Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2020/2, p. 36
Africa: Terrorismo in Burkina Faso Chiesa nel mondo: 29 missionari uccisi nel 2019

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Testimoni
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Africa
Terrorismo in Burkina Faso
Impressionante questa lettera in data 18 dicembre 2019 .
Carissimi fratelli e carissime sorelle in Italia,
vi raggiungiamo per condividere la situazione legata al terrorismo che il Burkina Faso sta vivendo da alcuni anni. Vi presentiamo una sintesi dei vari avvenimenti col desiderio che possiate ricordare questo nostro paese sempre più nella vostra preghiera.
I primi attacchi sono cominciati nel 2016: la capitale è stata colpita due volte. All’epoca si pensava che l’obiettivo dei terroristi fosse quello di colpire gli europei. Nello stesso anno, nella parte settentrionale, sono emersi predicatori islamici radicali che, piano piano, hanno portato alla formazione di gruppi armati che hanno cominciato a muovere attacchi nei villaggi, colpendo le figure di autorità: capi villaggio, sindaci e responsabili delle comunità islamiche che non sostenevano la loro causa. In seguito sono cominciati attacchi ai militari e ai poliziotti. Il governo aveva interpretato tutto questo come il tentativo di provocare una sommossa nell’esercito per rovesciare la sua stabilità.
Il terzo attentato a Ouagdougou, nel marzo 2018, è stato fatto contro un quartiere generale dell’esercito e contro l’ambasciata di Francia ed era coinciso con l’inizio del processo penale contro due generali del precedente presidente Blaise Compaore.
Quest’anno sono cominciati attacchi contro la Chiesa e le chiese: un sacerdote missionario spagnolo è stato ucciso nel mese di febbraio mentre era in viaggio ai confini col Togo; un parroco è stato rapito e a oggi non ci sono sue notizie. Un altro sacerdote e vari fedeli sono stati uccisi in tre attacchi, dal periodo pasquale sino ad oggi.
Due volte le chiese protestanti sono state attaccate, così come sono state colpite anche due comunità musulmane. Certi gruppi islamici mirano a islamizzare le popolazioni sotto il loro dominio e, per raggiungere il loro obiettivo, cercano di creare ostilità tra la religione cristiana e la musulmana.
Dal nord del paese, la zona del conflitto si è infatti estesa alla zona est e sud-est, ai confini con il Benin e col Togo, sino ad alcune zone del nord-ovest. L’intenzione dei terroristi è ora chiaramente quella di occupare tutto il paese, partendo dalle zone più periferiche per poi invadere il centro e infine giungere nella capitale.
Le precise ragioni degli attacchi in Burkina non sono chiare in quanto solo pochi attentati sono stati espressamente rivendicati. Non è possibile conoscere con chiarezza chi e cosa stia provocando tutta questa violenza. I primi attentati sono stati rivendicati da alcuni movimenti jihadisti in lotta contro la Francia perché impegnata, in prima fila, nella guerra contro il terrorismo.
Sulla scorta di tale motivazione anche la Costa d‘Avorio è stata colpita, con un attentato a Grand-Bassam, nel mese di marzo 2016. Riguardo alle cause e alle motivazioni più profonde ci sono diverse interpretazioni.
Una delle cause, considerata la principale, è l’instabilità nella zona del Sahel, in particolare nel Mali e in Niger. Nel Mali, sin dagli anni sessanta, c’è una parte della popolazione (Tuareg) che da sempre rivendica la parte nord del paese quale territorio proprio a statuto speciale con indipendenza dal governo centrale.
Un’altra causa, sostenuta dai membri del governo attuale del Burkina, è che Blaise Compaore, il precedente presidente deposto dalla insurrezione popolare del 2014, nei suoi 27 anni di governo avrebbe stabilito un patto con i gruppi terroristici.
Per quest’ultima ragione il Burkina sarebbe stato dapprima preservato per molti anni dagli attacchi. Ma la posizione dell’attuale presidente è di non voler in alcun modo patteggiare con queste organizzazioni terroristiche che hanno evidentemente trovato ospitalità in Burkina, per seminare distruzione in altri Paesi ed ora anche qui.
Ci sono altre fonti che sostengono che la regione del Sahel sarebbe ricca di giacimenti petroliferi e di uranio, elementi indispensabili per la produzione di energia in Francia, oltre che di oro (Mali e Burkina ne sono tra i primi produttori africani).
Il controllo di queste zone risulterebbe dunque strategico sia per le forze ribelli intenzionate a creare un altro stato (l’Azawad), sia per la Francia col suo fabbisogno energetico e con la sua politica estera in Africa.
I movimenti jihadisti non hanno preso di mira solo questi tre paesi citati, ma anche l’intera zona dell’Africa occidentale. C’è tra di loro un gruppo che lo esprime chiaramente anche attraverso la denominazione: MUJAO: Mouvement d’unicité pour le Djihadisme en Afrique de l’ouest (Movimento d’unità per il jihadismo nell’Africa dell’ovest).
In tal senso un buon numero di analisti politici afferma che il Burkina è un corridoio per passare ad altri paesi del sud: Costa d’ Avorio, Ghana, Togo, Benin, per congiungersi quindi col movimento terroristico Boko Haram operante da anni al nord della Nigeria.
A oggi non si intravvede alcuna soluzione al grave problema. Vari analisti prospettano un peggioramento della situazione a motivo delle incapacità militari sinora dimostrate dall’esercito del Mali e del Burkina Faso che non sono riuscite ad arrestare l’avanzata dei terroristi.
