Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2020/11, p. 39
AFRICA - MALI Padre Maccalli e la forza della fede ASIA - IRAQ Il Natale sia giorno festivo per tutti gli iracheni INDIA – UTTAR PRADESH Cresce l’intolleranza verso i cristiani

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Testimoni
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Africa - Mali
Padre Maccalli e la forza della fede
L’8 ottobre, come hanno riferito i media, è arrivata la notizia tanto attesa da oltre due anni: “Padre Gigi Maccalli è stato liberato in Mali”. Il missionario appartenente alla Società delle Missioni Africane (SMA) era stato rapito la notte del 17 settembre 2018 nella missione di Bomoanga, in Niger, quasi al confine con il Burkina Faso, da un gruppo armato. Dopo il sequestro, all’agenzia Sir padre Maccalli ha raccontato in un’intervista a Gigliola Alfaro come ha vissuto questa grande prova.
In un primo tempo, dopo il rapimento, ha affermato, ho pensato ad una rapina a mano armata. Quando ho chiesto loro chi erano, il giorno dopo, hanno detto che potevo chiamarli jihadisti o terroristi. All’inizio sovente mi cambiavano di posto, specie se sentivano dei rumori di droni. Comunque, ho attraversato il Sahara dai molti volti (sabbia, arbusti, pietre) da sud-est a ovest verso la Mauritania e poi da ovest a nord-est verso l’Algeria per finire gli ultimi 7 mesi tra le 3 frontiere Mali-Algeria-Niger in area Kidal.
Sono stati 2 anni di grande silenzio, tristezza e isolamento da 41 bis (nessuna comunicazione con l’esterno). La mia più grande tristezza da missionario con 21 anni di presenza in Africa (10 in Costa d’Avorio e 11 in Niger) era vedere dei giovani (i miei carcerieri e sorveglianti) indottrinati da video di propaganda che inneggiavano alla Jihad e alla violenza.
Gli è stato chiesto se ha avuto paura di morire. Più i giorni passavano – ha risposto – meno temevo una conclusione drammatica anche se mi ero preparato a tutto. Tranne una volta. Ho ricevuto una minaccia verbale, da parte di un mujahidin, di piantarmi una pallottola in fronte alla prima occasione propizia. Eravamo al nono mese di detenzione. Quella parola o promessa mi ha reso più guardingo e attento. Mi son reso conto che ogni mia parola e gesto poteva essere letto come una provocazione.
La mia forza è stata la fede. Non potevo celebrare l’Eucaristia, né leggere la Parola di Dio, ero spogliato di tutto e a volte incatenato, ma non così la mia fede. Ho attraversato la notte oscura e più volte ho gridato a Dio con Gesù sulla croce: “Padre, perché mi hai abbandonato?”. È stato un passaggio pasquale, ma ora sono risorto e posso cantare con il salmo 125: “Quando il Signore le nostre catene strappò ed infranse fu come un sogno, tutte le bocche esplosero in grida, inni fiorirono in tutte le gole”.
Di alcuni suoi compagni che si sono convertiti all’islam, posso affermare, che è stato per convenienza. Un modo di tutelarsi contro il peggio perché è convinzione di questi mujahidin zelanti e fanatici musulmani che chi uccide un musulmano indifeso va dritto all’inferno. Con me ci hanno pure provato. Quando era pesantemente insistente trovavo l’escamotage dicendo loro che sarà quando Dio vorrà, visto che tutto è scritto e a Dio non si comanda. Fino all’ultima sera prima della liberazione un capo mi ha detto in francese: “Noi dobbiamo dirtelo ed avvertirti per il tuo bene per evitarti d’andare all’inferno. Allah chiederà conto di te anche a me: ma come, avete rapito un non-credente e non gli avete detto di convertirsi all’Islam?”. Li ho ringraziati per la loro sollecitudine e benevolenza verso di me, ma ho detto che resto discepolo di Gesù figlio di Maria e accetto il giudizio di Dio qualunque esso sia.
Ogni sera dicevo al tramonto: anche oggi è passato, speriamo domani!
Com’è la situazione adesso nel Sahel? Era una polveriera, ora ha preso fuoco! Il livello di allerta si è alzato con il mio rapimento nella zona di confine Niger-Burkina Faso e quest’anno in Niger tutto il Paese è zona rossa a seguito dell’uccisione dei 6 giovani operatori umanitari di una Ong francese nell’agosto scorso. Dal Mali al Niger passando per il Burkina Faso c’è insicurezza e gruppi armati fanno scorribande.
I giovani jihadisti con cui sono stato in contatto, i miei guardiani e sorveglianti, mi fanno solo tanta tristezza. Sono quasi tutti analfabeti e indottrinati al miraggio di un ideale falsato di vivere appieno l’Islam, combattere per Allah e imporre a tutti i musulmani la sharia.
Non porto rancore verso di loro per quanto mi hanno fatto subire, perché “non sanno quello che fanno”.
A colui che è stato il “responsabile” della nostra prigionia in questo ultimo anno e ci ha accompagnato personalmente fino al luogo della liberazione, ho augurato: “Che un giorno Dio ci faccia capire che siamo tutti fratelli”.
