Ferrari Matteo
Nell'attesa del suo ultimo avvento
2020/11, p. 9
Chiediamo alla liturgia stessa di dirci qual è il mistero che celebriamo nell’Avvento, quale esperienza di Dio e della sua opera la Chiesa vive nell’itinerario che ci propone in questo tempo liturgico.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
AVVENTO 2020
Nell’attesa del suo ultimo avvento
Chiediamo alla liturgia stessa di dirci qual è il mistero che celebriamo nell’Avvento, quale esperienza di Dio e della sua opera la Chiesa vive nell’itinerario che ci propone in questo tempo liturgico.
L’uscita della nuova edizione italiana del Messale Romano è un’occasione preziosa per riprendere in mano i testi liturgici come «fonte» di spiritualità. Iniziando l’Avvento, possiamo prendere in considerazione alcuni testi della liturgia di questo tempo liturgico per coglierne i tratti fondamentali. Chiediamo alla liturgia stessa di dirci qual è il mistero che celebriamo nell’Avvento, quale esperienza di Dio e della sua opera la Chiesa vive nell’itinerario che la liturgia ci propone in questo tempo liturgico.
Ci faremo guidare innanzitutto dai prefazi, che il Messale propone per l’Avvento, e dalle collette delle domeniche e dei giorni feriali. Il tempo di Avvento nella vita delle nostre comunità rischia di essere letto unicamente come «preparazione» al Natale. I testi liturgici invece ci rivelano quale sia il «mistero» che l’Avvento celebra e quali siano le conseguenze per la preghiera e per la vita dei cristiani.
Il tempo della sua venuta
Lo dice il nome stesso «avvento». In questo tempo la Chiesa celebra la venuta del Signore. In che senso? I prefazi dell’Avvento descrivono bene il senso in cui la liturgia celebra la venuta di Cristo. Il primo prefazio (Prefazio dell’Avvento I) parla di due venute: la prima venuta è quella nella carne, «nell’umiltà della condizione umana», la seconda è quella futura, «nello splendore della gloria». Queste «due venute» fanno parte di un unico movimento di Dio verso l’umanità.
La prima venuta, quella nella storia, è segnata dall’abbassamento di Dio, che condivide la condizione umana. Questa venuta, che è quella che celebrerà il tempo del Natale, indica che anche l’ultimo avvento del Signore è radicato in una storia, è attestazione della fedeltà di Dio. Il testo del prefazio dice che «al suo primo avvento» il Signore Gesù «portò a compimento la promessa antica». È una frase che riassume tutte le Scritture, come se questa venuta di Dio nella nostra carne fosse la meta di un lungo cammino. Da sempre Dio desidera questa comunione e questa solidarietà con l’umanità che si compie nell’umiliazione del Figlio, che assume la nostra condizione umana. In questa prospettiva parla della prima venuta anche il terzo prefazio proposto dal Messale per l’Avvento (Prefazio dell’Avvento I), quando afferma che Cristo è stato annunciato dai profeti, portato in grembo dalla Vergine Madre e indicato presente nel mondo da Giovanni Battista. In questo prefazio vengono accostate le tre figure bibliche principali dell’Avvento che troviamo nella liturgia della Parola delle domeniche e dei giorni feriali: i profeti (in particolare Isaia), Maria, Giovanni Battista. Il «mistero della Vergine Madre» è poi il tema del quarto prefazio dell’Avvento (Prefazio dell’Avvento II/A), nel quale l’incarnazione viene inserita nella storia della salvezza tramite il parallelismo Eva/Maria: «dove abbondò la colpa, sovrabbonda la tua misericordia».
Il frutto della prima venuta è descritto da questo testo come l’apertura di una nuova possibilità di comunione con Dio: «ci aprì la via dell’eterna salvezza». La carne del Figlio, la sua umanità, è una via aperta da Dio per la nostra salvezza. La Lettera agli Ebrei parla di una «via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne» (Eb 10,20). La «carne» di Gesù, secondo quanto afferma l’autore della Lettera agli Ebrei» è la via aperta ad ogni uomo e donna per la relazione con Dio. È la dinamica della prima parte dell’inno della Lettera ai Filippesi (Fil 2,5-8), nel quale si descrive l’«abbassamento» di Cristo, che non ritenne un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio. È la dinamica dell’incarnazione, che non implica unicamente la nascita in un corpo umano, ma anche una vita umana, un modo di vivere, che consiste nel fare della propria vita un dono. In questo Gesù è divenuto una «via nuova e vivente» per noi.
