Prezzi Lorenzo
Cina – Santa Sede l’accordo e la pazienza
2020/12, p. 12
Il 22 ottobre è stato rinnovato l’accordo per la nomina dei vescovi in Cina. Le ragioni, le critiche, le prospettive di un dialogo che dura da decenni. Per una Chiesa cinese.

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NOMINA DEI VESCOVI
Cina – Santa Sede
l’accordo e la pazienza
Il 22 ottobre è stato rinnovato l’accordo per la nomina dei vescovi in Cina. Le ragioni, le critiche, le prospettive di un dialogo che dura da decenni. Per una Chiesa cinese.
A qualche settimana dall’accordo Santa Sede – Cina in ordine alla nomina dei vescovi (22 ottobre) se viene confermata la qualità positiva delle relazioni fra Vaticano e Pechino, si registra anche un precario equilibrio tra difficoltà ricorrenti e dati positivi. Un segnale di insufficienza è dato dall’irruzione della polizia in un seminario della Chiesa clandestina il 2 novembre scorso a Baoding (provincia Hebei). Una dozzina fra seminaristi e suore sono stati portati via (in seguito rilasciati, almeno in parte) e sequestrati i computer e gli strumenti didattici. Arrestato il superiore del primo ciclo di studi, scomparso p. Lu Genjum (ex-vicario generale), mentre del vescovo G. Su Zhimin non si sa nulla dal 1997. Il suo ausiliare, F. An Shuxin, dopo lunga prigionia è entrato nell’ufficialità. L’operazione, a pochi giorni dalla firma dell’accordo, è suonata come una interpretazione ideologica dello stesso oppure come un intralcio amministrativo locale. Sul versante positivo si fanno insistenti le voci per due o tre nomine episcopali che dovrebbero essere imminenti. E il tono basso della recezione dell’accordo sui media cinesi mentre nei primi giorni era interpretato come una esibita disattenzione, in seguito, è stato colto come un’attenzione del governo a non enfatizzare l’evidente distanza della diplomazia pontificia rispetto alle attese dell’attuale amministrazione americana. Si resta in attesa di sviluppi in ordine al riconoscimento dei vescovi “clandestini” (una trentina) e, più avanti, del riconoscimento di una conferenza episcopale “piena” rispetto all’attuale che non conteggia i “sotterranei” ed è gravata da una tutela pesante dell’Associazione patriottica. Si attende anche una accelerazione delle indicazioni per i nuovi vescovi. Senza nascondersi che i nomi in arrivo possano risentire dell’ombra pesante del partito e che la possibilità di verifica da parte di Roma non sia equiparabile a quella per le nomine nel resto del mondo.
La variabile Biden
Il cambiamento più significativo è esterno all’accordo. Non tanto il recente plenum del Congresso del partito comunista cinese che si è chiuso con una sostanziale conferma dei programmi e della leadership di Xi Jinping, quanto le elezioni americane che hanno premiato il candidato democratico Joe Biden rispetto all’amministrazione in carica di Donald Trump. Non vi è da attendersi alcun abbassamento delle critiche americane verso la Cina. Biden potrebbe avere un approccio più sistematicamente critico rispetto a Trump. Interrogato sulle priorità di politica estera ha detto: «Cina, Cina, Cina. E Russia». Ma è altrettanto interessato al multilateralismo, alla collaborazione internazionale e alle istituzioni internazionali (accordo sul clima, con l’Iran, collaborazione con l’Unesco e con l’Organizzazione mondiale della sanità). Un contesto che rende l’accordo Cina – Santa Sede assai meno abrasivo e irritante. Forse anche funzionale. Le critiche avranno un minore impatto: sia quelle politiche (il segretario di stato americano Mike Pompeo), sia del cattolicesimo conservatore statunitense (il periodico First Things), sia interne (card. J. Zen) o dei media cattolici (come AsiaNews).
