Disposizioni anticipate di trattamento
2020/12, p. 32
Questa legge fa sintesi di un lungo cammino legislativo, che segnala la delicatezza del tema e la sua rilevanza per l’intera società. Si tratta di scelte difficili e complesse,
poiché spesso è in gioco non solo la salute ma anche la vita stessa.
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LA LEGGE SUL FINE VITA
Disposizioni anticipate di trattamento
Questa legge fa sintesi di un lungo cammino legislativo, che segnala la delicatezza del tema e la sua rilevanza per l’intera società. Si tratta di scelte difficili e complesse, poiché spesso è in gioco non solo la salute ma anche la vita stessa.
1.La legge 291/2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” tratta la questione del consenso informato nelle sue varie forme, con un particolare riferimento ai temi di fine vita. Questa legge fa sintesi di un lungo cammino legislativo, che segnala la delicatezza del tema e la sua rilevanza per l’intera società. Uno Stato democratico è composto di cittadini impegnati a rispettare le differenti etiche, visioni del mondo e religioni, in un contesto di reciproca inclusione e sincera ospitalità, senza che una pretenda di imporsi sulle altre. Lo Stato democratico non è però neutrale, poiché la convivenza pacifica ha un rapporto inscindibile con l’esperienza del bene comune e questo implica il riconoscimento del legame tra soggetti liberi e moralmente uguali. Per questo la giustizia delle leggi non è riducibile ad accordi procedurali. Questa prospettiva impedisce di spingere la tolleranza ad un eccesso in cui essa imploderebbe trasformandosi in indifferenza. Le leggi, soprattutto quelle umanamente più significative, custodiscono la qualità etica dei rapporti civili, nella misura del possibile e nel dialogo reciproco. In ciò consiste il compito culturale della politica.
Scelte difficili e complesse
2.Il consenso ai trattamenti sanitari comporta una riflessione su scelte difficili e complesse, poiché spesso è in gioco non solo la salute ma anche la vita stessa. Quando ci viene chiesto: cosa fare? noi rispondiamo: raccontami la tua storia o, nel caso in cui il paziente non sia più in grado di esprimersi, chiediamo ai suoi cari: raccontateci la sua storia. La storia personale non si aggiunge ad una soluzione già individuata a monte di essa, ma esattamente a partire da essa che è possibile individuare una soluzione buona. Non si sa da subito fino a quando resistere di fronte alla malattia e alla sofferenza, né può essere dedotto da una linea guida o raccomandazione, ma dentro una storia si scopre quando è giunto il momento di arrendersi. Per cui solo all’interno di una buona relazione sarà possibile scoprire la decisione buona. Senza una relazione non si è in grado di scegliere. Ciascuno ha un parola da dire – il paziente, il medico, i familiari – non un veto da porre. Per questo non è importante solo ciò che si decide – accettare o rifiutare uno specifico trattamento – ma il processo relazionale che porta a compiere determinate scelte. In questo va apprezzato quanto la legge afferma all’articolo 1 in cui delinea la cornice in cui inquadrare sia il tema del consenso sia delle disposizioni anticipate di trattamento nella “relazione di cura e di fiducia tra medico e paziente”.
L’accento posto sulla relazione e sulla storia della persona le lascia spazio ad una sapiente discrezionalità, ad una “prossimità responsabile” per usare la parola di papa Francesco. Ovvero, a partire dalla stessa condizione clinica, più opzioni eticamente accettabili sono possibili, essendo diverse le storie personali e il significato che le persone attribuiscono alle loro scelte.
Il criterio della proporzionalità delle cure permette di evitare di cadere nell'arbitrio e nel relativismo, e rappresenta quello spazio di libertà, rispettoso delle storie individuali, all'interno del quale è possibile scegliere l'azione buona. Il tempo della malattia è anche tempo di libertà.
Pianificazione condivisa delle cure
3.Lo strumento che meglio interpreta quanto abbiamo detto e che può spingere verso un significativo salto di qualità nella pratica clinica ordinaria, sottolineando la sua intrinseca qualità etica, è la pianificazione condivisa delle cure prevista all’articolo 5 della legge. Il paziente soffre di una patologia cronica, caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, di cui ha piena consapevolezza.
Egli condivide con il medico che lo sta curando quali trattamenti siano coerenti con il suo progetto di vita e siano da attuare quando non sia più in grado di esprimersi, coinvolgendo se lo desidera i familiari.
Ma perché coinvolgere altri? Perché "la vita umana non è riducibile a oggetto di decisione che riguarda la sfera privata e individuale, poiché ne siamo responsabili verso altri, su cui le nostre scelte hanno un impatto" La libertà umana non è ab-soluta, senza legami; per questo l'autonomia è sempre relazionale e responsabile. Sottolineiamo ancora una volta che ciò che conta primariamente nella pianificazione delle cure non sono i trattamenti da usare o rifiutare, quello che viene scritto, ma il percorso relazionale al termine del quale il soggetto decide di sé. Sarà un precipuo compito e impegno del medico stimolare, accompagnare, promuovere questo percorso affinché il paziente possa decidere. In questa prospettiva, la pianificazione anticipata risulta vincolante per il medico.