C’è poi la seconda venuta, quella «nella gloria». In questa seconda venuta Cristo «ci chiamerà a possedere il regno promesso, che ora osiamo sperare». Riguardo a questa venuta del Signore il primo prefazio parla di un «quando», qualcosa che riguarda il futuro, e di un «ora», che si riferisce al presente. La seconda venuta ha quindi due dimensioni: l’attesa di un compimento futuro, che tuttavia riguarda anche il presente della vita della Chiesa. Delle caratteristiche della seconda venuta parla in modo particolare il secondo prefazio proposto per l’Avvento (Prefazio dell’Avvento I/A). Anche in questo prefazio si parla di un evento futuro, che sta davanti a noi, ma anche di un «ora» che si riferisce al presente della vita della Chiesa e dei singoli credenti.
Innanzitutto, si parla di un tempo futuro in cui Cristo «Signore e giudice della storia apparirà sulle nubi del cielo»: è la venuta gloriosa del Signore. Il prefazio afferma che si tratta di un «tempo nascosto»: «tu ci hai nascosto il giorno e l’ora». Il tempo della venuta del Figlio dell’uomo, della fine della storia, non è conosciuto. È un primo dato fondamentale: noi non sappiamo quando il Signore verrà alla fine dei tempi, così come non sappiamo quando sarà anche la fine della nostra storia personale. Questo rimanda alla nostra condizione di limite e di finitudine: non ci è dato sapere il tempo della fine, ma questo non è un aspetto negativo, bensì un motivo di impegno. L’uomo e la donna non vivono in funzione della fine, come se il tempo della vita fosse secondario, dal momento che la vita vera è quella futura. L’essere umano è chiamato ad impegnarsi in questa vita, a viverla fino in fondo, poiché è l’unica che gli è dato di conoscere. Certamente però ciò che cambia il volto dell’esistenza umana è sapere che c’è un’attesa da vivere e che questa storia non è chiusa in se stessa, ma aperta ad un futuro che le sarà donato da Dio. È il fondamento della vigilanza: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora» (Mt 25,13).
In secondo luogo il prefazio afferma che in quel tempo sconosciuto «sorgeranno cieli nuovi e terra nuova». È la direzione verso cui tende la storia. Il credente vive pienamente nella storia dell’umanità perché sa che essa cammina verso un compimento che è nelle mani di Dio. È ciò che annuncia il profeta Isaia: «Ecco io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio» (Is 65,17-18). Anche nella Seconda Lettera di Pietro si afferma: «secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (2Pt 3,13). Anche il veggente dell’Apocalisse contempla così la fine della storia: «vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più» (Ap 21,1). C’è una novità che attende la storia: la sua fine non sarà qualcosa di deducibile totalmente da essa e sarà la novità di Dio. Proprio come non era deducibile dalle generazioni umane (cf. Mt 1,1-17) la nascita di Cristo, così non sarà deducibile dalla storia umana il suo compimento.
Ma, contemplando l’orizzonte della storia e la novità che Dio opera, il prefazio canta anche un «oggi»: «ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno».
La venuta del Signore non riguarda solo la fine della storia, ma riguarda anche il presente. Nella liturgia dell’Avvento si celebra il futuro di Dio e lo si pregusta presente nella vita della Chiesa. Il Signore che attendiamo alla fine dei tempi, ora ci viene incontro in ogni uomo e donna, in ogni tempo. Qui si fonda quell’impegno operoso di cui parla la liturgia dell’Avvento; in questa venuta continua del Signore si fonda la necessità di «testimoniare nell’amore la beata speranza del suo regno».
La seconda venuta corrisponde alla seconda parte dell’inno della Lettera ai Filippesi (Fil 2,9-11). All’abbassamento e all’umiliazione di Cristo, corrisponde la sua esaltazione. A partecipare a questa «gloria» egli invita anche noi. Il tempo di Avvento, quindi, non è il tempo della preparazione al Natale, ma è il tempo nel quale celebriamo il futuro di Dio per pregustarlo e viverlo nell’«oggi» della nostra vita.
Il tempo della misericordia
Se noi leggiamo i testi della liturgia dell’Avvento vediamo come l’invocazione della misericordia di Dio sia una costante. Una delle invocazioni che caratterizza l’Avvento è proprio questa: «mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza» (cf. Sal 85,8). Noi siamo abituati a pensare questo tema legato al tempo di Quaresima. Eppure, anche il tempo di Avvento è caratterizzato dalla insistente invocazione della misericordia di Dio.