In questa situazione la Chiesa, attraverso i suoi vescovi, non cessa di invitare alla preghiera e di moltiplicare gesti che permettano di rinsaldare i legami sociali, evitando le accuse non fondate o discriminatorie. Il cardinale Philippe Ouedraogo ha chiesto a tutti i cristiani di impegnarsi in una catena di preghiera dalla prima domenica di Avvento sino alla fine dell’anno liturgico 2020.
Pregate per noi e con noi.
P. Martin de Porres Ouedraogo è membro della Comunità di Villaregia in Burkina Faso.
Chiesa nel mondo
29 missionari uccisi nel 2019
Secondo i dati raccolti da Fides, nel corso dell’anno 2019 sono stati uccisi nel mondo 29 missionari, per la maggior parte sacerdoti: 18 sacerdoti, 1 diacono permanente, 2 religiosi non sacerdoti, 2 suore, 6 laici. Dopo otto anni consecutivi in cui il numero più elevato di missionari uccisi era stato registrato in America, dal 2018 è l’Africa ad essere al primo posto di questa tragica classifica. In Africa nel 2019 sono stati uccisi 12 sacerdoti, 1 religioso, 1 religiosa, 1 laica (15). In America sono stati uccisi 6 sacerdoti, 1 diacono permanente, 1 religioso, 4 laici (12). In Asia è stata uccisa 1 laica. In Europa è stata uccisa 1 suora. Ancora una volta la vita di molti è stata stroncata durante tentativi di rapina o di furto, in contesti sociali di povertà, di degrado, dove la violenza è regola di vita, l’autorità dello stato latita o è indebolita dalla corruzione e dai compromessi. Questi omicidi non sono quindi espressione diretta dell’odio alla fede, bensì di una volontà di “destabilizzazione sociale”.
Un’altra nota è data dal fatto che si registra una sorta di “globalizzazione della violenza”: mentre in passato i missionari uccisi erano per buona parte concentrati in una nazione, o in una zona geografica, nel 2019 il fenomeno appare più generalizzato e diffuso. Sono stati bagnati dal sangue dei missionari 10 paesi dell’Africa, 8 dell’America, 1 dell’Asia e 1 dell’Europa.
La Chiesa locale è, di fatto, “una realtà che aiuta la gente, in diretta concorrenza con il crimine organizzato”, il quale sa che eliminare un sacerdote è molto più che eliminare una persona, perché destabilizza un’intera comunità. Così si instaura “una cultura del terrore e del silenzio, importante per la crescita della corruzione e, quindi, per permettere ai cartelli di lavorare liberamente”. In questa chiave - spiega il rapporto Fides - molto probabilmente devono essere letti alcuni degli omicidi, come quello di don David Tanko, ucciso da uomini armati mentre era sulla strada per il villaggio di Takum, in Nigeria, dove stava recandosi a mediare un accordo di pace tra due etnie locali in conflitto da decenni, o il barbaro assassinio di un’anziana suora, nella Repubblica Centrafricana, suor Ines Nieves Sancho, che da decenni continuava ad insegnare alle ragazze a cucire e ad apprendere un mestiere, o ancora la vicenda di fratel Paul McAuley, trovato senza vita nella Comunità studentesca "La Salle", a Iquitos, dipartimento della foresta peruviana, dove si dedicava all’istruzione dei giovani indigeni. Loro, come tutti i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici uccisi, portavano nella vita quotidiana delle persone con cui vivevano, la testimonianza evangelica di amore e di servizio, cercando di alleviare le sofferenze dei più deboli e alzando la voce in difesa dei loro diritti calpestati, denunciando il male e l’ingiustizia, aprendo il cuore alla speranza.
Anche di fronte a situazioni di pericolo per la propria incolumità, ai richiami delle autorità civili o dei propri superiori religiosi, i missionari – si legge nel Rapporto Fides - rimangono al proprio posto, consapevoli dei rischi che corrono, per essere fedeli agli impegni assunti e rimanere accanto alla gente che condivide gli stessi rischi. Risulta quasi impossibile compilare un elenco di vescovi, sacerdoti, suore, operatori pastorali, semplici cattolici, che vengono aggrediti, malmenati, derubati, minacciati solo a motivo della loro fede. Come è impossibile censire le strutture cattoliche a servizio dell’intera popolazione, senza distinzione di fede o di etnia, come scuole, ospedali, centri di accoglienza, che sono assaliti, vandalizzati o saccheggiati. Particolare dolore provocano poi le chiese profanate o incendiate, le statue e le immagini sacre distrutte, i fedeli aggrediti mentre sono raccolti in preghiera. Si è ormai diffuso in diversi continenti il sequestro di sacerdoti e suore: alcuni si sono conclusi in modo tragico, come si evince anche dall’elenco dei missionari uccisi, altri con la liberazione degli ostaggi, altri ancora con il silenzio. In Nigeria sono aumentati i rapimenti a scopo estorsivo di preti e religiosi, la maggior parte vengono liberati dopo pochi giorni, in alcuni casi però con conseguenze devastanti per la loro salute fisica e psichica. Analogo fenomeno è frequente anche in America Latina. Tra i rappresentanti di questo gruppo citiamo il gesuita italiano padre Paolo Dall’Oglio, rapito il 29 luglio 2013 a Raqqa, in Siria, su cui si sono rincorse in questi anni tante voci, senza nessuna conferma. Il suo rapimento non è mai stato rivendicato. La missionaria colombiana suor Gloria Cecilia Narvaez Argoty, rapita l'8 febbraio 2017 nel villaggio di Karangasso, in Mali, dal gruppo Al Qaeda del Mali. È ancora nelle mani dei suoi sequestratori padre Pierluigi Maccalli, della Società delle Missioni Africane (Sma), che nella notte tra il 17 e il 18 settembre 2018, è stato rapito in Niger, nella missione di Bamoanga.
a cura di Antonio Dall’Osto