Simonelli Cristina
Donne e uomini nuovi. Un arco simbolico da Laudato si’ a Fratelli tutti
2020/12, p. 30
... l’ecologia ambientale è per forza di cose anche sociale, economica, culturale, politica e quotidiana, come si legge nel quarto capitolo (nn.137-162). Per questo è necessaria una vigilanza costante, sostenuta da più competenze, altrimenti è facile cadere nel vecchio difetto, che è ora indicato anche come peccato, di dare un aiutino pensandoci buoni mentre produciamo armi, sosteniamo finanza sporca, facciamo annegare in mare i poveri che sono in fuga anche per causa nostra.

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Donne e uomini nuovi. Un arco simbolico da Laudato si’ a Fratelli tutti
Laudato sì’ si sta rivelando un’enciclica veramente particolare: entrata in maniera importante nel mondo laico, specie in quello attento alla sostenibilità ambientale e alla giustizia sociale, è passata in sordina nel mondo cattolico, non troppo avvezzo a mettere quei temi al centro della predicazione, della catechesi, della vita ecclesiale nel suo complesso. Ora tuttavia, alla prova dei suoi cinque anni che oggi come oggi, in regime di obsolescenza strutturale, si potrebbe dire, sono un tempo cospicuo, mostra la sua forza e la sua capacità di mettere in moto pratiche virtuose, oltre che riflessioni significative.
Ecologia integrale e pandemia: emergenza e posizionamenti
Fra le molte caratteristiche dell’enciclica, infatti, quella che mi sembra importante nominare per prima è proprio l’innesco di pratiche integrali, inclusive e solidali e fra tutte privilegerei quelle che si sono costituite in rete permanente, come i presìdi e le comunità Laudato sì’, realtà diffuse su tutto il territorio italiano e in continua espansione. Basterà un giretto sul web non solo per visualizzarle, ma anche per leggere contributi e ascoltare registrazioni. L’ecologia integrale, infatti, è uno degli aspetti salienti del testo e dispiega su molti livelli la chiave sintetica per cui “tutto è connesso” (16) e “il grido della terra è il grido dei poveri” (49) e viceversa. Non ci si può rinnovare in questa direzione senza tener conto che l’ecologia ambientale è per forza di cose anche sociale, economica, culturale, politica e quotidiana, come si legge nel quarto capitolo (nn.137-162). Per questo è necessaria una vigilanza costante, sostenuta da più competenze, altrimenti è facile cadere nel vecchio difetto, che è ora indicato anche come peccato, di dare un aiutino pensandoci buoni mentre produciamo armi, sosteniamo finanza sporca, facciamo annegare in mare i poveri che sono in fuga anche per causa nostra.
È proprio tutto questo che è venuto a galla con la pandemia, che ha rivelato e accelerato questi processi. È chiaro che siamo anche di fronte a un’emergenza e lo sanno nei corpi e nelle vite le persone che sono colpite dalla malattia e quelle che le curano. Ma siamo anche di fronte all’esigenza di un cambiamento strutturale, come diceva la frase proiettata sui grattacieli di Santiago del Cile: “Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema”.
