La Mela Maria Cecilia
Dal deserto al giardino
2020/3, p. 21
La Quaresima è itinerario di progressiva spoliazione, semplificazione, liberazione. Bisogna passare dal deserto al giardino, protesi alla gioia pasquale, per diventare veramente uomini recuperati a se stessi, alla comunità e a Dio.

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CAMMINO QUARESIMALE
Dal deserto al giardino
La Quaresima è itinerario di progressiva spoliazione, semplificazione, liberazione. Bisogna passare dal deserto al giardino, protesi alla gioia pasquale, per diventare veramente uomini recuperati a se stessi, alla comunità e a Dio.
Il tempo di Quaresima giunge a noi, ogni volta e sempre più, come occasione propizia per ravvivare il nostro cammino interiore di uomini e donne «protesi alla gioia pasquale», così come ci fa pregare l’inno dell’ufficio delle letture proprio del tempo. Un riguardarci dentro che, alla luce del percorso di fede orientato dall’ascolto della Parola di Dio, ci fa cogliere efficacemente l’esaltante esperienza di umanità che tutti ci accomuna. C’è come un sedimentare dei sentimenti, delle convinzioni, delle emozioni raccolte e raccordate in un più intenso coinvolgimento di tutto il nostro essere. Anche le pratiche ascetiche concorrono a liberaci dalla dipendenza dalle cose e dal nostro egoismo nella direzione della carità che è attenzione al prossimo nei suoi molteplici bisogni. Prolungando momenti di silenzio e meditazione possiamo accedere con più sapienza ad una lettura della storia, degli eventi, delle relazioni, di quanto ci accade e di quanto viviamo.
La quotidianità frenetica e impulsiva ci allontana purtroppo da questo – potremmo dire congenito – bisogno di fermarci e metterci in ascolto. Ecco che la Quaresima è quanto mai liberante e risanante. Essa è finalizzata a fare di noi persone maturate dall’ascolto, rese acute nel penetrare la realtà senza disfattismo, con serena analisi e propositiva condivisione. A partire prima di tutto dal nostro vissuto, da ciò che siamo e su come corrispondiamo all’opera della grazia divina nelle nostre esistenze fatte di quotidianità e novità, di pause di arresto e di slanci, di miseria e di grandezza.
Partire dalla Parola di Dio
In tutto quello che ci sconvolge e coinvolge, ci umanizza e riscatta vi è sempre l’operare del Dio che, creandoci, ci ha fatti suoi figli e interlocutori. Partendo prima di tutto dalla Sua Parola, il libro stesso della nostra vita diventa lettura, meditazione, contemplazione del creato, del divenire, del tempo e dello spazio… Una illuminazione che coglie l’essenziale, entra nel profondo, apre orizzonti. Soprattutto mette in chiaro l’essenza del cristianesimo e della vera umanità: amare Dio e il prossimo. Da questa prospettiva tutto – anche le piccole cose di ogni giorno non per nulla insignificanti – trova la sua giusta collocazione, il suo vero valore, l’intrinseca finalità della sua esistenza. Dal mercoledì delle ceneri al giorno di Pasqua il cammino è impegnativo ma possibile, perché solo così il deserto è allo stesso tempo giardino, il trionfo della luce sulle tenebre caparra di quel Cielo che ci attende ma che si affaccia, maestoso e consolante, già qui sulla terra.
L’icona del deserto
Questa riflessione vuole pertanto ruotare attorno a due icone che la liturgia quaresimale ci consegna: il deserto e il giardino, facendo riferimento ai brani evangelici della prima domenica di Quaresima e della domenica di Pasqua. Una sorta di percorso ideale, una inclusione tematica tra due poli, quello iniziale e quello finale che, come un fiume che si ingrossa progressivamente avvicinandosi al mare, ci fa contemplare il prodigio di quella trasformazione sempre in atto resa possibile dalla resurrezione di Gesù Cristo. Il passaggio che ci è chiesto da compiere è di lasciare il deserto per arrivare al giardino. La dicotomia deserto/giardino può benissimo essere accostata alle antitesi per antonomasia: peccato/grazia, morte/vita, tenebre/luce. Più che di contrapposizione, si tratta di una evoluzione, di una conversione, di un graduale processo di maturazione che partendo da una oggettiva situazione di mancanza, il deserto, porta ad una dimensione di pienezza, il giardino.
Il deserto è un luogo geografico carente di acqua e di cibo, di vegetazione e di agglomerati urbani; nel deserto la vita è a rischio, al limite della sopravvivenza. Il deserto è anche un luogo spirituale, una condizione psicologica, la condizione umana caratterizzata spesso da cocente aridità che diventa però via e porta di accesso per ritrovare se stessi incontrandosi con Dio.
Il deserto è soprattutto il luogo della tentazione: «In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito Santo, per essere tentato dal diavolo» (Mt 4,1). All’inizio della Quaresima eccoci sospinti nel deserto, insieme a Colui che «in tutto simile a noi eccetto il peccato» (Eb 2,17) si è fatto umano e solidale anche nell’essere messo alla prova. «Condotto dallo Spirito nel deserto, dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno, Gesù “ebbe fame”. In questa situazione di debolezza gli si accosta il maligno per distoglierlo dalla sua filiale adesione di amore al progetto del Padre su di lui. Alla triplice seduzione del tentatore Gesù oppone con decisa fermezza la parola di Dio: “Sta scritto…”. Non c’è arma più potente ed efficace nel combattimento contro l’antico serpente, il vero e unico nemico di Dio e dell’uomo».
