Donne consacrate e giovani
2020/3, p. 28
Il linguaggio che i giovani comprendono è quello di coloro che danno la vita, che
sono lì a causa loro e per loro, e di coloro che, nonostante i propri limiti e le proprie
debolezze, si sforzano di vivere la fede in modo coerente.
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RIFLESSIONE ECCLESIALE AL FEMMINILE
Donne consacrate e giovani
Il linguaggio che i giovani comprendono è quello di coloro che danno la vita, che sono lì a causa loro e per loro, e di coloro che, nonostante i propri limiti e le proprie debolezze, si sforzano di vivere la fede in modo coerente.
A partire dal loro punto di osservazione privilegiato per il servizio svolto nella Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Serenella Del Cinque e Nicla Spezzati, due donne consacrate, con un prezioso scritto dal titolo Le donne consacrate e i giovani. Una presenza generativa ci aiutano a percepire i segni di futuro, a partire da quel mondo giovanile messo al centro del Sinodo del 2018. Sono i giovani infatti che rendono evidente la fine del “cristianesimo convenzionale”: la loro provocazione costringe a cercare nuove modalità di evangelizzazione, nuovi stili di presenza, nuovi linguaggi e in particolare un nuovo modo di essere per le donne consacrate. Grazie al loro contributo, possiamo presentare dunque una riflessione ecclesiale al femminile, che accoglie il presente come tempo favorevole per rilanciare percorsi vitali e umanizzanti da cui possano nascere stili inediti e attenti all’identità di genere.
La forza pro-vocativa delle donne consacrate
Il Sinodo sui giovani ha confermato la fatica di uscire dai pregiudizi unilaterali che impediscono di riconoscere le doti e il contributo originale delle donne. Oggi si sono avviate buone prassi, ma si avverte la lentezza dei processi e l’urgenza di una normalità di presenza, di ruolo, di pensiero e di azione della donna nella Chiesa. Dal dibattito sinodale è emerso l’invito a riflettere sulla fecondità della reciprocità uomo-donna in ogni ambito. Si è anche sottolineato come le donne consacrate siano abilitate, per la particolare armonia del femminile, ad ascoltare e accompagnare i giovani con uno sguardo di vicinanza, per parlare alla loro intelligenza e al loro cuore. Le parole dei giovani provocano le comunità religiose (mettendo in discussione le sfiducie, le amarezze e una strisciante disperazione) arrivando a scomodarle, perché esprimono l’urgenza di andare a cercarli dove sono, di farsi loro compagni di strada.
Comunque, in questo contesto, le molteplici forme di Vc femminile cercano di rispondere alle specifiche provocazioni delle giovani donne. Per esempio, si assiste alla rifioritura dell’Ordo virginum in tutti i continenti. La radicalità di questa forma di vita, vissuta nella quotidianità e con radicamento nella Chiesa locale, la rendono attrattiva per diverse donne. Il tratto identificante della vergine consacrata nella sua relazione col mondo è essere segno dell’amore sponsale e fecondo che unisce Cristo e la Chiesa: è la testimonianza della prossimità evangelica vissuta nel proprio contesto sociale e culturale.
Anche la vita monastica suscita una certa ammirazione e stima tra i giovani, perché intercetta l’attitudine alla ricerca mai conclusa, all’inquietudine del cuore e al desiderio di Dio. Lo stile contemplativo è segno e richiamo alla necessità di ritrovare in Dio il senso del proprio “essere gettato” nel mondo. Anche se ci sono comunità in difficoltà, numerosi sono i monasteri in cui le donne vivono un’esistenza sobria, testimoniando pace e serenità, in un contesto culturale che spesso induce al desiderio di beni effimeri e di paradisi artificiali.
