Una frontiera di pace visibile
2020/3, p. 5
Per la prima volta i vescovi dei Paesi del “Mare nostrum” si sono incontrati a Bari,
per dialogare sulle problematiche più scottanti e tentare di offrire percorsi e proposte
condivise, alla luce delle parole di papa Francesco.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
costruire rapporti nuovi nel bacino del Mediterraneo
Una frontiera di pace visibile
Per la prima volta i vescovi dei Paesi del “Mare nostrum” si sono incontrati a Bari, per dialogare sulle problematiche più scottanti e tentare di offrire percorsi e proposte condivise,
alla luce delle parole di papa Francesco.
Dopo circa due anni di preparazione e una prima data fissata a novembre 2019, poi slittata in avanti, dal 19 al 23 febbraio scorso si sono incontrati nella città di Bari una sessantina di vescovi delle conferenze episcopali che si affacciano sul Mediterraneo. Il 7 luglio 2018 il Papa era già venuto a Bari, pregando con i rappresentanti delle diverse Chiese cristiane per la pace in Medio Oriente. In quell’occasione era stata scelta la traccia di riflessione «Su di te sia pace, Gerusalemme», dal salmo 122, conosciuto come il cantico di Sion. Il vescovo di Roma, un po’ pellegrino e un po’ riferimento imprescindibile per la CEI, di nuovo ha mosso i suoi passi verso la città ponte di unione fra Oriente e Occidente. Ha voluto dire come fare ad entrare in dialogo tra sponde che si fronteggiano e soprattutto ha offerto un nuovo modo di pensare l’uomo nel Mediterraneo.
Il Papa nelle parole di ieri
Durante la relazione data al convegno di Napoli-Posillipo (21 giugno 2019), presso la facoltà di Teologia affidata ai confratelli gesuiti, papa Francesco aveva già presentato il suo pensiero sul Mediterraneo, «mare del meticciato» e dell’integrazione tra differenti fedi e culture. La realtà di un mare plurale ci precede e ci sovrasta nella ricerca delle soluzioni che paiono migliori, di fronte ai problemi concentrati in uno spazio limitato. Il Mediterraneo non è esteso come l’oceano, ma in alcuni tratti, vicino alle rive greche del Peloponneso, è profondo oltre 5.000 metri. Lo sviluppo delle sue coste si aggira sui 46 mila chilometri e la popolazione residente ammonta a circa 450 milioni di persone.
Di ritorno dal viaggio in Giappone il Papa, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha spiegato che sarebbe suo desiderio lavorare ad una lettera enciclica sul tema della pace e della non violenza. È dai tempi della Pacem in terris di san Giovanni XXIII che la Chiesa non ribadisce la sua posizione in questo delicatissimo campo della dottrina sociale. Si corre ancor oggi al riarmo nucleare e non si può assolutamente restare semplici e muti spettatori. Dunque, abbiamo sentito dal Papa nel discorso fatto a Nagasaki, il 24 novembre 2019:
«Il nostro mondo vive la dicotomia perversa di voler difendere e garantire la stabilità e la pace sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e sfiducia, che finisce per avvelenare le relazioni tra i popoli e impedire ogni possibile dialogo. La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale; sono possibili solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana di oggi e di domani».
Le stesse parole si trovano nel paragrafo n. 1 del Messaggio per la celebrazione della 53a Giornata mondiale della pace (1° gennaio 2020), intitolato «La pace, cammino di speranza di fronte agli ostacoli e alle prove». La premessa più chiara, attinente all’incontro di Bari nelle parole di papa Francesco, è contenuta già in quel suo Messaggio.
La paura è il grandissimo nemico di relazioni simpatetiche che gli esseri umani possono provare a costruire. C’è una paura da combattere nella propria interiorità o nella cerchia familiare. Ora è la volta della paura di un ingestibile virus, sintomo della paura innata di finire. Poi la paura di una diversa opinione nella comunità ecclesiale, civile, nazionale e sovranazionale. Paure di ogni genere e grado, infiniti casi nelle declinazioni più svariate.
Nel trapezio normanno-svevo
Sede principale dei lavori baresi è stato il castello, finito nella lunga serie di opere realizzate o ampliate dall’imperatore Federico II in Puglia. Un castello nasce per l’ansia di una guerra, rocca per proteggersi dai nemici, baluardo di difesa in caso di attacco dal mare o dalla terra. Confini che hanno bisogno di essere ripensati, obiettivi che in questi giorni sono stati sostituiti. Una prova concreta di come la storia possa essere interpretata e riscritta da uomini di buona volontà, riparatori di brecce, costruttori di pace, da sempre e per sempre amati da Dio. Secondo la tradizione attestata da una lapide all’ingresso, pare che anche san Francesco in transito da Bari abbia incontrato l’imperatore in quel castello, compresa una sua camminata sui carboni ardenti.