Il deserto diventa allora simbolo di un itinerario riabilitativo, luogo privilegiato per una seria riflessione sulle nostre mancanze e infedeltà; è lì che si fa esperienza di Dio che, nonostante il nostro rincorrere idoli vari, il nostro io prima di tutto, rimane fedele al suo patto di alleanza. Il Signore non si stanca mai di sollecitarci invitandoci amorevolmente ad uno scambio intimo e vitale: «La condurrò nel deserto e là parlerò al suo cuore» (Os 2,16).
Il deserto ha sempre esercitato una particolare attrattiva sui grandi cercatori di Dio come ad esempio i monaci, ma anche di scrittori come Antoine de Saint-Exupéry. Il deserto è esigente, «all’inizio sembra fatto di nient’altro che vuoto e silenzio; ma solo perché non si dà ad amanti di un giorno. L’uomo che, a due passi da noi, si è murato nel suo chiostro e vive in base a norme a noi ignote, quell’uomo emerge veramente in solitudini tibetane, in una lontananza in cui nessun aereo mai ci deporrà. Inutile andare a visitare la sua cella: è vuota! L’impero dell’uomo è interiore».
Il deserto si caratterizza come il luogo dove ci è dato di ritrovare quella porta aperta che non ci era mai stata preclusa nonostante le nostre numerose incoerenze e sbandate, che ci permette di rientrare in noi stessi e di assaporare nuovamente la fragranza discreta e tenace dell’amore. L’amore di Dio è un amore che sa aspettare, che dà tempo di risalire alle sorgenti della propria umanità. Pur non cedendo alla tentazione, Gesù non si sottrae alla lotta, al confronto, per additare a noi suoi fratelli la via della salvezza e insegnarci a resistere, a non desistere, ad andare avanti. «Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano» (Mt 4,11).
La vita spirituale è una lotta contro il male, le tentazioni, lo scoraggiamento, ma “non siamo mai soli nel deserto”, diceva Charles de Foucauld che sperimentava, proprio in quel luogo solo apparentemente arido, la vicinanza di Dio tanto da sentirsi quasi accarezzare l’anima. «Proprio questo conflitto è il luogo della nostra purificazione e della nostra crescita spirituale; in tal modo impariamo a conoscere noi stessi nella nostra debolezza e Dio nella sua infinita misericordia. È, in definitiva, il modo scelto da Dio per la nostra trasfigurazione e la nostra glorificazione. Ma la lotta del cristiano, pur essendo talvolta dura, […] è la lotta di chi combatte con l’assoluta certezza che la vittoria è già assicurata, perché il Signore è risorto».
L’icona del giardino
Questa fede ha avuto un inizio storico che ci raggiunge nel nostro oggi, qui e adesso. Quando tutto sembrava esser finito e si fece scuro su tutta la terra, quando il Morente dalla croce esclamò: «Tutto è compiuto» (Gv 19,30), ecco che «nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù» (Gv 19,41-42).
Fuori le mura di Gerusalemme tutto è compiuto e tutto inizia. A partire da un giardino. Il Vivente viene addirittura scambiato da Maria di Màgdala come «il custode del giardino» (Gv 20,15): Gesù risorto è il nuovo Adamo (cfr Gn 2,8), in Lui la creazione viene redenta.
Il giardino testimone dell’evento della resurrezione – l’Eden rinnovato e ristabilito nella sua identità originaria – diventa pertanto immagine fortemente evocativa, punto di arrivo e di partenza di quel cammino che si accresce quotidianamente di un tratto di strada che, sorretto dalla speranza, ci avvicina sempre più alla pienezza della nostra vocazione ultima di uomini e di cristiani. Il cammino quaresimale è invito alla coerenza morale, a non lasciarci imbrigliare dalla mentalità mondana, a fuggire il “demonio” che abita nel nostro intimo più profondo e i tanti “demoni” che dall’esterno ci allettano con le loro lusinghe e i loro raggiri. La resurrezione di Cristo ci ha liberato dalla schiavitù e dalle tante tenebre e paure che ci attanagliano insidiose e fuorvianti. La Quaresima è itinerario di progressiva spoliazione, semplificazione, liberazione. Bisogna passare dal deserto al giardino per diventare veramente uomini recuperati a se stessi, alla comunità e a Dio.
Il giardino cui aneliamo abitare, inteso come somma finale delle tante “pasque” della nostra vita, non è altro che il frutto di una conquista, della diuturna e progressiva maturazione della nostra dignità filiale in rapporto all’imitazione del Cristo risorto. Tutta la vita diventa allora un incessante cammino di conversione e di identificazione. Il ripercorrere le tappe della storia della salvezza attraverso il ciclo liturgico annuale non dovrebbe essere altro che questo rivivere, in una dimensione sempre più accresciuta, il continuo svelarsi del grande mistero della Pasqua. Man mano che avanziamo, prospettive e conoscenze si ampliano. Occorre fidarsi e lasciarci condurre da Colui che ci parla. «Se prendiamo sul serio Dio, nel cammino che facciamo, seguendo le sue indicazioni, scopriamo progressivamente la nostra identità, il nostro compito, la nostra missione. Siamo in divenire, in costante evoluzione interiore. Chiamati a fiorire e a portare frutto ben al di là delle nostre umanissime e legittime aspirazioni».
Ecco che si può così anticipare e gustare un po’ di Paradiso anche in terra, proprio in virtù di questo incessante protendersi che si fa celebrazione e anelito, attuazione nell’oggi e tensione escatologica. Il passaggio ultimo è soltanto l’approdo finale (non nel senso della fine bensì della totalità della pienezza), la somma dei tanti passaggi della nostra vita, il completarsi del mosaico dopo che finalmente tutti i tasselli saranno collocati nel loro definitivo posto.
suor Maria Cecilia La Mela osb ap