Chiaro Mario
La società post-familiare
2020/12, p. 25
Stiamo entrando in un periodo storico in cui “far famiglia” diventa agli occhi dei giovani soltanto una delle possibilità, e non quella indicata come preferenziale. Occorre puntare su forme ‘creative’, il dono, la reciprocità, la sessualità di coppia e l’avere figli.

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XV° RAPPORTO CISF 2020
La società post-familiare
Stiamo entrando in un periodo storico in cui “far famiglia” diventa agli occhi dei giovani soltanto una delle possibilità, e non quella indicata come preferenziale. Occorre puntare su forme ‘creative’ il dono, la reciprocità, la sessualità di coppia e l’avere figli.
In questi mesi appesantiti dalla pandemia, si profila un riordino delle misure a favore dei nuclei familiari con figli. Il cuore del cosiddetto Family Act, proposto dal Governo in carica, è l’assegno universale per ogni figlio minore a carico, un sostegno diretto a incrementare le nascite. Si è infatti coscienti che i nati nel 2019 sono stati poco più di 420mila, mentre nel 2009 se ne contavano quasi 150mila in più (Istat, Bilancio demografico nazionale 2020). Il numero medio di figli per donna è arrivato a 1,29 mentre i demografi fissano a 2,1 figli per donna il tasso di riproduzione. Per invertire questa rotta non basta comunque la lotta alla denatalità, che è sostanzialmente un effetto della condizione di trasformazione del mondo familiare italiano.
Il nuovo Rapporto Cisf (Centro internazionale studi famiglia) punta in questa direzione di analisi già nel suo titolo “La famiglia nella società post-familiare”. La riflessione complessiva parte da dati impressionanti. Le famiglie presenti in Italia sono 25,8 milioni; arriverebbero nel 2028 a 26,8 milioni (con aumento di coppie senza figli e di persone sole). Le coppie con figli oggi sono 9 milioni, nel 2040 scenderanno a 7-8 milioni. Oggi oltre 8 milioni sono le famiglie composte da una sola persona, nel 2040 passeranno a 9-10 milioni. I figli tra i 25 e i 34 anni che rimangono in casa sono oggi il 37% del totale, nel 1995 erano il 24%. Le donne tra i 25 e i 34 anni con figli sono il 33%, nel 1995 la percentuale superava il 50%.
Le forme familiari:
caos, adattamento, creatività
Il prof. Donati, con toni preoccupati, sostiene che la società sarà sempre meno “familiare” nel senso in cui l’hanno conosciuta le generazioni precedenti. Stiamo entrando infatti in una fase storica in cui le famiglie si andranno frammentando, scomponendosi e ricomponendosi. Si può essere coppia senza impegni matrimoniali, e anche senza convivere assieme; la coppia può essere ristretta ai due partner o includere relazioni più ampie; si può essere genitori senza aver generato i figli con rapporti naturali, ma mediante l’uso di varie tecnologie riproduttive, fino al ricorso alla maternità surrogata. La famiglia diventa, come recita il nuovo diritto, “una persona che si prende cura di almeno un’altra persona”. Secondo il curatore del Rapporto, in quest’epoca che egli connota come “evaporazione del familiare”, tre sono i possibili scenari socio-giuridici.
Il primo è quello della forma “caotica”, che avviene quando famiglie si formano in base a differenze individuali: in questo caso lo Stato non interferisce, ma regola per rimediare a eventuali effetti negativi.
Il secondo presenta una forma ‘adattiva’: di fronte ai cambiamenti in atto, lo Stato cerca di ri-orientare le relazioni interne alla famiglia con regole più stringenti (es. in tema di maternità surrogata, dell’auto definizione del gender, ecc.).
L’ultimo scenario è quello della germinazione di forme ‘creative’, frutto di nuove combinazioni tra le componenti del Dna familiare: il dono, la reciprocità, la sessualità di coppia e l’avere figli.