La pianificazione delle cure esige che si rifletta sulle fasi finali della propria vita, quando occorre scrivere l’ultimo capitolo del libro della vita. La riflessione sulla propria morte è come un setaccio sull’esistenza che fa passare ciò che è caduco e trattiene ciò che è essenziale. In essa si ricompongono i vari frammenti della vita in un unico disegno. L’uomo credente lascia che la verità lo possieda: mi piace qui ricordare la preziosa e feconda usanza della tradizione cattolica di scrivere il proprio testamento, consegnando e condividendo una gratitudine riconoscente.
Le disposizioni anticipate di trattamento
4.Le disposizioni anticipate di trattamento, illustrate nell’articolo 4 della legge, possono essere redatte da un cittadino anche quando non è malato e al di fuori della relazione con il medico, in previsione di una sua eventuale definitiva incapacità di esprimere la propria volontà. E questo è un punto critico della legge: per quanto detto in precedenza, sia per la necessità di un'adeguata informazione per prendere decisioni ponderate, sia per il profilo di fiducia che si instaura tra medico e paziente, il riferimento ad un medico appare doveroso.
In questa logica sarebbe stato più coerente invertire l'ordine degli articoli riguardanti la pianificazione e la disposizione delle cure: la prima crea le condizioni perché la seconda possa essere redatta o meglio, la seconda (la disposizione) è l'esito buono della prima (la pianificazione)
Scrivere una disposizione significa immaginare il proprio futuro. Immaginare aiuta: consente di addomesticare il futuro, di abitarlo prima, di prepararsi ad affrontarlo, sapendo che non sarà mai esattamente come ce lo siamo immaginato. Così come accade per l’allenamento: se ti alleni non hai la certezza di vincere, ma almeno non parti già sconfitto.
Di fronte alle incertezze ineliminabili
Ma ciò non significa avere il controllo assoluto sull’evoluzione della propria malattia o più correttamente sulla propria esistenza, così che ogni incertezza possa essere eliminata. Vi sono ineliminabili incertezze, che caratterizzano il corso della malattia, la risposta ai trattamenti, le modalità con cui i familiari e gli amici accompagneranno il paziente. Incertezze che segnano anche l’esperienza dei medici. Questa incertezza non va ignorata, ma comunicata e custodita. Quando un medico comunica la verità (scientifica) di una malattia ad un paziente, non si sa dove ciò porterà il medico, il paziente, i suoi familiari. Ha scritto perspicacemente Orsi: “Se si pongono il malato e, in senso meno stretto, la famiglia al centro delle cure, come da loro stessi richiesto in misura crescente, non è solo la medicina che deve cambiare assetto di cura. Anch’essi devono impegnarsi, in una misura spesso non preventivata, a percorrere vie inedite”.
Ed è esattamente in questa logica che le disposizioni anticipate di trattamento esigono di essere tradotte, interpretate per essere coerenti con i desideri e la storia del paziente, non disattese, come in modo improvvido afferma la legge all’articolo 4 comma 5.
Interpreta perfettamente quanto detto l’esperienza descritta dal cardinale di Chicago, Joseph Bernardin, in un suo bellissimo libro, in cui racconta la sua esperienza di malattia. Scrive così, rispondendo ad una domanda di un giovane su come lui si immaginava il Paradiso: “La prima volta che con mia madre e mia sorella visitai la terra natia dei miei genitori a Tonadico di Primiero, nel Nord dell’Italia, sentii che lì ero già stato prima. Dopo che per anni mia madre mi aveva mostrato le foto, io conoscevo le montagne, la terra, le case, le persone. Appena entrai nel paese, dissi: “Mio Dio, io conosco questo posto. Io sono a casa. Qualche volta penso che il passaggio da questa vita a quella eterna sarà simile. Io sarò a casa”. Si muore come si vive.
Non si tratta (solo) di compilare un modulo. Il fatto che quanto scritto dal paziente aiuti i soggetti (medici, fiduciario, familiari, amici) nel prendere la decisione, non comporta che in quella decisione questi stessi soggetti non siano chiamati in causa nella loro identità. Tutto questo mostra la complessità del tema e la necessità di evitare indebiti riduzionismi o derive burocratiche. A partire da quanto delineato in questo articolo, un gruppo di studio sui temi di bioetica ha proposto, da una prospettiva cristiana, un modello per la stesura di una disposizione anticipata di trattamento. Esso può essere liberamente scaricato all’indirizzo: https://www.aggiornamentisociali.it/progetti-bioetica/
MARIO PICOZZI
Direttore Centro di ricerca in Etica Clinica
Università degli Studi dell’Insubria