Olivera Bernardo
Il discernimento vocazionale nella regola di san Benedetto
2020/12, p. 21
Questo intervento di dom Bernardo Olivera, ocso Abate Generale emerito dei Trappisti sulla formazione iniziale, pubblicato sul Bollettino AIM italiano 119, ci è parso molto utile per il suo approccio assai concreto, a partire da ciò che prevede san Benedetto nella sua Regola.

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DOM BERNARDO OLIVERA, OCSO
Il discernimento vocazionale
nella regola di san Benedetto
Questo intervento di dom Bernardo Olivera, ocso Abate Generale emerito dei Trappisti sulla formazione iniziale, pubblicato sul Bollettino AIM italiano 119, ci è parso molto utile per il suo approccio assai concreto, a partire da ciò che prevede san Benedetto nella sua Regola.
L’abbondanza come la mancanza di vocazioni sono, generalmente, due segnali che evidenziano l’importanza del discernimento. La mancanza di vocazioni spesso spinge a correre il rischio sconsiderato di andare a caccia di candidati; l’abbondanza di vocazioni porta a non passare sufficientemente al vaglio il raccolto.
Propongo di consultare l’insegnamento di san Benedetto così com’è contenuto nella Regola: questo insegnamento abbraccia il tempo che va dal momento immediatamente precedente all’ingresso in monastero fino alla professione.
San Benedetto aveva certamente il carisma del discernimento degli spiriti, tuttavia, quando si tratta di vocazioni il suo è un approccio assai pratico: si basa su ciò che si vede ed è riscontrabile. Ecco quattro criteri specifici e generali offerti dalla regola di san Benedetto.
La pazienza perseverante
Il primo criterio offerto dalla Regola si trova all’inizio del capitolo 58 dove si legge quanto segue:
Appena uno si presenta per intraprendere la vita monastica, non gli si conceda troppo facilmente l’ammissione, ma come dice l’Apostolo: Mettete alla prova gli spiriti per vedere se sono da Dio. Se dunque il nuovo venuto insiste a bussare, e sopporta con pazienza il rude trattamento e le difficoltà che si sollevano al suo ingresso, e dopo quattro o cinque giorni persiste nella sua richiesta, si acconsenta al suo ingresso e stia per qualche giorno nell’alloggio degli ospiti (RB 58, 1-4).
Si tratta di un discernimento preliminare per capire se il candidato è stato toccato dallo Spirito di Dio nella sua decisione di avvicinarsi al monastero.
Benedetto indica due elementi facili da verificare: la perseveranza e la pazienza. Il fattore tempo aiuterà a verificare questi due elementi. Se, a fronte di un periodo di qualche giorno, il candidato persevera nella sua richiesta e si mostra paziente davanti al ritardo con cui si reagisce, si potrà dire che lo Spirito di Dio l’ha condotto al monastero. Naturalmente, questo non significa che deve necessariamente abbracciare la vita monastica. La pazienza è la prima virtù che il candidato deve praticare. La pazienza – con se stessi e con gli altri – è un fattore prioritario della perseveranza nella vita monastica. Senza pazienza non c’è comunione con le sofferenze pasquali di Cristo, né comunione profonda e misericordiosa con le deficienze dei fratelli della comunità (RB Prol. 50; 72, 5).
Commento pastorale: Troppo spesso, condizionati dalla scarsità di vocazioni, alcuni e alcune si precipitano nell’ammissione dei candidati, mettendo da parte questo criterio che viene menzionato da tutte le regole e che si trova generalmente attestato nella tradizione monastica. Per lo stesso motivo, spesso si evita di dire sin da subito al candidato quali sono le cose dure attraverso le quali si va a Dio (58,8).
La vera ricerca di Dio
Il secondo criterio benedettino suona in questi termini:
Egli osservi con attenzione se il novizio veramente cerca Dio, se è pronto all’Opera di Dio, all’obbedienza e alle umiliazioni (58, 7).
