La teologia del carisma dopo il Vaticano II
2020/2, p. 39
La teologia del carisma, intesa come dono
dello Spirito a un determinato fondatore o
stato di vita ecclesiale, è ancora fragile.
Tuttavia, l’ orientamento trinitario del
carisma, così come le sue componenti
ecclesiologiche costitutive, consentono un
primo discernimento sul dono che lo
Spirito ha fatto ad un istituto.
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Il magistero e la novità del carisma
La teologia del carismadopo il Vaticano II
La teologia del carisma, intesa come dono dello Spirito a un determinato fondatore o stato di vita ecclesiale, è ancora fragile. Tuttavia, l’ orientamento trinitario del carisma, così come le sue componenti ecclesiologiche costitutive, consentono un primo discernimento sul dono che lo Spirito ha fatto ad un istituto.
È un lungo percorso, forse una tesi in più, che ci attenderebbe se volessimo seguire passo passo questo importante filone dottrinale dell’insegnamento della Chiesa sulla vita consacrata che è la teologia del carisma; bisognerebbe come sempre ripartire dalla Scrittura, poi da tutto il Concilio per osservare ciò che avviene in seguito nel magistero successivo – e quale magistero! – (vedere la tabella riepilogativa). Io scelgo di sottolineare questi momenti forti che sono l’esortazione apostolica di Paolo VI ai religiosi Evangelica testificatio (1971), le direttive del nostro dicastero sui rapporti tra vescovi e superiori religiosi Mutuae relationes (1978); quindi si giungerà, attraverso l’esortazione postsinodale di Giovanni Paolo II Vita consecrata (1996) ,ai tempi in cui siamo, con Iuvenescit Ecclesia. Questa nomenclatura deve tuttavia essere ponderata in base al grado di autorità di questi diversi documenti: al sopra di tutto il Concilio, quindi l’esortazione Vita consecrata in collegamento con un sinodo generale sulla vita consacrata, poi l’esortazione pontificia di Paolo VI; i documenti rilasciati dalla Curia devono essere gerarchizzati secondo il loro genere letterario, ma anche da chi li ha trasmessi: la Dottrina della fede prevale sempre, come sappiamo, sugli altri dicasteri, ma non sul magistero straordinario e universale.1
1. La Scrittura
Per farla in breve, su questo punto sorgivo, si può consultare l’articolo firmato da padre A. Vanhoye, “Charisme” nel Dizionario di teologia fondamentale, che riprende tutti i testi e tutte le interpretazioni fino ai nostri giorni. Vi offro la sostanza nei miei primi due punti. Il termine significa “dono grazioso”, “gratificazione”. Non ha alcun uso noto nel greco classico, e soltanto quattro nel latino classico (con il significato di “dono”). Al contrario, si riscontra più spesso nel NT: 16 volte nelle lettere di Paolo e una volta in 1Pt 4,10. Questi testi e la tradizione successiva propongono due diverse concezioni del carisma, come un dono straordinario concesso da Dio in modo eccezionale (e che possono essere utili sul piano personale, come nel caso della glossolalia), o come un dono di grazia ordinario. accordato da Dio per la crescita della comunità ecclesiale. Queste due concezioni saranno oggetto di una vivace discussione al Concilio Vaticano II, al momento della redazione di Lumen Gentium, in particolare tra il cardinale Ruffini, interprete della prima, e il cardinale Suenens, ardente difensore della seconda. Sappiamo che è stata la posizione di Suenens a prevalere.
2. Al Concilio: Lumen Gentium (1964)
Il Vaticano II usa la parola “carisma” 14 volte; ecco le indicazioni:
1964
LG 12 (cit. da 1 Tess 5,12 e 19-21): né sacramento, né ministero, grazie gratuite
LG 30 ministeri e carismi propri dei laici
LG 25, carisma dell’infallibilità del magistero supremo
LG 50 carismi di Dio donati ad alcuni per essere imitati da altri
1965
DV 8 “carisma certo di verità” dei pastori
PO 4 carismi dei predicatori
PO 9 carismi dei laici che devono essere accertati dai sacerdoti
AA 3 Spirito Santo concede ai fedeli doni particolari; dalla recezione di questi carismi risulta per i credenti il diritto e il dovere di esercitare tali doni
AA 30 carismi che lo Spirito Santo dona a certi laici per il bene dei loro fratelli
AG 23 lo Spirito che elargisce i carismi per il bene della Chiesa (1 Cor 12, 11) ispira la vocazione missionaria
LG 28 i cristiani devono collaborare al Vangelo, ciascuno secondo il proprio carisma e ministero (1 Cor, 3,10 s.). Notiamo la diversità dei protagonisti. Il testo di Lumen gentium 12 è sicuramente il più fondamentale, teologicamente; si trova nel capitolo II, nel paragrafo che tratta della funzione profetica del Popolo di Dio. I carismi sono presentati come grazie speciali (gratias speciales) che lo Spirito distribuisce ai fedeli di ogni categoria, che “li rendono atti e disponibili a svolgere varie attività e uffici (opera vel officia) utili per il rinnovamento e il maggiore sviluppo della Chiesa”.
