Maestra di ecumenismo
2020/3, p. 34
Maria Vingiani, fin dagli anni giovanili, manifestò la sua passione per il dialogo
ecumenico e cercò con tenacia l’incontro con le altre fedi, sino a fondare il SAE
(Segretariato per le attività ecumeniche) associazione laica e interconfessionale, nata negli anni del Concilio Vaticano II.
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PIONIERA DEL CAMMINO DI RICONCILIAZIONE
DELLE CHIESE E DEL DIALOGO CON L’EBRAISMO
Maestra di ecumenismo
Maria Vingiani, fin dagli anni giovanili, manifestò la sua passione per il dialogo ecumenico e cercò con tenacia l’incontro con le altre fedi, sino a fondare il SAE (Segretariato per le attività ecumeniche) associazione laica e interconfessionale, nata negli anni del Concilio Vaticano II.
Il 17 gennaio scorso, Giornata per il dialogo ebraico cattolico e vigilia della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, è morta Maria Vingiani. Era nata nel 1921.
Si può dire che la sua vocazione ecumenica sia nata in lei con la vita stessa, così come manifesta la sua testimonianza in una intervista rilasciata al teologo Brunetto Salvarani nel 2007. «Sono una realista, non una utopista! Me l’ha insegnato la vita stessa: in famiglia eravamo dieci tra fratelli e sorelle, con loro ho conosciuto il girovagare di città in città (mio padre, sincero antifascista, era funzionario dell’Arsenale). Nata a Castellammare di Stabia, presso Napoli, poi siamo passati a Taranto e quindi a Venezia (dove ero la terrona…) La mia vita mi ha portato sempre oltre, e non ho mai conosciuto la tranquillità di una vita normale! Ho appreso che si può vincere ogni difficoltà, e che il dialogo è sempre uno strumento formidabile…»
Cristo è venuto per tutti
Proprio a Venezia, Maria cresce nella pluralità delle Chiese cristiane, attive dentro il perimetro del centro storico della città lagunare: greca ortodossa, valdese, metodista, luterana, anglicana. Determinante è per lei la scoperta di una “contraddizione”: la pluralità è letta non sempre in modo positivo e difficile si manifesta la comunione e la fiducia reciproca. La divisione tra cattolici e protestanti diventa oggetto della sua tesi di laurea, discussa all’Università di Padova nel 1947. Un lavoro non facile all’epoca, per il quale consulta testi preclusi alla lettura dei laici, se non su autorizzazione. Maria però si rende anche conto che per capire davvero non è sufficiente studiare: il protestantesimo è sì storia, ma anche esperienza viva di fede e di Chiesa, da incontrare. E, sempre nell’intervista rilasciata a Salvarani, dirà al riguardo: «Nonostante tutto, io conservo una grande fiducia! La prospettiva è di apertura, è verso l’unità e la comunione dei popoli… I semina Verbi stanno dando i loro frutti! Il cristianesimo, di fronte a questa varietà e pluralità, è chiamato a recuperare la propria radicalità e la propria radice. Non dobbiamo avere paura del dialogo interreligioso, sia sul piano culturale sia su quello squisitamente teologico! Cristo è venuto per tutti!»
Da Venezia a Roma
Nel dopoguerra si impegna in politica e viene nominata assessore alle Belle Arti; è in quegli anni che il suo impegno per l’ecumenismo trova appoggio e forza nell’incontro con l’allora patriarca Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII. L’ecumenismo di Maria ha sempre un’attenzione culturale per «l’incontro tra gli uomini, il rinnovamento delle mentalità, il superamento dei condizionamenti ideologici e l’esigenza (anche al proprio interno) di ricerca di autenticità e democrazia». «L’ecumenismo è un dono di Dio. Bisogna assolutamente continuare a viverlo come tale, arricchirlo di doni e di generosità, di apporto e di volontà di contributo e mettere al bando la sfiducia, perché la fede si vive nella speranza» dirà la Vingiani in un’intervista rilasciata a Fabio Colagrande nel 2010.