Accanto al comunicato in cui «le due parti hanno concordato di prorogare la fase attuativa sperimentale dell’accordo provvisorio per altri due anni», con un «dialogo aperto e costruttivo per favorire la vita della Chiesa cattolica e il bene del popolo cinese» l’Osservatore romano del 22 ottobre riportava un lungo commento (firmato con tre asterischi) che rappresenta la giustificazione più argomentata del percorso compiuto. Si ricorda che «lo scopo principale dell’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi in Cina è quello di sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo in quelle terre, ricostituendo la piena e visibile unità della Chiesa». I motivi profondi «sono fondamentalmente di natura ecclesiologica e pastorale». Per il ruolo centrale del vescovo nella Chiesa locale e del suo legame con il Papa in ordine alla Chiesa universale si registra con fiducia «per la prima volta dopo tanti decenni (che) tutti i vescovi in Cina sono in comunione con il vescovo di Roma e (che) grazie all’implementazione dell’accordo, non ci saranno più ordinazioni illegittime». Rimangono da affrontare molti problemi. I malintesi «sono nati dall’attribuzione all’accordo di obiettivi che esso non ha, o dalla riconduzione all’accordo di eventi riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina che sono ad esso estranei, oppure a collegamenti con questioni politiche che nulla hanno a che vedere con l’accordo stesso». I molti e seri problemi che sono ancora da risolvere fanno dell’accordo «il punto di partenza per più ampie e lungimiranti intese».
Il martirio della pazienza
Si sottolinea con forza che l’atteggiamento dialogante affonda in lunghi anni di negoziati, partiti con Giovanni Paolo II e condivisi da Benedetto XVI, esplicitamente consenziente sul testo del trattato. E questo in aperta smentita alle reiterate affermazioni contrarie di molti critici interni alla Chiesa. Nella convinzione che il dialogo «favorisce una più proficua ricerca del bene comune a vantaggio dell’intera comunità internazionale». Su questo vi è un consenso esplicito sia da parte del segretario del rapporto con gli stati, mons. Paul Gallagher, sia da parte del ministro degli affari esteri cinesi, Wang Yi, in ripetuti incontri, l’ultimo dei quali il 14 febbraio 2020 a Monaco di Baviera. Si ricorda la nomina di due vescovi (mons. A. Yao Shun e S. Xu Hengwei) e «l’effettiva e sempre più attiva partecipazione dell’episcopato cinese». «È doveroso riconoscere che permangono non poche situazioni di grande sofferenza. La Santa Sede ne è profondamente consapevole, ne tiene ben conto e non manca di attirare l’attenzione del governo cinese per favorire un più fruttuoso esercizio della libertà religiosa. Il cammino è ancora lungo e non privo di difficoltà».
Vale la pena ripercorrere alcuni eventi precedenti la firma dell’accordo che ne illuminano il senso e il percorso. In particolare l’importante intervento del card. Piero Parolin, segretario di stato vaticano, al PIME (Milano 3 ottobre), la scelta dolorosa di mons. Guo Xijin (Mindong) e i limiti delle critiche al processo di dialogo con la Cina.
La lettera ai cattolici cinesi
All’interno di un’ampia ricostruzione dei rapporti fra cattolicesimo e Cina, il card. Parolin ha fissato il compito da perseguire, cioè la fondazione di una Chiesa locale. Una volontà che attraversa il drammatico periodo della rivoluzione comunista del 1949 con l’espulsione dei missionari, la pretesa del partito di imporre l’associazione patriottica cattolica e le sue tre “autonomie” (autogoverno, autogestione economica, autonomia nell’annuncio). Alla domanda allora comprensibile («scomparirà la Chiesa?») si può oggi rispondere con l’affermazione: la fede si è salvata, la Chiesa è ancora viva. Col governo ci fu un primo tentativo di intesa nel 1951 attorno a due principi: seguire l’autorità religiosa del Papa e piena lealtà patriottica. Dopo quattro stesure, il documento si arenò. «Credo che al fallimento di tale tentativo abbia contribuito – oltre alle tensioni internazionali (erano gli anni della guerra di Corea) anche le incomprensioni fra le due parti e la sfiducia reciproca. È un fallimento che ha segnato tutta la storia successiva».