Il senso della fedee i carismi nel popolo cristiano
Il popolo santo di Dio partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e coll’offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome suo (cf. Eb 13,15). La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cf. 1Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando «dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici» (cf. S. Agostino, De Praed. Sanct. 14,27; PL 44, 980) mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cf. Gd 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita.
Inoltre lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma «distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui» (1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo quelle parole: «A ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio» (1 Cor 12,7). E questi carismi, dai più straordinari a quelli più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi, vanno accolti con gratitudine e consolazione. Non bisogna però chiedere imprudentemente i doni straordinari, né sperare da essi con presunzione i frutti del lavoro apostolico».
Questi carismi possono essere più radiosi o più ampiamente diffusi. «Con questa precisione, scrive p. Vanhoye, il Concilio rifiuta di ridurre la nozione di “carisma” a doni straordinari e miracolosi, ma lo applica ai doni più modesti e meno rari, come quelli menzionati in Rm 12, 6-8». La prassi della Chiesa, incoraggiata dal Concilio, è di accogliere con gratitudine e gioia spirituale i vari carismi. Per quanto riguarda i carismi straordinari, il Concilio dichiara che «il giudizio sull’autenticità di questi doni e sul loro uso ben regolato spetta ai pastori della Chiesa che hanno la responsabilità non di estinguere lo Spirito ma di esaminare tutto e di ritenere ciò che è buono».
Un’applicazione abbastanza frequente di questa norma, continua padre Vanhoye, riguarda il carisma dei veggenti che affermano di essere favoriti da rivelazioni speciali, e un’altra, il carisma dei fondatori e fondatrici di nuovi istituti di vita consacrata. Eccoci al punto.
Vanhoye continua:
«Il concetto di carisma passa così da un significato individuale (1 Cor 12,7-10) a un senso comunitario e acquista la possibilità di una durata indefinita, collegata all’istituzione. Fedele all’insegnamento del Concilio, il nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983, applica ugualmente agli istituti di vita consacrata l’espressione di Rm 12.6 sulla diversità dei carismi e richiede ai membri di ciascun istituto la fedeltà allo spirito del fondatore (CIC § 577-578). Si giunge così ad un accordo fondamentale tra le norme giuridiche e l’ispirazione carismatica: cosa che corrisponde bene alla struttura della Chiesa, che è insieme carismatica e istituzionale».
Evangelica Testificatio (1971)
Contrariamente a quanto spesso si crede, il Concilio, che ha impiegato l’espressione “testimonianza evangelica” (evangelica testificatio) in Ad gentes 40, non usa quindi il termine “carisma” per designare la grazia che sarebbe propria, per esempio, a un istituto religioso. Questo avverrà nell’esortazione Evangelica testificatio di Paolo VI (29 giugno 1971), ai numeri 11 e 32. Il termine carisma, in Evangelica testificatio, designa la grazia propria di un fondatore, di un istituto, della stessa vita religiosa. Leggiamo infatti, al numero 11 (Il carisma dei fondatori):
«Solo così voi potrete ridestare i cuori alla verità e all’amore divino, secondo il carisma dei vostri fondatori, suscitati da Dio nella sua chiesa. Non altrimenti il concilio giustamente insiste sull’obbligo, per i religiosi e per le religiose, di esser fedeli allo spirito dei loro fondatori, alle loro intenzioni evangeliche, all’esempio della loro santità, cogliendo in ciò uno dei principi del rinnovamento in corso ed uno dei criteri più sicuri di quel che ciascun istituto deve eventualmente intraprendere. Il carisma della vita religiosa, in realtà, lungi dall’essere un impulso nato “ dalla carne e dal sangue “ (Gv 1,13) né derivato certo da una mentalità che “ si conforma al mondo presente “ (Rm 12,2), è il frutto dello Spirito santo, che sempre agisce nella chiesa».