La ricerca di Dio, in questo contesto, non rimanda alla ricerca di un Dio nascosto ma di un Dio da cui ci eravamo allontanati e verso il quale abbiamo deciso di ritornare: un Dio che ha preceduto la nostra ricerca di Lui mettendosi per primo alla nostra ricerca (Pr. 2, 14; 58, 8). Bisogna notare che Benedetto raccomanda “di osservare”. In altre parole, il discernimento proposto da Benedetto si attua attraverso la capacità di osservare attentamente. Il testo suggerisce che quanti sono chiamati ad osservare sono l’insieme dei fratelli della comunità. Ciò che viene detto prima suppone che l’anziano (senior), capace di guadagnare le anime (il maestro dei novizi), sia particolarmente responsabile di questa osservazione. La cura particolare che caratterizza questa operazione viene compresa come un’attenta osservazione. Questa particolare attenzione si riferisce alla sua intensità e, soprattutto, alla sua durata. Ciò che non si può fare con l’accortezza e la perspicacia, viene fatto più facilmente col tempo. Il passare del tempo rivela i cuori. L’oggetto dell’attenta osservazione di cui stiamo parlando non è l’intenzione (invisibile) del candidato alla vita monastica, ma il suo comportamento (visibile) e questo in una triplice prospettiva: il dono di sé alla vita di preghiera, l’accettazione della volontà degli altri e tutto ciò che mette sotto i piedi l’orgoglio del candidato.
Bisogna notare che non basta dedicarsi alla preghiera, all’obbedienza e all’umiltà, ma impegnarsi in tutto questo con una capacità di accettazione generosa, fervente e piena di zelo buono.
L’Opera di Dio (Opus Dei)
Per quanto riguarda l’Opera di Dio, è la preghiera ad essere al primo posto. Benedetto è coerente con quanto afferma all’inizio della Regola: Per prima cosa, quando tu incominci a fare una qualsiasi opera buona, chiedi, insistendo molto nella preghiera, che sia egli stesso a portarla a termine… (Pr. 4).
Per non dare adito ad equivoci ed essere chiari si afferma: “Non bisogna preferire nulla all’Opera di Dio” (43, 3). Notiamo che l’Opus Dei si riferisce certo all’ufficio liturgico, ma sempre in relazione con lo sforzo costante di attenzione a Dio (cfr 19, 1-2; 7, 10ss).
Commento pastorale: Non si tratta soltanto di osservare la “domanda” del candidato per la sua partecipazione attiva e consapevole all’Opera di Dio… bisogna anche osservare la sua maniera di integrare ciò che i formatori propongono dal punto di vista della praxis: utilizzo dei libri di coro e il canto. Inoltre, lo studio: storia, teologia, struttura della Liturgia delle Ore. Senza dimenticare la mistagogia: la preghiera dei salmi, che lo spirito sia concorde con il cuore…
L’obbedienza
L’obbedienza benedettina è una conseguenza della preghiera (cfr 6, 2) per cui mantiene sempre un certo primato. Il primo grado dell’umiltà è l’obbedienza senza indugio (5, 1).
Il dovere dell’obbedienza (fervore e zelo buono) comporta il fatto di obbedire non soltanto ai superiori, ma anche a tutti i fratelli della comunità (72, 6). Questo tipo di obbedienza viene vissuta rimanendo uniti a Cristo Gesù che ha detto: “Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato” (RB 7, 32 citando Gv 6).
Commento pastorale: Non bisogna mai dimenticare che ci sono due tipi di obbedienza in relazione alla libertà:
l’obbedienza per coercizione: ciò che spinge ad agire non è altro che la paura;
l’obbedienza per convinzione: ciò che spinge a muoversi è la propria scelta.
Nella prima forma di obbedienza, la libertà è condizionata dalla paura della punizione; nel secondo caso prevale invece il libero arbitrio (libertà fondata sulla ragione) e si identifica all’obbedienza volontaria di cui si parla in Perfectae Caritatis.
Opprobria
Gli opprobria, di cui parla la Regola, se si consulta la possibile fonte basiliana del testo (Basilio, Regole, 6-7), si riferiscono alle occupazioni modeste e volgari che, nel mondo secolare, venivano considerate come servili.