Le rappresentazioni di famiglia dei giovani
Tutte le ricerche sui valori dei giovani adulti riportano tra i primi posti la famiglia. Ma quando pensano alla famiglia, essi cosa hanno in mente? Per rispondere all’interrogativo, è stata condotta un’indagine su un campione costituito da 800 persone nella fascia di età 25-35 anni. In base alle risposte fornite al questionario è possibile individuare quattro tipologie di soggetti: a) i non-famigliari (l’8,7% del campione ha una posizione molto critica e/o distaccata sulle immagini di famiglia prevalenti, niente sembra essere pienamente considerato come famiglia); b) i tradizionalisti conservatori: (quasi il 12% ritiene che la famiglia sia prevalentemente quella di tipo tradizionale, considerando deboli le altre forme); c) i tradizionalisti aperti (oltre il 20% considera famiglia in modo pieno sia quella tradizionale sia quella “nuova”, che va dalle coppie eterosessuali non sposate con e senza figli fino alle coppie omosessuali; d) gli indifferenti (quasi il 59% ritiene 3che tutte le forme possibili di relazioni sono espressione di famiglia).
Da questo quadro emerge che circa metà degli intervistati ha un’idea indifferenziata di famiglia, per la quale non solo le forme tradizionali ma anche quelle diffuse negli ultimi anni – le convivenze, le relazioni dello stesso genere – sono considerate a pari livello. La visione tradizionalista della famiglia è minoritaria all’interno del campione. Eppure, il valore della famiglia è ancora sostenuto da questa generazione di giovani, che però avverte in modo chiaro la difficoltà di chi vorrà intraprendere una progettualità a livello familiare: il 62% dei rispondenti è convinto che fare famiglia in futuro sarà più difficile; solo il 12% ritiene che sarà più facile e il 25% non prevede cambiamenti significativi rispetto a oggi. Questa percezione diffusa della difficoltà per il futuro si differenzia in relazione all’area geografica di residenza dei giovani: ritiene che sarà più difficile fare una famiglia il 58% di chi vive al Nord, il 63% di chi vive nel Sud-Isole e il 70% di chi vive al Centro. E ancora, il 45% del campione è certo di volere un figlio; oltre il 23% non pensa di avere un figlio. Emerge in modo netto come la dimensione della generatività non appaia una priorità per i giovani adulti di oggi. Questa visione non è tanto differente tra uomini e donne: tra coloro che non vogliono figli la percentuale significativamente più alta è tra le donne oltre i 30 anni, mentre tra coloro che desiderano figli la percentuale più alta riguarda i giovani maschi sui 25-30 anni.
Educazione delle relazioni
nella società digitale
Circa il tema della genitorialità, gestione da parte dei genitori della loro relazione educativa con i figli, si fa rilevare la grande sfida costituita dagli strumenti tecnologici. Già al tempo delle ricerche sul rapporto tra famiglia e televisione emergevano temi quali il controllo degli spazi e dei tempi del consumo da parte dei figli; la verifica dei contenuti (in particolare quelli legati al sesso e alla violenza) e del loro impatto sulla formazione di valori e comportamenti; le possibili interferenze dei media sulla vita della famiglia in termini di modifica delle regole della convivialità domestica. La diffusione dei dispositivi mobili rende ora il quadro ancor più complesso: la connessione permanente tramite smartphone ha prodotto lo sganciamento della comunicazione dallo spazio; mentre l’interattività e l’interazione modificano strutturalmente la postura comunicativa delle persone. La situazione che pare profilarsi è quella di famiglie: a) sempre meno tradizionali, segnate da separazioni e ricomposizioni, caratterizzate da mono-parentalità, rapporti allargati, dislocazione spaziale di genitori e figli del nucleo originario; b) sempre più caratterizzate dal protagonismo femminile sia nel mantenimento del legame che nella gestione dei figli; c) sempre più condizionate dall’invasività delle pratiche lavorative dei coniugi rispetto agli spazi e ai tempi della famiglia.
