano a 12mln, su un totale di 70mln di cristiani. In un’intervista del 2018 apparsa nella rivista “Popoli e Missione” p. Gianni Criveller – missionario del PIME in Cina dal 1991 e docente universitario a Hong Kong – ha sottolineato che «il numero dei fedeli di Gesù è cresciuto soprattutto negli ultimi anni, quando si è sviluppato il fenomeno della “febbre cristiana”, definito così perché come oggi non si è mai diffuso il cristianesimo in Cina, né è mai stato così popolare e ben visto dalla popolazione». Ha aggiunto anche che «per la prima volta dai tempi di Matteo Ricci il cristianesimo non è più visto come una cosa straniera, ma come qualcosa di universale». Si sta infatti diffondendo anche la novità dei “cristiani culturali”, studiosi che si avvicinano al messaggio di Gesù non attraverso la vita ecclesiale, ma tramite l’arte, la filosofia, la musica, la poesia e la letteratura.
Nello scorso mese di marzo, tramite la Rete mondiale di preghiera, papa Francesco ha chiesto a tutti di pregare proprio per i fedeli cinesi, affinché promuovano il Vangelo, ma senza fare proselitismo, e raggiungano l’unità della comunità cattolica, che oggi è divisa. Con un videomessaggio, il pontefice ha confermato i passi decisivi compiuti nel cammino verso il recupero dell’unità della Chiesa in Cina: a partire dalla Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI del 2007, per giungere al suo Messaggio ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale del 2018, in cui ha messo a conoscenza di tutta la Chiesa dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei vescovi firmato dalla Santa Sede e dalla Repubblica popolare cinese. Il gesuita p. Frédéric Fornos (direttore internazionale della Rete di preghiera) ha sottolineato la finalità spirituale e pastorale di questa intenzione del papa, perché “favorire l’unità della comunità cattolica in Cina nella sua diversità significa promuovere l’annuncio del Vangelo. è normale che un cammino del genere sia lungo, difficile e pieno di malintesi – il Vangelo è pieno di 'malintesi' – per questo bisogna pregare”, perché il Signore aiuti la riconciliazione.
In questo complesso scenario di nuove possibilità per la diffusione del Vangelo e di un rinnovato impegno per una chiesa riconciliata in Cina, è utile ricordare che in questo 2020 ricorre un importante anniversario per il Pontificio Istituto Missioni Estere: 150 anni fa, l’8 febbraio 1870, quattro missionari guidati da p. Simeone Volonteri salpavano da Hong Kong per un viaggio che, risalendo da Shanghai i fiumi Yangze e Han, li avrebbe portati nella regione dell’Henan, nel cuore della Cina. Per quest’anniversario il Centro PIME di Milano ha avviato la campagna denominata Un'Altra Cina, per raccontare il gigante asiatico da un altro punto di vista.
La missione parte dalla città di Wuhan!
P. Angelo Cattaneo, uno di quei primi missionari, nelle sue lettere ricorda così il primo tratto del viaggio verso l’Henan: «Il 23 febbraio arrivammo a Hankow ricevuti e accolti con particolare amorevolezza dai reverendi padri francescani nella loro procura. Vi trovammo ivi ad aspettarci tre cristiani dell’Henan, mandati da Nanyang già da due mesi, onde esserci di guida nel viaggio fino all’Henan. Preparate le cose necessarie partimmo il 1 marzo con due barche cinesi: salimmo il fiume Han che è un affluente dello Yangtze». Scopriamo così che il Pime ha iniziato la sua missione nella città di Hankow, che dal 1949 ha cambiato il nome diventando Wuhan, il grande capoluogo della provincia di Hubei oggi al centro dell’attenzione per la pandemia da Coronavirus!
Il porto di Hankow a quell’epoca era il crocevia verso il cuore della Cina: grazie a una concessione commerciale ottenuta dagli inglesi, tanti europei vi arrivavano con il piroscafo da Shanghai. Per di più, Hankow già dal 1838 aveva un suo vicariato apostolico, retto dai Frati minori: una chiesa locale fondata sul sangue di due missionari lazzaristi, martirizzati durante le persecuzioni della prima metà del XIX secolo. Era ovvio dunque che i missionari del PIME, a cui la Santa Sede aveva affidato la missione, guardassero ad Hankow come a un punto di appoggio chiave, che fu utilizzato per tutti i 70 anni della loro presenza nella Cina continentale.