E ancora, la vita religiosa apostolica rimane il segno dell’incarnazione del Verbo di Dio in Gesù Cristo, missionario del Padre, e del suo modo di vivere nella compagnia degli uomini. Tale modello di VC vissuta al femminile si manifesta in una moltitudine di cammini, vissuti nella fraternità, nella lettura dei segni dei tempi, nell’ascolto e nella cura dell’umanità. Molte consacrate, affrontando anche gravi rischi personali, manifestano già la nuova coscienza evangelica di dover stare dalla parte dei poveri e degli ultimi. Certamente la diminuzione del numero delle religiose e la crisi anche di diverse ‘opere’ pongono interrogativi per il futuro: sparisce un modello, ma le religiose sono chiamate a essere casa accogliente in modo creativo e ad assicurare la loro presenza lì dove l’humanum è più fragile.
Anche la proposta vocazionale delle consacrate negli Istituti secolari (sono 18mila, con oltre 2.500 in formazione, presenti in 129 istituti) può diventare un aiuto prezioso per le donne che si sentono interpellate dal nostro ‘cambiamento d’epoca’. Esse offrono loro modelli affidabili che aiutano a evitare sia il pericolo del secolarismo (ripiegamento su logiche mondane, che bloccano il dinamismo dello Spirito) sia il pericolo dello spiritualismo devozionalista (chiusura in forme auto-consolatorie, che frenano l’urgenza di comunicare il Vangelo in lingue nuove). Gli Istituti secolari oggi sono una chiave per le giovani chiamate ad acquisire – in modo inedito rispetto alle generazioni precedenti – un equilibrio tra il bisogno di comunicazione (lo spazio dei social) e il bisogno di custodire ciò che rende unica la persona al servizio del Regno che viene.
Infine, a riprova della vitalità della VC ad opera dello Spirito, va registrata l’attrattiva della donazione totale al Signore e l’ideale della comunità apostolica: nascono infatti nuove o rinnovate forme di vita consacrata. Esse non soppiantano le precedenti, ma testimoniano uno specifico passaggio: dalla comunione tra gli stati di vita consacrata arricchiti dai carismi alla comunione degli stati di vita in un unico carisma (sacerdoti, uomini e donne, celibi e coniugati).
Le donne re-interpretano i consigli evangelici e i modelli formativi
In questo quadro di vecchi e nuovi paradigmi, è opportuno riflettere più in profondità sulla vita religiosa dentro la complessa stagione che tutta la Chiesa sta vivendo. Giovanni Paolo II ha riconosciuto il “cammino esodale” della VC negli ultimi decenni (cf. Vita consecrata, 40). Questo cammino si sostanzia in un processo di re-interpretazione continua, a partire dalla radice pneumatologica: la VC nasce da un’esperienza dello Spirito, che genera un movimento d’amore (compassio, koinonia e contemplatio) e una vera e propria “terapia antropologica” che trasforma i consigli evangelici da assoluti astratti a dinamica di umanizzazione. La vita fraterna, di conseguenza, è vista oggi come il laboratorio quotidiano di umanità cristiana dove i volti si incontrano: il divario tra le generazioni e l’internazionalizzazione delle presenze multiculturali sono i nuovi banchi di prova. E la sequela diventa un processo aperto e graduale, che si arricchisce della stessa alleanza fraterna.