Nei primi due giorni i vescovi si sono formati grazie ai contributi offerti da specialisti. Le tematiche principali all’ordine del giorno sono state: rapporto tra fede e vita, dialogo tra religioni e culture differenti, migrazioni e accoglienza, maggiori povertà da sconfiggere per una nuova dignità da restituire all’uomo nel Mediterraneo.
Delegazioni sul territorio
Tra le iniziative più belle e feconde nel corso dell’incontro, la sera di venerdì 21 ci sono state numerose visite nelle vicarie dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto. Insieme alla curiosità suscitata nella gente comune, i vescovi delegati sono riusciti ad attirare l’attenzione di tutti sulle difficili realtà civili ed ecclesiali che debbono animare e monitorare. Il cardinale Patriarca dei caldei, S.B. Louis Raphaël Sako, da Baghdad, ha pronunciato parole semplici e toccanti nella sua omelia-testimonianza presso la parrocchia di S. Antonio dei frati minori, nel centro di Bari.
«Sento di trovarmi a casa, poiché da noi l’ospitalità ha sempre la priorità. I frati francescani rappresentano una comunità monastica e mistica. Vengo dall’Iraq, un Paese lontano, l’antica Mesopotamia, la terra di Abramo. Anche Tommaso apostolo ci ha visitati lungo la strada per l’India. Nel III secolo eravamo già conosciuti per la nostra liturgia arricchita da canti prolungati. Attualmente i fedeli caldei sono un milione e mezzo e molti sono stati perseguitati, altri nel tempo si sono convertiti all’islam.
Oggi il Vangelo raccontava di Gesù che dice: “Se vuoi venire dietro a me, prendi la tua croce e seguimi”. Anche la nostra mistica è ricca di monaci e monasteri, che vorrebbe dire prendere ogni giorno un po’ di Gesù e portarlo dentro noi. Se saremo uniti a Lui, avremo l’immortalità. Nel 2014, 120.000 cristiani hanno lasciato terra, case, tutto a causa del Daesh. La Chiesa caldea ha aiutato quegli sfollati. Mi hanno chiamato anche alle 3 di notte per chiedermi aiuto.
L’Occidente ha da imparare da questi cristiani che hanno sofferto così tanto. Non dovremmo mai separare la Chiesa d’Occidente da quella d’Oriente, perché siamo a far parte tutti di una sola famiglia. Noi caldei siamo una minoranza ma dinamica. I musulmani apprezzano molto la nostra carità, perché riusciamo ad aiutare anche i loro profughi. Un imam una volta mi ha detto: “So che il vostro Dio è amore”. Sono convinto che la libertà religiosa in Iraq verrà e questa Chiesa che è minoritaria un giorno sarà maggioranza.
I giovani nelle piazze manifestano contro la corruzione. L’Iraq è un Paese ricco, avendo il petrolio, e adesso i giovani chiedono la separazione della religione dalla politica. La nostra forza è la nostra fede. Restateci vicini nella preghiera. Preghiamo insieme per la pace specialmente in Medio Oriente, Siria, Libia, Yemen e anche in Italia. Il Signore vi benedica!». Ai riti di Comunione ha chiesto di poter cantare per l’assemblea il Padre nostro in aramaico, la lingua della santa Famiglia di Nazareth.
La sera di sabato 22 febbraio si è sentita viva la presenza della Vergine Madre. Era in programma una veglia mariana che ha visto partecipi nella chiesa cattedrale di Bari in modo particolare i religiosi e le religiose. Eravamo con santa Maria, Stella del mare. La Vergine Odegitria è stata presente anche il giorno dopo, domenica, nell’icona collocata in modo visibile sulla sinistra del grande palco, incensata dal Papa all’inizio della solenne concelebrazione.
Il Papa parla oggi
La presenza del papa è stata molto significativa per la sua parola autorevole e la convinzione con cui l’ha offerta ai presenti. Ha definito Bari «capitale dell’unità», anche per il fatto di esserci tornato una seconda volta a distanza di poco tempo. Ha insistito sull’assurdità della guerra, a partire dal magistero di san Giovanni XXIII nella Pacem in terris. Ascoltare la parola del Papa è servito a confermare l’insegnamento dell’apostolo Giacomo: «Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia» (Gc 3,18).