E al numero 32 (Fortificare l’uomo interiore):
«Durante questo cammino, un aiuto prezioso vi è offerto dalle forme di vita che l’esperienza, fedele ai carismi dei diversi istituti, ha fatto adottare, e di cui essa ha variato le sintesi e propone incessantemente nuovi sviluppi. Per quanto diverse siano le modalità, questi mezzi sono sempre ordinati alla formazione dell’uomo interiore. Ed è la premura di fortificarlo che vi aiuterà a riconoscere, nell’ambito di tante sollecitazioni diverse, le forme di vita più appropriate. Un eccessivo desiderio di flessibilità e di spontaneità creativa può far tacciare, in effetti, di rigidezza il minimum di regolarità nelle consuetudini, che la vita delle comunità e la maturazione delle persone ordinariamente richiedono. Slanci disordinati, che si appellano alla carità fraterna o a ciò che si crede mozione dello Spirito, possono condurre le istituzioni anche al loro sfacelo».
Padre Régamey, che fu il principale redattore di questa esortazione di Paolo VI, vedeva due significati nel termine “carisma” per aiutare a comprendere la vita religiosa come una vita carismatica. In senso generale, significa un favore gratuito concesso per il bene comune. In senso particolare, i carismi sono esperienze dell’azione dello Spirito, passeggeri e particolarmente liberi.
È la prima volta in un documento ufficiale che il termine “carisma” è stato particolarmente collegato con la vita religiosa. Vengono usate tre espressioni: “carisma della vita religiosa”, “carisma dei fondatori” (ET 11) e “carisma dei vari istituti” (ET 32). Régamey insiste sul fatto che un carisma non viene semplicemente dato né che si possa così riposare su di esso: al contrario, deve sempre essere attualizzato. Questa è una fedeltà viva ai carismi.
Questo significato applicato ai religiosi ha avuto fortuna in seguito all’’esortazione, ma l’ultima redazione del Codice del 1983 lo eviterà ovunque: papa Giovanni Paolo II ha fatto sempre sostituire nella parte destinata agli istituti di vita consacrata, il termine “carisma” con “dono” o “grazia”; i canoni che riguardano ciò viene chiamato affrettatamente “carisma”, usano, come si legge nel Documento preparatorio, il termine “patrimonio” – la cui specificità è affidata alla vigilanza dei vescovi e, da un’altra parte, del capitolo generale (c. 586; cf. 631, 638). La definizione viene data una sola volta:
Can. 578: “L’intendimento e i progetti dei fondatori, sanciti dalla competente autorità della Chiesa, relativamente alla natura, al fine, allo spirito e all’indole dell’istituto, così come le sane tradizioni, cose che costituiscono il patrimonio dell’istituto, devono essere da tutti fedelmente custoditi”.
Ciò significa almeno che la recente nozione doveva ancora affermarsi. Ha, come abbiamo detto, le sue risonanze paoline e la sua storia.
Ma anche che il carisma di un istituto deve essere inteso come un dono da attuare nella comunità, che trasmette modi specifici di pensare e agire, affidati a ogni generazione di consacrati come un bene da custodire. vivere e da trasmettere ancora. Ora, ciò che viene trasmesso è questo stile di vita spirituale, questo modo umano di agire, questa maniera evangelica di comprendere il mondo, questa certezza di essere prima di tutto riferiti a Dio in Cristo – tutto questo, con il colore, o nel modo determinato dalla vita del fondatore e / o dai suoi scritti, o anche dal modo in cui la generazione degli inizi ha potuto coglierlo.
Notiamo che Lumen gentium, nel capitolo VI dedicato ai religiosi, aveva tentato una tipologia delle varie forme di vita religiosa a partire dai misteri di Cristo, ed è ancora una via da approfondire. Secondo il numero 46 di Lumen gentium, attraverso i religiosi, la Chiesa deve manifestare Cristo sia nella contemplazione, sia in chi annuncia, guarisce, converte, benedice i bambini, in quanto compimento totale della volontà del Padre che lo manda Questa tipologia, essenzialmente cristologica, è organizzata attorno alla vita pubblica di Cristo. Se ne possono proporre altre, più fenomenologiche, come quella del decreto Perfectae caritatis. Possiamo anche scoprire che un luogo evangelico è più ricco di ispirazione di altri (come la croce per i Passionisti), ma ciò allora implicherebbe di non farsi in qualche modo rinchiudere – S. Breton l’ha mostrato per la sua stessa famiglia religiosa, approfondendo l’inizio della prima ai Corinzi per meglio comprendere Giovanni 19, che l’ha rinviato all’inno dei Filippesi e a Matteo 25.