Asia - Iraq
Il Natale sia giorno festivo per tutti gli iracheni
Un disegno di legge per far sì che il Natale sia ufficialmente riconosciuto come giorno festivo in tutto l’Iraq. È questa la richiesta concreta che il cardinale Louis Raphael Sako, Patriarca della Chiesa caldea, ha presentato al Presidente iracheno Barham Salih, che sabato 17 ottobre ha ricevuto il Patriarca nella sua residenza. Durante il colloquio – riferiscono le fonti ufficiali del Patriarcato caldeo e della Presidenza irachena – Barham Salih (ingegnere curdo laureatosi in Gran Bretagna, dove era espatriato ai tempi del regime di Saddam Hussein) ha riconosciuto e esaltato il ruolo delle comunità cristiane nella ricostruzione del Paese, ribadendo il suo impegno a favorire in tutti i modi il ritorno dei cristiani sfollati nei loro territori di provenienza, a cominciare da Mosul e dalla Piana di Ninive, da loro abbandonate durante gli anni della dominazione jihadista. Il Capo di Stato iracheno ha sottolineato anche l’urgenza di porre fine alle discriminazioni, spesso dissimulate, che di fatto ostacolano la piena e libera partecipazione dei cristiani iracheni alla vita politica, sociale e culturale del Paese. Lo scorso anno, lo stesso cardinale Louis Raphael Sako aveva dato disposizione di celebrare il Natale in maniera sobria, senza momenti conviviali pubblici, come segno di vicinanza alle famiglie delle centinaia di morti e dei feriti registrati durante le proteste e gli scontri di piazza che nei mesi precedenti avevano scosso il Paese, e si erano verificati anche dopo la caduta del governo guidato da Adel Abdel Mahdi. Per questo motivo vennero cancellati anche i tradizionali ricevimenti che vedevano autorità politiche e religiose recarsi presso la sede del Patriarcato caldeo per lo scambio di auguri con il Patriarca e i suoi collaboratori. (GV) (Agenzia Fides 19/10/2020)
India – Uttar Pradesh
Cresce l’intolleranza verso i cristiani
L’Uttar Pradesh è lo Stato indiano più popoloso, che registra il maggior numero di violenze di stampo religioso ed è al primo posto per le violenze contro i cristiani. Gruppi radicali indù penetrano anche nelle case private, interrompono servizi liturgici, fanno intervenire la polizia accusando pastori e fedeli di “conversioni forzate”.
Qui l’intolleranza verso la fede cristiana cresce ogni giorno. In più, i gruppi di destra aumentano i loro assalti verso le comunità cristiane vulnerabili”: lo dichiara ad AsiaNews Sajan K. George, presidente del Global Council of Indian Christian (GCIC), elencando una serie di arresti e pestaggi tutti motivati con la (falsa) accusa di “proselitismo” e “conversioni forzate”.
“Il 6 ottobre scorso – racconta – nel distretto di Mau (Uttar Pradesh), due innocenti pastori pentecostali sono stati rilasciati su cauzione, dopo che erano stati accusati falsamente di conversioni forzate. Due giorni prima, alcuni gruppi di destra [militanti nazionalisti indù - ndr] sono piombati nella casa del pastore Harilal, dove stata guidando un servizio di preghiera insieme al pastore Kalicharan. Sei membri del gruppo radicale, guidato da Chandan Singh, hanno interrotto il servizio e hanno cominciato a fotografare e filmare i cristiani presenti.
Poi, come se fossero stati già avvertiti, sono arrivati alcuni poliziotti che hanno accusato i pastori di conversioni forzate e li hanno arrestati. I radicali li hanno seguiti fino alla stazione di polizia, gridando slogan anti-cristiani e accuse di conversione. In seguito, i due pastori sono stati condotti davanti a un giudice, che li ha ancora interrogati su possibili conversioni forzate. Dopo la breve udienza, i due pastori sono finiti in prigione a Mau. Il 6 ottobre essi sono stati entrambi liberati su cauzione”.
Il presidente del GCIC è stupefatto per l’intrusione dei gruppi radicali in una casa privata: “Questi attacchi nello spazio sacro della casa di una persona non sono nuovi. I gruppi di destra agiscono come delle bande che vigilano sulle case delle minuscole comunità cristiane. Essi penetrano nelle loro case private e accusano i credenti di conversioni forzate. In tal modo questi poveri cristiani vengono arrestati e accusati secondo diverse sezioni del codice penale indiano. Questi scagnozzi estremisti hanno creato una situazione che in apparenza rispetta la legge, ma in realtà loro sono i primi a violarla”.
Sajan K. George continua l’elenco delle violenze contro i cristiani: “Il 27 maggio scorso, sempre nel distretto di Mau, un gruppo di estremisti ha picchiato con brutalità un pastore protestante, che ha dovuto ricorrere alle cure ospedaliere. Motivo del pestaggio: sospetto di conversioni forzate!
A fine gennaio, dopo oltre due mesi di prigione, tre cristiani sono stati rilasciati su cauzione. Si tratta di Ajay Kumar, pastore di 23 anni, del suo collega Om Prakash, 20 anni, e di Kapil Dev Ram, un fedele di 62 anni. Anche loro sono accusati di conversioni forzate. E sono tutte accuse inventate”.
L’Uttar Pradesh, lo Stato indiano più popoloso (circa 200milioni di abitanti), è guidato dal Chief minister Yogi Adityanath, un santone famoso per le sue posizioni contro i cristiani e le altre minoranze religiose.
Secondo l’Institute for Leadership and Community Development, l’Uttar Pradesh è al primo posto fra gli Stati indiani per violenze di stampo religioso ed etnico. Il Violence Monitor, un mensile che monitora le violenze contro i cristiani, ha spesso messo l’Uttar Pradesh in vetta alle classifiche di episodi di violenza contro i cristiani. (Nirmala Carvalho, Asia News, 6/10/2020).
a cura di Antonio Dall’Osto