Testimonianza: don Olinto Marella
2020/12, p. 10
La beatificazione a Bologna il 4 ottobre 2020 di don Olinto Marella (1882-1969) richiama al ricordo di una Chiesa dalla bellezza passata ma non trascorsa nella quale chi era giovane negli anni ‘60 ritrova le sue radici cristiane.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Testimonianza
don Olinto Marella
La beatificazione a Bologna il 4 ottobre 2020 di don Olinto Marella (1882-1969) richiama al ricordo di una Chiesa dalla bellezza passata ma non trascorsa nella quale chi era giovane negli anni '60 ritrova le sue radici cristiane.
La Chiesa di Bologna di quel periodo storico complesso e ricco di suggestioni era quella del card. Lercaro, di una FUCI vivacissima, di due sacerdoti di grande dedizione ai giovani, Luigi Bettazzi e Umberto Neri. Era la Chiesa dell'incontro fondamentale con la nascente comunità di don Dossetti, una Piccola davvero grande Famiglia che ha lasciato segni indelebili in tantissimi giovani, molti divenuti poi cristiani impegnati su tante strade, da don Paolino Serra Zanetti all'on. Giorgio Ghezzi....
Della città di Bologna, non solo della sua Chiesa, Olinto Marella era icona unica, umilissima e parlante.
Luigi Bettazzi seguiva con dedizione la nascita di tante vocazioni cristiane al matrimonio e alla vita monastica, Umberto Neri educava alla lectio e a un ascolto quotidiano della Scrittura che ci trovava impegnati con lo slancio dei neofiti. L'Università offriva nelle facoltà umanistiche, magisteri che non ignoravano il cristianesimo. Alcuni comprendevano la teologia patristica e medievale. Le settimane di teologia a Camaldoli ci facevano incontrare con biblisti e teologi di grande capacità di ascolto, da don Carlo Colombo e padre Stanislao Lyonnet a don Franco Costa...
Iniziava il Concilio, vibrava in tutti una sete di rinnovamento che la Chiesa di Bologna in qualche misura già attuava, la nostra Messa universitaria a S. Sigismondo ne era un piccolo esempio.
Don Marella dava a tutti un segno mite e dolce di misericordia e di bontà. Dalla seggiolina su cui sedeva in silenzio, col cappello capovolto sulle ginocchia, la sua presenza familiare alla città poteva essere anche inquietante: poneva domande, scrutava coscienze, induceva ad accogliere questioni esistenziali.
Per quanti hanno poi vissuto in altri ambienti e Chiese non è mai venuto meno il rapporto vitale, profondo con la nostra prima Chiesa. Se don Dossetti ha fatto crescere in tutti i fondamenti della vita cristiana e in alcuni i semi della vita monastica, Giacomo Biffi ha poi aiutato a viverla, a superare i formalismi dell'epoca, a incrementare il senso dell'umorismo, a coltivare l’intelligenza della fede, a crescere nell'amore per una Chiesa piena, in cui ogni espressione umana trovasse accoglienza e capacità di sviluppo. Abbiamo imparato ad amare una "Chiesa petulante come un'assemblea di condomini e serena come l'oceano sconfinato della vita divina, aliena da ogni sudditanza ai poteri mondani, non spenta reliquia di un'epoca remota ma viva, attiva, palpitante come il cuore di Cristo risorto"(G. Biffi). Carlo Caffarra ha mostrato in modo luminoso l'amore della Chiesa per i più poveri, stabilendo che fosse serbata soltanto per loro una grossa eredità ricevuta dalla Chiesa di Bologna, che Matteo Zuppi continua a serbare solo per essi.
A tre anni dalla morte di Giacomo Biffi, a ventiquattro da quella di Giuseppe Dossetti, a cinquantuno da quella di Olinto Marella si coglie quanto la Chiesa di Bologna abbia camminato, sulla scia dei suoi padri, verso l'incontro sempre più vivo e concreto col vangelo di Gesù Cristo. Cioè con il Cristo vivo che il magistero dei grandi Papi del XIX secolo e la vita feriale di innumerevoli cristiani operosi e silenziosi hanno testimoniato con amore instancabile. In modalità varie ma con una comune passione.
Voce diversa ma che poteva essere emblematica di tutte era il silenzio orante di don Olinto Marella, che sedeva la sera alle porte dei cinema centrali della città col cappello sulle ginocchia. Una presenza che colpiva anche i più indifferenti, poneva domande alla nostra presunzione giovanile, intercettava inquietudini nascoste, interrogava la nostra vita comoda e sicura.
Sapevamo che era laureato in filosofia, che era stato professore nei principali licei della città, che si era fatto medicante per salvare dalla strada i ragazzi abbandonati e raccoglierli in un magazzino, prima sede di quella "Citta dei ragazzi” per la quale non solo loro, ma tutta la città lo chiamava padre.
La beatificazione di don Marella è occasione per considerare quanto la Chiesa di Bologna abbia proseguito, sui passi dei suoi maestri, in un percorso non sempre facile ma vissuto con slancio ed entusiasmo nel solco di una tradizione cristiana sempre tesa a dare con la vita le ragioni della sua fede.
Una Chiesa accogliente come la città in cui si esprime, generosa e aperta, segnata da difficoltà, tentata da rotture della comunione, ma fedele al magistero dei padri, attenta ai segni dei tempi, in ascolto di tutte le voci. Anche di quelle di chi ignora Cristo ma vive inconsapevolmente tante istanze del suo Vangelo.
La Chiesa estesa oltre ogni confine, seme a volte invisibile in tante terre, ricolma di gioia nella passione del Signore (Ignazio di Antiochia), luogo di misericordia per ogni vivente.
Ora il magistero evangelico, declinato con freschezza antica e nuova da papa Francesco, vede la Chiesa di Bologna, con il suo attuale pastore, in prima linea nell'ascolto del Papa, nella tensione a un ritorno reale, incarnato, alla vita della prima Chiesa, povera, forte nella fede, magnanima nella carità, gioiosa nelle tribolazioni. E nella tensione alle prospettive planetarie aperte da Francesco in Fratelli tutti. Nel rispetto della dignità di ogni persona, nella consapevolezza dei due terzi di umanità sofferenti, dei senza voce di cui ora si ignora, nella catastrofe mondiale del Covid 19, anche la morte.
Ma pure nella speranza, che non vogliamo credere illusoria, che il soprassalto che Covid Sars- 2 ha dato al nostro mondo opulento e alla sua presunzione si sia almeno incrinato. Le preziose innovazioni tecnologiche possono dare vertigini di onnipotenza se non si trasformano in sviluppo, e orientano a una crescita globale, inclusiva di scelte etiche. La pandemia nella sua diffusione silenziosa e minacciosa ha azzerato ambizioni, ha esposto alla percezione di una grande fragilità, ha ricondotto ai limiti umani. Una forte, concreta lezione di umiltà.
Essere messaggeri di speranza e portatori di gioia in un'ora così ardua è la missione ardua e felice di una Chiesa spalancata a tutti, in ascolto di ogni voce umana. Una Chiesa che, erede dei suoi grandi padri, testimonia che "siamo fatti per l'infinito. Se viviamo un amore "infinito" ne diveniamo anche comunicatori, vivendolo, perché diventa fatto, cioè storia, incontro, compagnia, presenza" (M. Zuppi).
La Chiesa del cappello di padre Marella: neppure offerto, posato sulle ginocchia in un gesto che era insieme offerta e benedizione.
EMANUELA GHINI