Ha poi ricordato un paragrafo gioiello dell’Evangelii nuntiandi di san Paolo VI, ove si parlava per la prima volta di pietà popolare anziché di religiosità: «Il numero 48 (…) deve essere di guida nel nostro annuncio del Vangelo ai popoli». Dopo l’esame dei rischi vale la pena ricordare qui i contenuti positivi della devozione popolare:
«Se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione» (EN 48).
Insegnerà anche domani
La lettera enciclica sulla non violenza che potrebbe essere pubblicata nel prossimo futuro, ci stimolerà a prendere posizione anche in riferimento ai nostri contesti storici e geografici. Viviamo purtroppo in Paesi belligeranti. Pochi mesi fa in Libia si era alle soglie di un vero conflitto con coinvolgimento di potenze straniere, provviste di armamenti notevolissimi. L’emergenza libica non è affatto superata, nonostante si tratti di un Paese a ridosso delle “civilissime” nazioni cristiane d’Europa. E non si potrà certo dimenticare il conflitto etnico, che ha insanguinato i Balcani negli anni 1991-95.
Pace per il presente e per il futuro a partire dall’evento barese. Il lamento potrebbe mutarsi in danza e non daremo a nessuno il permesso di accusarci di ottimismo gratuito o di accumulare enfasi sulle teorie della pace. In questo senso è stata presa la decisione di sostenere un progetto di “Rondine - Cittadella della pace”, che coinvolge dodici ragazzi da sei Paesi in guerra. Al grande pranzo conclusivo di domenica 23, in un padiglione della Fiera del Levante, hanno partecipato detenuti muniti di permesso, migranti e altre persone con vari disagi.
Il linguaggio della musica
Il cantautore Ivano Fossati, in un brano intitolato «Mio fratello che guardi il mondo», nel 1992 cantava così: «Se c’è una strada sotto il mare, prima o poi ci troverà; se non c’è strada dentro al cuore degli altri, prima o poi si traccerà». Non è sbagliato voler dare risonanza alla musica cosiddetta leggera, sia perché è una lingua compresa da tutti, popolare, sia perché in determinati casi si veste di efficace semplicità. I giovanissimi riescono a cogliere molto bene questo tipo di messaggi. Brunetto Salvarani e mons. Staglianò, vescovo di Noto, ne hanno scritto in modo convincente.
Dopo l’evento di Bari è utile ricordare le parole che il sacerdote recita nel Prefazio della Preghiera eucaristica I della Riconciliazione: «Anche a noi offri un tempo di riconciliazione e di pace, perché affidandoci unicamente alla tua misericordia ritroviamo la via del ritorno a te». Chiunque - vescovo, presbitero, religioso, laico, persona credente o meno - in questo frangente può far suo il progetto della riconciliazione come ritorno al Padre. Nei nostri giorni misericordia e riconciliazione sono due dimensioni da riscoprire con la massima urgenza, così come papa Francesco le ha volute evidenziare dai primi tempi del suo servizio alla Chiesa e al mondo.
Aggiornamenti ulteriori
Alcuni contributi sono stati pubblicati esattamente in occasione di questo evento. Presentiamo qui solamente i più recenti. Il card. Bassetti ha messo insieme dei suoi interventi sul Ven. Giorgio La Pira e il sogno della “Pax Mediterranea”, dando di recente alle stampe Una profezia di pace.
Essere mediterranei. Fratelli e cittadini del “Mare Nostro” è una raccolta di saggi curata da P. Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, che segue costantemente il Papa nei suoi spostamenti. La rivista della Facoltà Teologica Pugliese, Apulia Theologica, nel primo numero del 2020 è uscita sotto forma di monografia intitolata Mediterraneo, sorgente inestinguibile di creatività. Sono parole ricavate dallo Statuto dei Colloqui Mediterranei, che si tennero per volere di La Pira dal 1958 in poi. Infine, P. Luigi Orlando ofm ha curato un’altra raccolta, Mediterraneo senza frontiere. La chiesa e i religiosi. Cultura spiritualità arte, con cinque saggi collocati negli orizzonti diversi di Sacra Scrittura, storia, vita consacrata e francescanesimo.
Prossimamente a Palermo si vivranno due importanti appuntamenti. A maggio (17-19) un convegno internazionale della rivista Concilium e della Società Italiana di Ricerche Teologiche (SIRT), intitolato Confini: una prospettiva dal Mediterraneo. Infine, dal 6 al 9 ottobre 2020, il Capitolo delle Stuoie dei frati cappuccini che, da sempre noti come frati del popolo, proveranno a riflettere sull’identità di “frati dei popoli”. Di certo sarà impossibile prescindere da quel che l’evento di Bari ha significato, da una sua necessaria ricezione nella vita dei consacrati e delle Chiese di tutta la regione mediterranea.
PIER GIORGIO TANEBURGO, ofm.cap.