Una prossimità dallo sguardo ampio: le opzioni per il dialogo
Proprio in questo quadro impegnativo e preoccupato si estende l’arco simbolico che raccorda le due encicliche, così che Fratelli tutti, sulla fraternità e amicizia sociale riprende e rilancia la precedente, passando attraverso i suoi echi più significativi, in specie l’incontro di Abu Dhabi (2019) con il Grande Imam Ahman Al-Tayyeb, che nominava appunto fratellanza, pace e convivenza mondiale. I primi paragrafi (nn. 1-8) del recente documento che ne delineano il progetto, simbolo di un Pontificato, in cui il portato di Francesco di Assisi – che, tra il resto, abbraccia il Sultano invece di armare le Crociate – è un modello di convivenza civile, di riforma ecclesiale, di prossimità affabile. Infatti “l’affermazione che come esseri umani siamo tutti fratelli e sorelle, se non è solo un’astrazione ma prende carne e diventa concreta, ci pone una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte” (n. 128). Fra queste sfide c’è sicuramente quella della rivisitazione della prossimità, che si rivela dirompente non solo sul piano dell’interesse economico, ma anche su quello dei modelli patriarcali, perché introduce nel progetto di un uomo di Chiesa la tenerezza (n. 194) e un modo di “partire da sé”, che sono per lo più ascritti ai mondi e ai modi delle donne. Anche il modo di indicare i partner del dialogo è molto prossimo: ci si aspetterebbe un riferimento al Consiglio Ecumenico delle Chiese, ed ecco invece, almeno in primo piano, l’amico Bartolomeo di Costantinopoli, così come, si è già osservato, il dialogo tra Occidente e Oriente è cifrato soprattutto dalla condivisione con l’Imam di al-Azhar. Tuttavia non si deve pensare che questo radicamento di corpi e di affetti dia luogo a una prospettiva intimistica. C’è infatti un continuo richiamo alla generazione di un mondo aperto, che disinneschi le frontiere: “bisogna guardare al globale, che ci riscatta dalla meschinità casalinga” (n. 142).
Essere nominati non è un dettaglio
Sono molti dunque i parametri che saltano e opportunamente: in questo scardinamento si può delineare il progetto di un’umanità nuova, che si propone di abbattere muri proprio mentre abita luoghi quotidiani. Ogni differenza infatti tende a disporsi in maniera gerarchizzata e dunque se diciamo Occidente e Oriente, ad esempio, o locale e globale o uomini e donne non è immediato rinunciare a dare un ordine di importanza, prima l’uno e poi l’altro. In un interessante conferenza online Mario Agostinelli (https://youtu.be/EIgKO4dVbqY ) suggeriva, fra il resto, l’importanza di uscire dalla numerazione in base 2, che non è l’unica e non corrisponde affatto a tutto il reale, anzi lo forza in griglie e stereotipi. A volte pensiamo che una soluzione semplice possa essere quella di utilizzare termini generali, universali. Qui tuttavia si nasconde un baco (il bug dei programmi informatici) non da poco: non essere nominati non vuol dire automaticamente non esistere, certo. Ma può significare non essere riconosciuti, negando in pratica quello che è enunciato in teoria (come la partenza dal basso delle strade di Samaria: n. 78).
In maniera estremamente efficace al n. 52 si afferma che “demolire l’autostima di qualcuno è un modo facile di dominarlo”. L’orizzonte in quel paragrafo è geopolitico: l’espressione si riferisce infatti ai popoli e ai relativi modelli di sviluppo, umiliati dalla scala di riferimento mainstream. Non sembra tuttavia fuori luogo utilizzare proprio quella osservazione per richiamare una questione per niente secondaria: nonostante in diversi passaggi i fratelli si aprano a comprendere le donne – “compagni e compagne di viaggio” (n. 45), ad esempio – non sono valse perorazioni e recriminazioni a scalfire l’inossidabile maschilità del titolo, Fratelli tutti. Rigore storico-letterario, per non cambiare una citazione del Poverello? Ripresa evidente del dialogo di Abu Dhabi? Molte le spiegazioni che circolano e che, alla fine, tendono a colpevolizzare il disagio espresso da molte donne, ritenute “incontentabili”. È vero, già la prima frase vorrebbe “rimediare all’assenza”: “fratelli… scriveva per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle”. Forse tuttavia agli uomini – in questo caso nel senso preciso di maschi, in religione o meno che siano – per diventare nuovi servirebbe apprendere a non mettersi sempre al centro del sistema, per estenderlo poi, benignamente, e dunque sempre a gradini su base due. Una strada che va percorsa insieme, non c’è dubbio, ma nella quale nessuno può fare i passi al posto di un altro. Come suggeriva LS n. 211, si dovrebbero far maturare abitudini, non solo dare informazioni: siamo già un po’ in ritardo, ma ci si può provare.
CRISTINA SIMONELLI