Opportunità di un centenario
I Protomartiri francescani e la purificazione della memoria
2020/2, p. 32
L’ottavo centenario dell’incontro di Francesco d’Assisi con
il sultano al-Malik al-Kamil (1219-2019) è stato ricco di
convegni, incontri, pubblicazioni e ha visto due momenti
di altissimo rilievo, ossia la visita di papa Francesco ad Abu
Dhabi – con la firma assieme al grande imam di Al-Azhar
del documento sulla fratellanza umana – e in Marocco.
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Opportunità di un centenario
I Protomartiri francescani e la purificazione della memoria
L’ottavo centenario dell’incontro di Francesco d’Assisi con il sultano al-Malik al-Kamil (1219-2019) è stato ricco di convegni, incontri, pubblicazioni e ha visto due momenti di altissimo rilievo, ossia la visita di papa Francesco ad Abu Dhabi – con la firma assieme al grande imam di Al-Azhar del documento sulla fratellanza umana – e in Marocco. E non poteva essere altrimenti visto che in quell’avvenimento si percepisce ciò che sta avvenendo nell’attualità presente caratterizzata da un movimento di popoli che ha come conseguenza una società sempre più multireligiosa, con tutte le occasioni ma anche sfide e difficoltà che ciò rappresenta.
Più imbarazzante invece si presenta l’ottavo centenario della uccisione di cinque frati in Marocco (1220-2020), conosciuti come i protomartiri francescani; infatti, al contrario di quanto avvenuto all’Assisiate in Egitto, l’incontro si trasformò in uno scontro cruento. Nasce quindi la domanda se sia opportuno celebrare tale ricorrenza e persino ancora venerare santi simili oppure sia più conveniente, come avvenuto nel caso del beato Simonino da Trento, sopprimerne il culto e rimuovere tale vicenda.
Innanzitutto ricordare quanto avvenuto in Marocco significa prendere atto che la storia, compresa quella francescana, è complessa, contraddittoria e a volte persino assurda; come ricordò Giovanni Paolo II l’8 dicembre 2004, il Signore non salva dalla storia ma nella storia. Ciò comporta assumere l’onestà intellettuale e l’igiene mentale di comprendere più che giustificare, dare un giudizio descrittivo prima che valutativo; significa andare alle fonti primarie e leggerle nel loro contesto considerando a quale domanda volessero rispondere. E così si scopre che ad esempio la vita dei protomartiri francescani – una vera e propria passio – è scritta varie decine di anni dopo i fatti e che il fine è agiografico apologetico, ossia offrire una lettura teologica della storia che esaltasse l’ordine minoritico. La frase stessa «Adesso posso dire veramente di avere cinque frati Minori» posta in bocca a san Francesco non è altro che l’attestazione della grandezza dei francescani che possono vantare tra le loro fila martiri di una levatura non dissimile a quella dei primi secoli. Ad esempio, se l’uccisione di santo Stefano fu l’inizio della conversione di san Paolo (At 7,55-60), il sangue dei frati morti in Marocco fu il seme della vocazione francescana del canonico agostiniano Fernando da Lisbona che divenne sant’Antonio di Padova!
Quindi celebrare l’ottavo centenario dei protomartiri francescani è un’occasione per prendere atto di pagine della storia che con la mentalità di oggi non sono più adeguate – parzialmente o totalmente – ad essere considerate come esempio; e ciò sarà più efficace se fatto assieme da membri di diverse culture e religioni. Nel caso presente tra cristiani e musulmani. Certamente una operazione simile richiede tempo e preparazione ma a lungo termine è più efficace di una rimozione che è solo uno spostamento in attesa che arrivi qualcuno a riprendere – spesso per motivi tutt’altro che religiosi – quanto nascosto; in termini semplici una bomba è meglio disinnescarla che rimuoverla con il rischio del ritrovamento e uso nel futuro.
Oltre a ciò è una occasione per riprendere e approfondire quanto affermato nella esortazione apostolica Gaudete et exultate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo da papa Francesco riguardo alle persone sante: «Forse la loro vita non è stata sempre perfetta, però, anche in mezzo a imperfezioni e cadute, hanno continuato ad andare avanti e sono piaciute al Signore». Da ciò consegue che la canonizzazione, ossia il riconoscimento canonico della santità di una persona, non significa che tutto ciò che ha fatto o scritto deve essere preso come modello o ispirazione. Così si può ammirare la totale affezione a Cristo dei Protomartiri francescani, fino a versare il proprio sangue, ma nel frattempo riconoscere come inadeguato – per la consapevolezza attualmente raggiunta dalla Chiesa ed espressa nel concilio Vaticano II – il loro giudizio nei confronti della fede altrui.
Se san Francesco, stando a quanto scrive Giordano da Giano, non volle che si diffondesse la vita dei frati martiri del Marocco perché non è bene prendere gloria narrando delle virtù altrui, il beato Egidio d’Assisi rimprovera i prelati dell’ordine minoritico perché non si impegnano con ogni sforzo a far canonizzare dal papa i protomartiri francescani. Infatti il compagno del santo assisiate riconosceva che la loro testimonianza è una sollecitazione a rispondere con zelo alla vocazione, ossia la chiamata a vivere secondo la forma del Vangelo seguendo le orme di Gesù.
Celebrare i protomartiri francescani è anche l’occasione di fare memoria di tanti francescani che hanno dato la vita per il Vangelo – dal cappuccino Fedele da Sigmaringen al conventuale Massimiliano Kolbe, dalla clarissa polacca Maria Teresa Kowalska al vescovo Luigi Padovese –, oltre che a pregare e sostenere tanti cristiani perseguitati e uomini privi della libertà religiosa.
Se i santi Berardo, Ottone, Adiuto, Pietro e Accursio – questi i nomi dei cinque frati trucidati nel 1220 circa – hanno vissuto il martirio del sangue, vi è un altro genere di martirio non meno cruento ed efficace, ossia quello della pazienza a cui sono chiamati la maggioranza dei cristiani. Ma entrambi mostrano l’imprescindibile nesso tra amore e sacrificio se il primo vuole essere credibile e incontrabile e il secondo fecondo e affascinante. I protomartiri francescani sono originari dell’Umbria meridionale, la zona di Terni che vanta come protettore san Valentino, il patrono degli innamorati che si festeggia il 14 febbraio. Tale fatto può essere letto come frutto del caso oppure anche come provvidenziale per ricordare che l’unione di sacrificio e amore è quella bellezza che secondo le parole di Dostoevskij salverà il mondo.
Pietro Messa, ofm
Pontificia Università Antonianum
Roma