Questi riferimenti formano un nuovo orizzonte di valori, utili per verificare le attuali modalità formative necessarie alle esigenze di un umano planetario, dove vige l’interdipendenza e la globalizzazione etico-sociale. Non a caso il Sinodo sui giovani ha discusso il delicato e provocatorio tema della formazione dei seminaristi e di consacrate/i: il “cambiamento d’epoca” impone infatti un mutamento radicale dei modelli formativi. Introdurre alla vita cristiana nella consacrazione per evangelica consilia chiede un nuovo approccio integrale in cui l’attività dello spirito umano s’incontra con le scienze umane e tecnologiche. L’iniziazione alla VC ha così bisogno di una propedeutica che abiliti alla riflessione, alla ricerca di esperienze spirituali, al discernimento, alla relazionalità significativa e all’esercizio di abitare il proprio limite. Tale propedeutica va concretizzata attraverso progetti individuali e comunitari dinamici e non banali, perché si tratta di accompagnare con sapienza la persona nelle situazioni dove si verifica la vita, dove si fa la verità di se stessi. Nella fatica dell’evento educativo, che equivale a una nascita, la persona viene restituita a se stessa, alla pienezza della sua identità umana. Le donne consacrate sono chiamate a riscoprire questa esigenza di generatività: «va privilegiato il linguaggio della vicinanza, il linguaggio dell’amore disinteressato, relazionale ed esistenziale che tocca il cuore, raggiunge la vita, risveglia speranza e desideri. Bisogna avvicinarsi ai giovani con la grammatica dell’amore, non con il proselitismo. Il linguaggio che i giovani comprendono è quello di coloro che danno la vita, che sono lì a causa loro e per loro, e di coloro che, nonostante i propri limiti e le proprie debolezze, si sforzano di vivere la fede in modo coerente. Allo stesso tempo, dobbiamo ancora ricercare con maggiore sensibilità come incarnare il kerygma nel linguaggio dei giovani d’oggi» (papa Francesco, Es. apost. post-sinodale Christus vivit, 211).
Consacrate che accompagnano all’incontro personale con Cristo
Ancora secondo papa Francesco, «i consacrati e le consacrate sono chiamati innanzitutto a essere uomini e donne dell’incontro. La vocazione, infatti, non prende le mosse da un nostro progetto pensato “a tavolino”, ma da una grazia del Signore che ci raggiunge, attraverso un incontro che cambia la vita. Chi incontra davvero Gesù non può rimanere uguale a prima. Egli è la novità che fa nuove tutte le cose. Chi vive questo incontro diventa testimone e rende possibile l’incontro per gli altri; e si fa anche promotore della cultura dell’incontro, evitando l’autoreferenzialità che ci fa rimanere chiusi in noi stessi…Gesù non ci ha salvati “dall’esterno”, non è rimasto fuori dal nostro dramma, ma ha voluto condividere la nostra vita. I consacrati e le consacrate sono chiamati a essere segno concreto e profetico di questa vicinanza di Dio, di questa condivisione con la condizione di fragilità, di peccato e di ferite dell’uomo del nostro tempo. Tutte le forme di vita consacrata, ognuna secondo le sue caratteristiche, sono chiamate a essere in stato permanente di missione» (Omelia, XX Giornata mondiale della Vita consacrata e chiusura dell’Anno della VC, 2-2-2016).
In definitiva la prospettiva fondamentale del “mistero cristiano della consacrazione” attraverso i consigli del Vangelo dovrebbe essere assunto negli itinerari formativi non come dato una volta per tutte, ma come cammino di avvicinamento che parte dalle figure bibliche per giungere a contemplare il compimento: l’evento-Cristo. Lo stato di consacrazione proprio della vita religiosa si inserisce infatti in questa prospettiva dinamica se viene ricompreso come un dispositivo simbolico che rende presente la consacrazione del Figlio (e dei figli) al Padre. Questa visione offre spazio e nuova qualità per un cammino personale verso il compimento lungo le tappe della vita. Così i tre classici voti possono essere riletti all’interno di un autentico cammino di umanizzazione: si comprende la povertà solo partendo dalla benedizione della ricchezza, la castità dalla benedizione della nuzialità feconda, l’obbedienza dalla benedizione dell’ascolto (cf. Vita consecrata, 77). In questo senso si allarga l’orizzonte della sfida evangelica: le indicazioni di radicalità espresse da Gesù mettono più in evidenza la misericordia, la preghiera, la tenerezza, la riconciliazione, la sobrietà, la giustizia e la carità, che i tre classici consigli evangelici.
Per le donne consacrate tutto ciò significa operare svolte scegliendo la via di processi umili, delle intuizioni e delle azioni coraggiose, anche silenziose. In queste loro micro-rivoluzioni, il cammino verso l’umanizzazione nella statura di Cristo diventa davvero pro-vocazione che trasforma la vita orientandola al futuro.
Mario Chiaro