Vestiti con abiti cinesi, con la testa rasata e il codino secondo l’usanza locale, i missionari vivevano una vita molto povera. In quanto stranieri, subivano l’ostilità aperta degli studiosi confuciani, incattiviti dalle intenzioni coloniali delle potenze europee. I missionari incominciarono a vincere i pregiudizi con la testimonianza di un’amicizia solidale: durante una terribile carestia scoppiata nel 1877, le strutture delle missioni diventarono rifugio e soccorso per tutti. Quest’evento cambiò l’atteggiamento dei mandarini locali, grazie anche alla saggezza di p. Volonteri (dal 1873 vescovo di quella regione) che tenne le giuste distanze dall’insidioso abbraccio delle potenze coloniali. I missionari, sempre più impegnati a far crescere una chiesa dal volto cinese,seppero anche affrontare l’ondata di violenze del 1900 contro i cristiani al tempo della ‘rivolta dei Boxer’ (una ribellione sollevata da molte organizzazioni cinesi popolari, contro l’influenza straniera colonialista), confermando la loro apertura verso il paese che li aveva accolti. Purtroppo alcuni decenni dopo, con l’inizio della guerra civile tra i nazionalisti del Kuomintang (partito nazionalista cinese) e il Partito comunista, la situazione si fece molto più difficile e il PIME, all’inizio degli anni 1930, scelse di trasferire a Hankow la sua procura. Così per oltre 20 anni i missionari prestarono il loro servizio verso i confratelli delle zone più interne proprio dall’odierna Wuhan. Essi furono affiancati dalle suore Canossiane, arrivate già nel 1860 proprio accogliendo un invito di mons. Angelo Ramazzotti, il fondatore del Pime. La presenza delle suore (con opere in favore di orfani, ragazze e ammalati) ha lasciato a Wuhan un segno profondo, che ha resistito anche dopo l’espulsione di tutti i missionari stranieri decisa dal Partito comunista all’inizio degli anni 1950.
C’è tutto questo dentro la storia della città oggi in quarantena. Oltre la tentazione di scappare e isolare, c’è una Wuhan che può diventare un terreno da cui ripartire per riannodare fili di amicizia e di solidarietà.
150 anni di fili mai spezzati
Come già accennato, la storia delle relazioni tra Santa Sede e Cina ha conosciuto alterne vicende dal 1800 ad oggi: dal protettorato francese alla rivoluzione dei Boxer, dalla salita al potere di Mao Zedong alle riforme di Deng Xiaoping, fino all’apertura di un dialogo sempre più intenso nell’ultimo decennio. Dal 1870 il Pime ha però sviluppato una storia di amicizia e di missione nella Terra del Dragone, che non si è interrotta nemmeno dopo il martirio di sei padri negli anni 1941-42 e l’espulsione degli ultimi missionari rimasti sotto il regime comunista (1951-1954). Si tratta di un filo che ha resistito fino agli anni 1980. Di questi anni cruciali parla p. Giorgio Pasini, attuale superiore regionale del Pime a Hong Kong: «solo negli anni Ottanta, dopo la Rivoluzione culturale, si è potuto scoprire che nonostante le distruzioni degli edifici e tutto quanto è successo, le comunità cristiane erano sopravvissute e non avevano dimenticato i nostri missionari. E quando fu possibile rientrare almeno come turisti in Cina fu in particolare p. Giancarlo Politi a tessere di nuovo i contatti, portando aiuti e collaborando con le strutture locali per la formazione del clero» (cf. Mondo e Missione 2/2020).
In anni più recenti alcuni missionari sono potuti tornare per qualche tempo come operatori sociali. «P. Franco Mella, per esempio, da Hong Kong sia a Xuzhou sia a Kaifeng insegna come volontario nelle scuole per ragazzi sordomuti e ciechi – continua Pasini –. Ma come Istituto la scelta è stata quella di non guardare solo alle nostre ex diocesi onde evitare nostalgie o paternalismi. Così altri sono andati a Shanghai o a Pechino. E poi a Canton è nata la collaborazione con Huiling, l’ong cinese fondata da Teresa Meng Weina che si prende cura delle persone disabili. Un cammino che tuttora p. Fernando Cagnin e p. Franco Bellati continuano a seguire».
Così, come già altre volte, la Cina si presenta dunque come «il “laboratorio” missionario, dal quale ebbero inizio un ripensamento e un rinnovamento dell’opera di evangelizzazione della Chiesa cattolica destinati a estendersi al resto del mondo. D’altronde, la Chiesa cattolica in Cina non è un soggetto “straniero”, ma è parte integrante e attiva della storia cinese, e può contribuire – per la parte sua propria – all’edificazione di una società più armoniosa e più rispettosa di tutti» (card. Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, Prefazione al volume La Chiesa in Cina. Un futuro da scrivere a cura di p. Antonio Spadaro, Àncora Ed.).
Mario Chiaro