Come potrebbe configurarsi la genitorialità in questo tipo di contesto? Varie sono le risposte fornite dagli studi in proposito. Un primo studio individua tre principali strategie cui il genitore ricorre per gestire la relazione del figlio con i dispositivi digitali: la mediazione attiva e attenta, con uno stile di presenza come “accompagnamento”; la mediazione restrittiva, dove il genitore detta regole e cerca di esercitare il controllo sui consumi dei figli; l’uso condiviso, attivato da “genitori amici” che, per esempio, video-giocano coi figli.
Un secondo studio evidenzia altri tre stili insistendo, più che sulla modalità della relazione, sul tipo di atteggiamento che la mediazione genitoriale intende sviluppare nei figli. Si possono così riconoscere: uno stile di supporto all’autonomia (l’obiettivo non è la prevenzione rispetto ai rischi della rete, ma al contrario l’autoregolazione); uno stile di controllo (l’obiettivo è tenere al riparo il figlio dai rischi della rete); uno stile inconsistente, costruito sul presupposto che la complicità con il figlio rappresenti per ciò stesso un valore educativo.
Metamorfosi dell’amore
e bellezza della famiglia
In questa prospettiva, molti osservatori pensano che viviamo in una fase di mutazione antropologica, che vede emergere un sistema cervello/mente nuovo: la mente tecno-liquida. La “società incessante” è caratterizzata dall’abbraccio tra il mondo liquido (annunciato da Bauman) e la rivoluzione digitale (proposta da Steve Jobs). La caratteristica fondamentale della socialità tecno-liquida è una nuova forma di relazione: la connessione. Questa forma di relazione è però pervasa da un aumento della percezione di solitudine, specialmente nelle persone più attive sui social. La tecnologia digitale consente di connettersi e di costruire legami mutevoli e senza vincoli. Se l’identità è liquida, anche il legame interpersonale diventa liquido, individualista e fragile. Nel terzo millennio l’umanità sembra concentrarsi sull’unica opzione possibile, quella del presente occasionale, del momento. Da qui si sviluppa la metamorfosi della famiglia, che coincide con l’individuo che incrocia altri individui, con i quali sciama e disegna realtà instabili e mutevoli proprio come fanno gli insetti. La relazione interpersonale vive l’intreccio tra fenomeni psicosociali e potenza della tecnologia digitale. I principali fenomeni che ne derivano sono: l’incremento del narcisismo sostenuto da una civiltà dell’immagine senza precedenti; la ricerca di emozioni, capace di scomporre la relazione facendola coincidere con l’emozione stessa; la rinuncia all’identità e al ruolo, con possibile conseguente rinuncia alla responsabilità dei rapporti e alle potenzialità generative.
A questo punto sorge la domanda chiave: ha ancora senso parlare di bellezza della famiglia come proposta possibile per i nativi digitali? Il Rapporto è utile per crescere nella consapevolezza che ogni forma familiare è il risultato di una complessità di fattori sociali, economici e culturali che supera la pretesa di dettare linee guida e di controllare. La risposta ci rimanda all’Esortazione apostolica Amoris laetitia, nella quale si afferma che tocca a ciascun credente «far sperimentare che il Vangelo della famiglia è gioia che riempie il cuore e la vita intera, perché in Cristo siamo liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento». La Chiesa deve coltivare che «desiderio è di accompagnare ciascuna e tutte le famiglie perché scoprano la via migliore per superare le difficoltà che incontrano sul loro cammino» (n. 200). L’evangelizzazione in quanto umanizzazione può proporre ancora ai giovani e agli adulti la bellezza della famiglia come «“l’alto valore” dell’altro che non coincide con le sue attrattive fisiche o psicologiche… L’amore per l’altro implica tale gusto di contemplare e apprezzare ciò che è bello e sacro del suo essere personale, che esiste al di là dei miei bisogni» (n. 127).
MARIO CHIARO