Nella decisione di Giovanni XXIII di avviare il Concilio, Maria Vingiani vede il realizzarsi dei sogni coltivati nelle relazioni ecumeniche iniziate a Venezia; per questo lascia la città lagunare e si trasferisce a Roma, abbandonando anche la carriera politica. La sua scelta è ormai definitivamente «per la cura di una formazione “a monte”, quella “al dialogo” per una democrazia più diretta e completa, orientata non a favorire competizione e contrapposizione, ma concordia e cooperazione delle diversità, all’unico fine del bene comune, civile e religioso della collettività italiana». Nasce così su questa impostazione, all’inizio del 1963, il piccolo gruppo di avvio del SAE (Segretariato attività ecumeniche) di cui sarà presidente fino al 1996. Il lavoro di tessitura di relazioni e incontri sarà un apporto prezioso per i lavori conciliari, come testimonia anche l’altro incontro fondamentale con Jules Isaac.
Jules Isaac e Nostra Aetate
Pioniera del cammino di riconciliazione delle Chiese e del dialogo con l’ebraismo, per la Vingiani è molto importante anche il suo ruolo nell’incontro tra Giovanni XXIII e lo storico francese di origine ebraica Jules Isaac che voleva fare in modo che la chiesa cattolica cambiasse quello che lui definiva “l’insegnamento del disprezzo”. Questo, insieme ad altri fattori, origina l’idea di affidare al Concilio una dichiarazione sugli ebrei che poi diventerà la Nostra Aetate. Dunque questo legame tra il rapporto tra Chiesa e il popolo ebraico e il rapporto fra le chiese fra di loro, è una caratteristica individuata da Maria Vingiani in epoca molto precoce e molto feconda.
Jules Isaac e Maria Vingiani si erano conosciuti a Venezia il 16 settembre 1957: lo storico francese ebreo, la cui famiglia era stata deportata ad Auschwitz nel 1943, era a Venezia per motivi culturali. Là incontrò Maria, giovane assessora alle Belle Arti. Le donò il suo libro Gesù e Israele e la mise al corrente dei suoi studi sull’antisemitismo e della missione che si era dato: far conoscere Gesù agli ebrei e Israele ai cristiani. Lei gli parlò dei suoi impegni culturali e religiosi, e del patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli. «Mi era ormai chiaro – scriverà – che l’unica vera grave lacerazione era alle origini del cristianesimo e che, per superare le successive divisioni tra i cristiani, bisognava ripartire insieme dalla riscoperta della comune radice biblica e dalla valorizzazione dell’ebraismo». C’è in questa intuizione una delle grandi novità del SAE, la cui esperienza si muove «a partire dal dialogo ebraico-cristiano».
Gratitudine ed eredità
Piero Stefani, attuale presidente del SAE, sottolinea in Maria Vingiani «la figura di donna e laica impegnata nei rapporti con le altre comunità religiose in un momento storico in cui questo poteva apparire impossibile, se non addirittura sbagliato».
Il pastore battista Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), aggiunge: «Siamo grati al Signore per la lunga vita e l’impegno ecumenico di Maria Vingiani. Maria ci ha insegnato molte cose: tra queste, che l’ecumenismo esige un grande rispetto per l’identità di tutti i partner nel dialogo, e per rispettarsi occorre conoscersi in maniera non superficiale; che esso si radica nel dialogo tra le chiese e l’ebraismo, che costituisce la nostra radice; che l’ecumenismo non può essere strumentalizzato da nessuna struttura ecclesiastica».
Il teologo valdese Paolo Ricca la ricorda così: «Maria Vingiani è senza dubbio la principale artefice dell’ecumenismo in Italia. Non c’è nessuno, né uomo né donna, che abbia contribuito tanto come lei alla nascita dell’ecumenismo. È lei che lo ha concepito, esattamente come si concepisce un figlio, lo si desidera, lo si fa nascere, lo si alleva amorevolmente, pazientemente e anche con una carica di amore unica, eccezionale, particolare, come appunto quella di Maria Vingiani. Lei è stata maestra di ecumenismo, non solo per la chiesa cattolica, ma anche nella chiesa evangelica».
Un’eredità preziosa che apre alla speranza per un cammino possibile di sempre maggior comunione, nell’intento condiviso di superare le ancora numerose resistenze e difficoltà.
Anna Maria Gellini