San Benedetto si occupa dell’intera vita del candidato al fine di aiutare la crescita dell’umiltà attraverso alcune inevitabili umiliazioni (cfr 7, 44-54). In questo modo il candidato alla vita monastica comincia a conformarsi a Gesù Cristo che si definisce mite e umile di cuore ed è venuto per servire e non per essere servito (Mt 11, 29; Mc 10, 45).
Commento pastorale: Non si tratta certo di essere umiliati volutamente ed intenzionalmente, ma di accettare una vita di servizio e di semplicità.
Conclusione
Benedetto è assai concreto: la ricerca di Dio si manifesta combattendo l’egoismo e l’orgoglio, poiché questi impediscono la comunione con Gesù Cristo e con il prossimo.
Va pure notato che i tre criteri proposti dal Patriarca trovano una certa corrispondenza con la scala dell’umiltà. In effetti, il primo gradino dell’umiltà corrisponde alla relazione del monaco con Dio; i gradini 2 e 4 si riferiscono all’obbedienza; i gradini da 5 a 8 indicano il modo in cui bisogna abbassarsi in riferimento alla vergogna o all’umiliazione.
Per motivi che non ci sono noti – letterari o pedagogici? – Benedetto non menziona il silenzio come criterio di discernimento. Eppure, i gradini da 9 a 12 della scala dell’umiltà parlano del silenzio.
In sintesi, ciò che Benedetto propone può essere riformulato in due domande. La prima: il candidato alla vita monastica cerca di seguire e imitare il Cristo nella sua preghiera, nella sua obbedienza e nella sua abnegazione? Preghiera, obbedienza e umiltà sono messe al servizio di una vera ricerca di Dio?
L’osservanza della Regola
Il terzo criterio fondamentale consiste nel costante confronto con la Regola di vita della comunità.
San Benedetto dice che la Regola deve essere letta al candidato interamente per tre volte prima che questi pronunci la sua promessa finale. La capacità del candidato di osservare pazientemente ciò che la Regola prescrive è a sua volta un criterio di discernimento (58, 9-16).
Commento pastorale: I comportamenti obbedienti e umili devono vivificare l’osservanza della Regola nel suo insieme, in quanto questa osservanza è una prova supplementare della ricerca di Dio. Oltre alla Regola di san Benedetto, il candidato deve conoscere il modo di vivere dell’Ordine così come viene codificato nelle Costituzioni e descritto nelle consuetudini della comunità.
Lo zelo buono
La richiesta che deve manifestare il candidato alla vita monastica è intimamente legata allo zelo buono, caratteristico di chi decide di allontanarsi dai vizi e di dirigere i suoi passi verso Dio. Di conseguenza, il capitolo 72 della Regola sullo zelo buono, che si può anche indicare come amore pieno di fervore, offre dei criteri supplementari per verificare il dono della propria vita e la sua crescita nella vita divina.
In breve, i criteri per discernere lo zelo buono possono essere presentati nel modo seguente:
-rispettarsi reciprocamente (onore);
-sostenersi reciprocamente (pazienza)
-obbedirsi reciprocamente (obbedienza)
-rinunciare a se stessi, non al proprio vicino! (abnegazione-oblazione)
-amarsi (fraternità, sororità);
-temere Dio con amore (principio della saggezza)
-voler bene all’abate / con un sincero affetto (figliazione)
-nulla preferire al Figlio unico (cristocentrismo).
Commento pastorale: Un novizio che non arde, almeno qualche volta, di uno zelo appassionato anche se un po’ eccessivo, corre il rischio di diventare un professo solenne mediocre. La sapienza popolare potrebbe tradurre questo testo della Regola così: una scopa nuova scopa bene e un vecchio asino non <riesce più a trottare>.
Conclusione
È chiaro come questi criteri, specialmente quello dello zelo buono, sono validi non solo per entrare nella vita monastica e la perseveranza, ma anche per il passaggio del monaco o della monaca alla vita eterna.
La dottrina del Patriarca, a motivo del suo fondamento evangelico, conserva tutto il suo valore. L’insegnamento di san Benedetto fin qui esposto deve essere accolto e tradotto in modo nuovo tenendo conto delle circostanze del mondo attuale.
Il modo in cui questi principi vengono incarnati può certamente cambiare e perfino arricchirsi.
Bernardo Olivera, ocso