I primi spazi di un rinnovato dialogo si aprono negli anni ’80 e, con alterne vicende si arriva alla Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI nel 2007. Lo stesso Papa approvò il progetto di accordo sulla nomina dei vescovi che però fu firmato solo nel 2018. «Se la Chiesa non avesse concesso a Pechino un ruolo significativo nella scelta dei vescovi – ha detto l’arcivescovo Paul Gallagher, segretario per il rapporto con gli stati della segreteria di Stato vaticana – ci saremmo trovati, non immediatamente ma fra dieci anni, con pochissimi vescovi, se non con nessuno, in comunione con il Papa» (intervista a John Allen, 7 ottobre). A chi dice che il risultato è molto scarso, il diplomatico ricorda il detto di un suo anziano mentore «c’è una grande differenza fra qualcosa e niente». Certo le nomine vanno a rilento, il vaglio dei candidati è molto difficile, la differenza dei comportamenti delle amministrazioni locali è variegata e talora contraddittoria, le norme amministrative per la “sinizzazione” delle fedi sono cariche di possibili vessazioni. Il percorso sarà difficile, a volta incerto, ma non ci sono ragioni per abbandonare il tentativo.
Passi in avanti e arretramenti
L’accordo è stato completato con gli «Orientamenti pastorali» (30 giugno 2019) per andare incontro ai problemi di coscienza di preti e vescovi davanti all’obbligo di firma di adesione agli indirizzi dell’associazione patriottica. Si sottolinea in particolare lo slittamento semantico del termine «indipendenza» che non significa più «separazione» dal momento che si accoglie la decisione ultima del Papa.
Un segnale importante delle difficoltà arriva da Mindong, dove mons. Guo Xijin ha preso parola davanti ai suoi fedeli (4 ottobre) per annunciare le sue dimissioni dalle cariche pubbliche e dalle sue funzioni pastorali. In perfetto stile confuciano svilisce le sue capacità e ostenta le sue fragilità. La sua vicenda tocca un nervo scoperto dell’accordo. Aveva infatti accettato di lasciare il titolo pieno della diocesi al vescovo “patriottico” Zhan Silu («un perfetto funzionario» mi ha confidato un esperto), per restare come ausiliare con una responsabilità diretta sulle comunità “clandestine”. Il suo passo indietro, comprensibile per le pressioni di amministratori ottusi (ma non concordato con Roma), è un segnale delle difficoltà che l’accordo, ancorché rinnovato, potrà incontrare.
Fra le voci più sgarbate posso ricordare quella di Mike Pompeo, il segretario di stato americano, che ha fatto sapere al Papa la perdita della sua autorità morale se avesse firmato l’accordo, ignorando non solo l’abc della diplomazia, ma anche la sostanza delle cose. E purtroppo anche i reiterati interventi del card. J. Zen, ex-arcivescovo di Hong Kong che nel suo blog ha scaricato critiche e insulti sul segretario di Stato, trasformandolo in una sorta di Rasputin, un consigliere più potente del Papa, disposto a vendere i cattolici cinesi per la propria ambizione. Zen sembra aver smarrito il rapporto reale con la sua ex-diocesi, esibire una rappresentanza sul cattolicesimo del continente cinese molto dubbia, non conoscere una dialettica creativa con la sua famiglia religiosa di provenienza (salesiani).
L’annuncio e la libertà
La Cina vive una crescente diffidenza nel contesto internazionale. In una ricerca del Pew Research Center la disapprovazione popolare nei suoi confronti è al 73% negli USA, all’86% in Giappone, all’81% in Australia, al 74% nel Regno Unito, al 62% in Italia. La diffidenza è cresciuta in particolare per la gestione della pandemia. Con un singolare contrasto: il riconoscimento della sua potenza economica non traina un consenso alla sua politica e alla sua cultura. La Cina può essere decisiva, ma non è egemone. A questo contribuisce la cancellazione dell’accordo internazionale che garantiva la libertà di Hong Kong, la gestione violenta rispetto alla minoranza uigura, tibetana e dei mongoli del Nord. L’accordo ignora i diritti umani? Certo non affronto di petto la questione (peraltro molto avvertita e denunciata nelle comunità cristiane), ma ogni piccolo passo per garantire maggiori diritti ai cattolici è indirettamente una maggiore apertura per tutti. Il dialogo con la Cina da parte della Santa Sede è sorretto dalla volontà dell’annuncio evangelico, dalla richiesta di più ampia libertà per i credenti, dall’opportunità di dare alla Cina uno spazio adeguato all’interno del concerto delle nazioni in vista della pace e dalla convinzione che solo i tempi lunghi garantiscono risultati permanenti e condivisi.
LORENZO PREZZI