Il sale e la luce
2020/2, p. 38
Due elementi comuni, forniti dalla natura,
indicano per Gesù il compito dei suoi discepoli: il
sale e la luce. Perché sceglie proprio queste due
immagini? Forse perché hanno qualcosa di
importante in comune: non attirano l’attenzione
su loro stessi, ma fanno risaltare qualcos’altro. Il
sale dà sapore ai cibi, la luce rende visibili i
contorni delle cose.
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VOCE DELLO SPIRITO
Il sale e la luce
Due elementi comuni, forniti dalla natura, indicano per Gesù il compito dei suoi discepoli: il sale e la luce. Perché sceglie proprio queste due immagini? Forse perché hanno qualcosa di importante in comune: non attirano l'attenzione su loro stessi, ma fanno risaltare qualcos'altro. Il sale dà sapore ai cibi, la luce rende visibili i contorni delle cose. Sale e luce da soli sono elementi pressoché inconsistenti e non sono usufruibili: se uno ha fame, non mangia il sale ma un cibo condito dal sale; se uno vuole vederci la notte, non si punta una lampada sugli occhi ma la punta sugli oggetti; e se vuole vederci di giorno, non guarda certo il sole, ma le cose illuminate dal sole. La natura di questi due elementi è l'essere «per» altro, non per se stessi. In un certo senso il sale e la luce devono sciogliersi, scomparire, per svolgere bene il loro compito. Gesù dice quindi ai suoi discepoli, all'intera Chiesa, di non attirare le persone a loro stessi, di non mettersi al centro, ma di servire umilmente gli altri. Così ha fatto lui: non si è costruito un piedistallo per emergere, ma si è messo ai piedi degli altri (cf. Gv 13); non è venuto per farsi servire, ma per servire (cf. Mc 10,45). La Chiesa esiste non per mettersi al centro, ma per essere sale e luce, per dare sapore e colore alla vita degli uomini con l'annuncio e la testimonianza del vangelo. Se Gesù avesse voluto una Chiesa al centro, non avrebbe usato queste due immagini, ma avrebbe consigliato ai discepoli di essere come un esercito armato o come un castello fortificato o come una rocca inattaccabile. Il concilio Vaticano II ha espresso questa visione della Chiesa quando ha detto che essa è «come un sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, n. 1). La Chiesa è «segno e strumento», cioè un mezzo, non il fine: il fine è l'unità con Dio e tra gli uomini. C'è una seconda caratteristica comune al sale e alla luce: la necessità di un adeguato dosaggio, altrimenti diventano insopportabili o inutili. Se il sale nei cibi è troppo abbondante diventano disgustosi, se è troppo scarso rimangono insipidi; se la luce è troppo abbagliante diventa fastidiosa e se è troppo tenue impedisce di vedere le cose. La testimonianza cristiana va dosata nella maniera giusta. Non può cadere negli eccessi dell'arroganza, della violenza verbale o fisica, dell'attacco sistematico al mondo, come se fosse pieno di nemici. Non può cadere neppure negli eccessi opposti della timidezza, dell'invisibilità e della paura di prendere posizione. Il metodo dei discepoli comprende inscindibilmente il dialogo con tutti e l'annuncio di Cristo, l'accoglienza del vero e del buono presente dovunque e la testimonianza della bellezza di essere cristiani. … Ecco il segreto: per essere luce, occorre aprire il cuore alle necessità di chi ci sta intorno, a cominciare da quelli della propria casa o dai propri parenti... per evitare che l'amore sia un sentimento astratto. Se c'è qualcosa che può perforare il muro dell'indifferenza al vangelo, dare sapore e colore alla vita di tante persone estranee o tiepide verso la Chiesa, questo non è solo la testimonianza della fede — di fronte alla quale uno può sempre dire: «Ammiro chi ce l'ha però io non sono tra questi» — ma è la testimonianza dell'amore gratuito, della carità che colma le tante ingiustizie umane. È uno spessore umano «pieno» che, quando sta alla base della fede, può colpire tanti e rimettere in moto la loro speranza.
Erio Castellucci
da “Con timore e gioia grande”
EDB, Bologna 2019