Un carisma è senza dubbio sempre un equilibrio instabile di componenti apparentemente incompatibili (si trattava in questo caso di essere insieme servo, amico, sposo, figlio, rispettivamente nella docilità, lo scambio, l’oblazione, l’abbandono, “l’estasi “), che ogni generazione cerca di saldare in un’ispirazione sempre più profonda.
Mutuae Relationes (1978)
Con queste “Direttive” (la cui rielaborazione è annunciata da alcuni anni come imminente), si è aperto il tempo in cui, nonostante le vecchie competizioni, i rapporti tra vescovi e religiosi possono essere “mutui”, per il fatto che il carisma religioso e l’istituzione gerarchica sono concepiti come doni del medesimo Spirito. Riprendendo da Lumen Gentium (LG 4) e Ad Gentes (AG 4) la dottrina dell’unità e della fecondità della Chiesa che si opera “grazie alla diversità dei doni gerarchici e carismatici” dello Spirito Santo, il numero 2 di Mutuae relationes sottolinea subito una logica che rifiuta l’opposizione tra la vita religiosa e le strutture ecclesiali, come se, dice ancora il n ° 34 «quasi potessero sussistere come due realtà distinte, l’una carismatica, l’altra istituzionale; mentre ambedue gli elementi, cioè i doni spirituali e le strutture ecclesiali, formano un’unica, benché complessa, realtà» (cf. LG 8; una allusione al teandrismo di Cristo). Già prefigurata nell’enciclica Mystici Corporis di Pio XII l’ “ecclesiologia di comunione” di tutti i ministeri, gradi, condizioni, stati, ordini o funzioni del corpo ecclesiale si fonda ovviamente sulla vita trinitaria che è anche il suo orientamento.
Non si dirà, tuttavia, che la vita religiosa rappresenti il “polo spirituale” della Chiesa, mentre la gerarchia sarebbe il suo “polo cristologico”. Fondando la “comunione ecclesiale” sia in Cristo che nello Spirito, Mutuae Relationes esclude questa prospettiva, anche se il documento riconosce fermamente alla vita religiosa una natura carismatica (MR 19) e al ministero episcopale la funzione di Cristo -capo (MR 6). Ma la vita religiosa è anche una sequela di Cristo (MR 10), mentre il ministero episcopale è esso stesso un carisma spirituale (MR 9, 17, ecc.).
«Un esempio quasi limite di questo scambio di termini è la descrizione, al numero 13, del servizio proprio dei superiori religiosi, paragonato “per analogia” alla triplice funzione del ministero pastorale. Giudicato severamente dai commentatori, questo “paragone”, per quanto sia delicato da maneggiare, è tuttavia indicato come una semplice conseguenza del ruolo attribuito alle Mutuae Relationes allo Spirito Santo, fonte della crescita della Chiesa e della convergenza missionaria dei vari doni che la costituiscono».
Per la vita religiosa, ciò significa soprattutto che essa non può pensare il suo rapporto con i vescovi se non in termini di “mutue relazioni”, che implicano una consistenza propria ricevuta non solo dalla gerarchia, ma anzitutto dallo Spirito. In altre parole, Mutuae Relationes comporta, con la sua “ecclesiologia pneumatologica”, la necessità per la vita religiosa di fondare il suo orientamento pastorale – sollecitata quanto la sua fedeltà alle “opere proprie “ – in una libertà che servirà tanto meglio le necessità della Chiesa locale, e di conseguenza della Chiesa universale, quanto più si identificherà con il “dono dello Spirito alla Chiesa” che per Mutuae relationes è ogni istituto.
Nessun altro documento, sia conciliare che postconciliare, fino ad allora, aveva sottolineato questa dimensione spirituale dell’istituzione religiosa, e nello stesso tempo questo carattere carismatico della gerarchia ecclesiale. Ma se la vita religiosa, sequela di Cristo, si colloca nello Spirito, e se il ministero pastorale è costituito da Cristo come il garante carismatico di questa istituzione, allora la vita religiosa rappresenta un luogo privilegiato in cui si manifesta nella Chiesa l’unità di Cristo e dello Spirito.
Alcune note di un vero “carisma”
Mutuae relationes comprendeva anche diverse indicazioni circa i criteri di un vero carisma (MR 9 c, 11-12, 14 c) e scriveva ancora (MR 51) queste linee ispiratrici:
a) Per dare un giudizio sull’autenticità di un carisma, è necessario che si realizzino le seguenti condizioni: una particolare ispirazione dello Spirito Santo, distinta dai doni personali, anche se non separata, e che si manifesta nell’azione e nell’organizzazione;
b) un profondo desiderio dell’anima di conformarsi a Cristo per testimoniare alcuni aspetti del suo mistero;
c) un amore costruttivo per la Chiesa, che rifiuta assolutamente di provocare qualsiasi discordia.
Inoltre, la figura dei fondatori richiede che si tratti di uomini e donne la cui provata virtù (cf. LG 45) rivela una vera docilità verso la Gerarchia sia nella risposta all’impulso ricevuto dallo Spirito.
Quando si tratta di nuove fondazioni, è necessario che tutti coloro che devono giudicare si esprimano con chiara prudenza, con una paziente valutazione e giuste esigenze. Questa responsabilità deve essere sentita principalmente dai Vescovi, successori degli Apostoli, “alla cui autorità lo Spirito stesso sottopone anche i beneficiari dei carismi” (LG 7) e ai quali spetta, in comunione con il Romano Pontefice, “stabilire la dottrina dei consigli evangelici, regolarne pratica e istituire forme di vita stabili sulla base di questi consigli” (LG 43).
Continuiamo il nostro percorso e veniamo al testo principale pubblicato dopo il Vaticano II.
Vita consecrata (1996):triplice orientamento del carisma
Uno dei maggiori contributi del documento, oltre alla meditazione sull’icona della Trasfigurazione e sul tipo di consacrazione, consiste nella descrizione, nella prima parte, del carisma fondante. Il numero 36 presenta un approfondimento di questa dottrina, dove riconosce nel carisma fondatore un triplice orientamento costitutivo (VC 36): anzitutto verso il Padre, con la ricerca della sua volontà, in una conversione continua in cui l’obbedienza è fonte di libertà, la castità esprime l’infinita tensione del cuore, la povertà nutre la fame e la sete di giustizia che Dio ha promesso di saziare (notiamo questo primo orientamento trinitario dei consigli, tutti riferiti al Padre). Ugualmente verso il Figlio, con il quale si tratta di intrattenere una comunione di vita intima e gioiosa, di partire in missione, di lavorare e di soffrire. Verso lo Spirito Santo, infine, che guida e sostiene nel cammino spirituale, nella vita di comunione, nell’azione apostolica, in breve, nell’atteggiamento del servizio autenticamente cristiano. Pertanto, “è sempre questa triplice relazione che risalta da tutti i carismi fondatori e c’è qui un carattere chiamato a concretizzarsi e a svilupparsi nella tradizione dell’Istituto”. Se si capisce bene, il Padre, “principio senza principio”, “fonte e origine della Divinità” come lo intendono, dopo i Padri greci, gli occidentali, è il riferimento finale dei tre consigli. La comunione con il Figlio, inviato nel mondo, è il principio della missione. La vita nello Spirito Santo è la via di questa comunione e di questo apostolato. Senza mai sottolinearlo molto, il documento segna spesso un vero pneumatocentrismo e ciò che segue lo mostra, poiché viene fermamente chiesto ai consacrati di esercitarsi nell’aiuto spirituale (scuole di preghiera, esercizi e ritiri spirituali, giorni di solitudine, ascolto e direzione spirituale, 39), cosa ripetuta più di una volta: con l’auspicio pressante che i consacrati siano guide competenti della vita spirituale per i laici (55), che gli istituti si presentino come scuole di autentica spiritualità (93), che i consacrati propongano agli altri membri del Popolo di Dio la loro meditazione comunitaria della Bibbia (94), in breve, che possano offrire la loro accoglienza e il loro accompagnamento spirituale a tutti coloro che cercano Dio (103 ).
Senza imporre la ricerca di formulazioni trinitarie letterarie negli enunciati fondatori, il carisma della vita consacrata è inteso quindi innanzitutto nella sua dimensione trascendente: non come un dovere di offrire tale servizio in una determinata epoca, o di adattarsi al meglio ai bisogni del tempo, ma come la necessità di entrare nella realtà viva dell’opera di Dio: “Da questa opzione prioritaria, – per la vita spirituale – dipendono la fecondità apostolica, la generosità nell’amore per i poveri, come anche l’attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni” (93).
In questo modo, la luce stessa della Trasfigurazione, l’orientamento trinitario dei consigli, la peculiarità della vita consacrata tra le altre vocazioni cristiane, l’approfondimento trinitario e missionario della dottrina del carisma formano la sostanza dottrinale della Confessio Trinitatis propria di questa prima parte di Vita consecrata, la più inaspettata per coloro che hanno seguito da vicino i lavori del Sinodo, quella che senza dubbio rimarrà come una formidabile fonte di ispirazione e di azione.
Iuvenescit Ecclesia (2016)
Occorre prendere in considerazione anche la Lettera Iuvenescit Ecclesia ai Vescovi della Chiesa cattolica sul rapporto tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa, del 15 maggio 2016, festa della Pentecoste. Si trattava di fornire dei criteri per il discernimento delle “nuove associazioni ecclesiali”. Come abbiamo detto, se il carisma è appannaggio del fondatore e tramite lui dell’istituto, esso si trasmette istituendosi o si istituisce trasmettendosi. Non è per sua natura in contrasto con la gerarchia. Avrete letto nel documento preparatorio gli 8 criteri per il discernimento dei doni carismatici indicati al numero 18; li ricordo in sintesi (senza soffermarmi sulle note); torneremo presto su questo:
a) Primato della vocazione di ogni cristiano alla santità
b) Impegno nella diffusione missionaria del Vangelo
c) Confessione della fede cattolica: ogni realtà carismatica deve essere un luogo di educazione alla fede nella sua integrità
d) Testimonianza di una reale comunione con tutta la Chiesa: il Papa, il vescovo; la partecipazione sul piano nazionale e internazionale
e) Stima e riconoscimento della reciproca complementarietà di altre componenti carismatiche nella Chiesa. Una vera novità suscitata dallo Spirito non ha bisogno di mettere in ombra altre spiritualità e doni per affermare se stessa.
f) Accettazione dei momenti di prova nel discernimento dei carismi: la giusta relazione tra vero carisma, prospettiva di novità e sofferenza comporta una costante storica: è il legame tra il carisma e la croce.
g) Presenza di frutti spirituali di carità, gioia, pace e maturità umana (cfr Gal 5, 22).
h) Dimensione sociale dell’evangelizzazione.
Se si cerca di articolare questi punti tra loro, si dirà che nel carisma convergono consacrazione e missione (a e b), kerygma e martyria (c-d), nella koinônia dei ministeri e delle diaconie (e ed f); la croce loro inerente (f) e a questa condizione, la sua fecondità gli viene dall’alto (g), e prende forma sociale ed evangelizzatrice (h). Kerygma, martyria, koinonia sono, insieme con leitourgia come piace ai cattolici aggiungere, i ritmi stessi di ogni ecclesiologia cattolica sin dall’inizio degli Atti degli Apostoli, come aveva già notato padre Congar. In modo che, diceva padre Congar, abbiamo quattro termini così ordinati:
– l’insegnamento degli apostolimartyria
– la comunione fraternakoinônia
– la frazione del pane e le preghiereleitourgia
– il servizio degli uominidiakonia
Era anche la struttura di uno dei progetti di ciò che diventerà Gaudium et spes (kerygma, koinônia, martyria, vedere il progetto di Malines o di Lovanio, estate 1963). Lo si ritrova nella prima enciclica di Papa Benedetto XVI Deus caritas est (25 dicembre 2005) e in molti altri testi intermedi. Ecco il quadro ecclesiologico di ogni riflessione sul carisma. Poiché la vita religiosa esiste nella Chiesa e per essa, un carisma religioso (per analogia con le note della Chiesa che si possono omologare con i quattro pilastri degli Atti) comporterà sempre queste quattro dimensioni che si includono a vicenda. Ma le proporzioni varieranno, a seconda degli istituti più apostolici (diakonia) o più contemplativi (leitourgia), più comunitari (koinônia) o più vicini alle periferie (martyria).
La teologia del carisma, intesa come dono dello Spirito a un determinato fondatore o stato di vita ecclesiale, è ancora fragile. Se la vita consacrata si colloca “nella dimensione carismatica della Chiesa”, lo è nella misura in cui si conforma a Cristo casto, povero e obbediente, e per questo, si rivolge al Padre. Questo orientamento trinitario del carisma, così come le sue componenti ecclesiologiche costitutive, consentono un primo discernimento sul dono che lo Spirito ha fatto al vostro istituto; e come sappiamo, “i doni di Dio e la vocazione di Dio” sono irrevocabili” (Rm 11,29; cf. Eb 6,17).
Noëlle Hausman
1.Conferenza tenuta al Capitolo generale dei Fratelli di San Giovanni.