L’attesa del Signore da una parte ci invita a meditare sulla nostra condizione e sulla nostra debolezza, dall’altra a invocare la salvezza di Dio. Nelle collette uno degli aspetti che emerge è l’invocazione rivolta al Padre, perché ci liberi dal male e ci renda capaci di accogliere la venuta del Figlio. Se nei prefazi del tempo di Avvento il tema prevalente è quello della venuta, nei suoi vari aspetti, nelle collette l’Avvento dà forma alla preghiera e all’invocazione. L’Avvento è opera di Dio, ma a noi spetta di accogliere il suo dono, di andare incontro a lui. Questo corrisponde all’invito di Isaia che troviamo nelle letture bibliche a «preparare le vie del Signore»: «Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio» (Is 40,3).
La preparazione della strada per poter accogliere nella nostra vita il Signore che viene è descritta in due movimenti. Il primo consiste nella liberazione dal male e dal peccato. Nel mercoledì della prima settimana la colletta recita: «con la tua divina potenza prepara i nostri cuori, perché, alla venuta di Cristo tuo Figlio, siamo trovati degni del banchetto della vita eterna».
Simile è l’invocazione del giovedì della seconda settimana: «Ridesta i nostri cuori, o Padre, a preparare le vie del tuo Figlio unigenito, e fa’ che, per la sua venuta, possiamo servirti con purezza di spirito». La preparazione del cuore consiste nel dissipare le tenebre del male, come prega la colletta del sabato della seconda settimana: «Sorga nei nostri cuori, Dio onnipotente, lo splendore della tua gloria, perché, vinta ogni oscurità della notte, la venuta del tuo Figlio unigenito manifesti al mondo che siamo figli della luce».
Il secondo movimento che nasce dall’attesa e dalla speranza è in positivo. La colletta del lunedì della prima settimana riassume bene quali sono i doni che la Chiesa invoca in questo tempo: «Il tuo aiuto, o Padre, ci renda perseveranti nel bene in attesa di Cristo tuo Figlio; quando egli verrà e busserà alla porta, ci trovi vigilanti nella preghiera, operosi nella carità fraterna ed esultanti nella lode». La preghiera, la carità e la lode, sono le disposizioni invocate per il tempo dell’attesa per essere capaci di accogliere la visita del Signore.
Nelle collette del tempo di Avvento si prega perché il Padre sostenga la nostra preghiera e ci renda perseveranti nella vigilanza. La preghiera è ciò che custodisce nella vita della Chiesa l’attesa dello sposo che viene. Nel Vangelo di Luca Gesù afferma: «Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo» (Lc 21,36). Insistente è anche l’invocazione perché sappiamo essere «perseveranti nel bene». L’attesa del Signore che viene non è per i credenti un motivo di disimpegno o di disinteresse per la storia umana, ma anzi il fondamento del loro impegno. Le «buone opere» sono per la Chiesa un volto dell’attesa, una risposta al Signore che le viene incontro in ogni uomo e donna. Nella prima domenica di Avvento si prega: «suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene». Infine, l’attesa è motivo di esultanza e di lode: «O Dio, che hai fatto giungere ai confini della terra il lieto annuncio del Salvatore, fa’ che tutti gli uomini accolgano con sincera esultanza la gloria del suo Natale» (martedì, II settimana, colletta). Sapere che c’è qualcuno da attendere è fonte di gioia e di lode.
Il tempo dell’attesa
I testi liturgici dell’Avvento dipingono il volto dell’attesa che deve animare la vita della Chiesa. È un tratto fondamentale che oggi facciamo fatica a vivere. Noi non siamo più capaci di attendere, siamo sprovveduti di fronte al tempo dell’attesa. Il tempo di Avvento diventa una pedagogia dell’attesa. In un’epoca fatta di frenetico attivismo, l’Avvento ci fa pregare: «fa’ che il nostro impegno nel mondo non ci ostacoli nel cammino verso il tuo Figlio» (II domenica di Avvento, colletta).
Come abbiamo visto, l’Avvento non ci invita al disimpegno, ma a coinvolgerci nella vita del mondo, sapendo che la storia è in attesa di una visita di Dio, di una novità che essa da sola non può produrre. Per stare da credenti nella storia occorre saper accogliere la misericordia di Dio, vivere nella preghiera, nella carità e nella lode.
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli