Prezzi Lorenzo
Fraternità o caos
2020/11, p. 1
Il 3 ottobre il Papa ha firmato ad Assisi la sua terza enciclica, Fratelli tutti, sulla fraternità e amicizia sociale. Una esortazione appassionata, quasi ultimativa.

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Testimoni
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ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO FRATELLI TUTTI
Fraternità o caos
Il 3 ottobre il Papa ha firmato ad Assisi la sua terza enciclica, Fratelli tutti. Sulla fraternità e amicizia sociale. Una esortazione appassionata, quasi ultimativa.
Se Evangelii Gaudium, il testo di riferimento del pontificato, era una esplosione di materiali evangelici, e le encicliche successive (Lumen fidei, Laudato si’) esprimevano il compimento del progetto magisteriale di Benedetto, la prima, e la critica al sistema tecnocratico, la seconda, quella presentata il 3 ottobre e resa pubblica il 4, ha il tratto di una esortazione appassionata, quasi ultimativa. Fratelli tutti, sulla fraternità e amicizia sociale, si colloca nell’alveo del magistero sociale, ma esprime un intenso appello pastorale che richiama alcuni passi paolini come 1 Cor 10 o Fil 2,1-2 («Se dunque c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi»). Alla consapevolezza di dover tenere unite le comunità ecclesiali cattoliche si aggiunge la cura della fratellanza universale fra le religioni e fra i popoli. Davanti allo sfaldarsi delle relazioni internazionali, degli interessi economico-finanziari nei processi globali e dell’emergenza pandemica (Covid-19) papa Francesco si appella, in nome della fede in Cristo e in Dio, alla fraternità e all’amicizia sociale per evitare l’esito di una «terza guerra mondiale a pezzi», di un degrado inarrestabile dell’ambiente e del gonfiarsi minaccioso degli «scarti» umani prodotti dall’«inequità» del sistema.
Dottrina e scisma
Sono una cinquantina le citazioni delle encicliche sociali, da Quadragesimo anno (1931) alla Laudato si’ (2015) che convergono nella denuncia di una globalizzazione che gonfia le sperequazioni con lo «scisma» fra il proprio benessere e la felicità dell’umanità condivisa (n. 33) e l’esperienza della pandemia che, solo per poco tempo, ha suscitato la consapevolezza di appartenere tutti a una comunità mondiale (n. 32). Sono una decina le citazioni agli episcopati a sostegno del magistero papale, ma caratteristici dell’enciclica sono gli 8 riferimenti al Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza umana (firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 con il grande imam Ahmad Al Tayyeb), gli 8 richiami ai discorsi annuali ai diplomatici e i 9 riferimenti ai messaggi dedicati ai movimenti popolari.
Prima di accennare ad alcuni punti di particolare rilevanza (dalle occasioni perdute alla minaccia della guerra, dalla ripresa dei valori etici non negoziabili al rifiuto della pena di morte, dal tema femminile al ruolo riconosciuto al documento sulla Fratellanza) è opportuna una presentazione complessiva del testo. 287 numeri, poco più di 200 pagine, distinte in otto capitoli: le ombre di un mondo chiuso; un estraneo sulla strada; pensare e generare un mondo aperto; un cuore aperto al mondo intero; la migliore politica; dialogo e amicizia sociale; percorsi di un nuovo incontro; le religioni a servizio della fraternità nel mondo.
Il tema della fraternità universale ha lunga storia nel magistero di papa Francesco, ma corrispettive strade anche nell’Ortodossia (Bartolomeo) e in altre religioni (islam). Metterlo per iscritto è un «umile apporto» (n.6) per il cammino di tutti. Sollecitati in particolare dalla pandemia Covid-19 che ha reso evidenti le richieste dell’agire insieme. «Se qualcuno pensa che si trattasse solo di far funzionare meglio quello che già facevamo, o che l’unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti, sta negando la realtà» (n. 7). «La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato» (n. 168).
Ingozzati di connessioni
Si accendono conflitti imprevisti e anacronistici, riemergono nazionalismi esasperati e la prassi economica della globalizzazione «unifica il mondo, ma divide le persone e le nazioni» (n. 12). In troppi paesi si esasperano le differenze per una polarizzazione che tende non a integrare ma a distruggere l’altro. Sempre più incapaci di avvertirci come un «noi»: «Voglia il cielo che alla fine non ci siano più gli “altri”, ma solo un “noi”» (nn. 17, 35). Crescono gli «scartati»: poveri, stranieri, minoranze, donne e senza diritti. Fino alle nuove schiavitù, terreno propizio per le mafie. Paure nuove e ancestrali mettono a rischio «i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità» e indeboliscono «il sogno di costruire la giustizia e la pace» (n. 30). La libertà di un mercato senza regole non ha reso sicuro il mondo, «ci siamo ingozzati di connessioni e abbiamo perso il gusto della fraternità» (n. 33). La cartina di tornasole sono i migranti. Sono comprensibili i dubbi e i timori (n. 41), ma non è tollerabile la costruzione ideologica del nemico perseguita da populisti e neoliberali. È illusoria l’attesa del “bengodi” occidentale, ma non si può consentire alla xenofobia, alla chiusura e al ripiegamento. «È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti, facendo a volte prevalere certe preferenze politiche piuttosto che profonde convinzioni della propria fede» (n. 39). Ci sono «movimenti digitali di odio e distruzione» che pretendono dispensare dalla fatica dell’amicizia, della reciprocità, della socievolezza. «Non va ignorato che operano nel mondo digitale giganteschi interessi economici, capaci di realizzare forme di controllo tanto sottili quanto invasive, creando meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico» (n. 45). «Il cumulo opprimente di informazioni che ci inonda non equivale a maggior saggezza» (n. 50).
Il secondo capitolo è costruito sul racconto della parabola del samaritano (Lc 10,25-37), «icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena. Dal samaritano impariamo ad affrontare difficoltà che sembrano enormi, ma «sono l’opportunità per crescere e non la scusa per la tristezza inerte che favorisce la sottomissione» (n. 78).
Amico, non socio
L’amicizia sociale appartiene a quel dinamismo dell’uscire da se stessi che è la carità infusa da Dio, la capacità di considerare l’altro come prezioso, degno e gradito (n. 94). Una amicizia che sostiene l’intera società e che conosce una apertura universale, non in contrapposizione al proprio popolo e non per un universalismo formale che persegue il dominio e l’omogeneizzazione. L’altro è il prossimo e non il “socio”, tantomeno, lo scarto. L’argomentazione permette al Papa di riflettere sui grandi temi delle rivoluzioni moderne (libertà, uguaglianza, fraternità) per rilevare come solo l’esercizio della fraternità garantisca davvero la libertà e l’eguaglianza. «Se la società si regge primariamente sui criteri della libertà di mercato e dell’efficienza non c’è posto per costoro (i poveri e i deboli ndr.) e la fraternità sarà tutt’al più una espressione romantica» (n. 109). La fratellanza verifica anche il tema dei diritti, impedendone la deriva individualistica. Se manca la spinta morale della bontà non scatta la solidarietà e la proprietà individuale diventa un idolo, contro tutta la tradizione cristiana che non ha mai dimenticato la destinazione universale dei beni. Il diritto alla proprietà privata è secondo rispetto alla destinazione universale, pur valorizzando e apprezzando le capacità imprenditoriali.
L’emergenza migratoria rappresenta l’attuale sfida al tema della cittadinanza. Perché i diversi e gli alloctoni diventino un dono e non un pericolo è «necessario un dialogo paziente e fiducioso» (n.134). L’Occidente non avrà un futuro senza l’Oriente e viceversa. Dovrebbe preoccupare tutti la presenza di «persone e popoli che non sviluppano il loro potenziale e la loro bellezza a causa della povertà e di altri limiti strutturali» (n. 137). Se il globale riscatta la meschinità casalinga, l’accoglienza dell’«altro» richiede un saldo attaccamento al proprio popolo e alla propria cultura.
Popolo e populismo
Non si può accettare che la deriva populista oscuri la dignità del popolo, né che lo scontro politico si esaurisca fra populisti e no. «La parola popolo ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica». Esserne parte significa partecipare «di una identità comune fatta di legami sociali e culturali» (n. 158). Il populismo è una manipolazione del popolo come il formalismo liberale può evacuarne la dimensione reale. È la carità a unire l’identità culturale a quella istituzionale, il diritto e la tecnica, l’analisi scientifica e i processi amministrativi. Né il formalismo democratico, né tantomeno il mercato possono sostituirsi al dovere di guida della politica il cui punto di riferimento è la centralità della dignità umana. Il testo sviluppa in particolare la dimensione delle Nazioni Unite facendo emergere la contraddizione fra forze economiche-finanziarie globali e poteri nazionali del tutto inadeguati e impotenti nell’attuale ridiscussione dell’egemonia mondiale. Solo a livello planetario si può parlare di sovranità del diritto. Vi è una affermazione convinta della centralità della politica perché solo essa può sviluppare un approccio integrale, includendo i molti aspetti della crisi in atto (n. 176-177). «La grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine» (n. 178). Il Papa non teme di indicare la necessità della carità e atteggiamenti considerati estranei alla politica come la tenerezza e la gentilezza.
Solo il dialogo che va oltre lo scontro e il monologo fa esplodere le differenze creative e coglie quei valori universali che danno consistenza al consenso. Anche quando ferite molto gravi attraversano i popoli. È il caso emblematico e unico della Shoah o dell’esplosione atomica in Giappone o, più vicini a noi le tensioni in Congo, Colombia, Sudafrica, Corea. Per questo è doveroso parlare della memoria (nn. 246, 250) come del perdono (nn. 236,237).
Dio è di tutti
«Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società» (n. 271). I credenti debbono imparare «da molte nostre debolezze e cadute» che «rendere presente Dio è un bene per le nostre società» (n. 274) di contro al narcisismo individualistico dell’Occidente, come rispetto al tribalismo di altre aree mondiali.
La lunga citazione del Documento sulla fratellanza (n. 285) suggerisce una prima osservazione e cioè il peso del dialogo interreligioso nel magistero ecclesiale. Credo sia la prima volta di un uso così ampio di un testo interreligioso dentro una enciclica. La recepita convinzione di non poter parlare al mondo senza interpretare l’insieme delle confessioni cristiane si apre alla necessità per la Chiesa di ascoltare e rappresentare le attese di tutti i credenti. L’attenzione dei media si focalizza sui temi della guerra nucleare (delegittimata) e sulla pena di morte (a cui si nega ogni giustificazione). «Non pochi dubbi emergono circa l’inadeguatezza della deterrenza nucleare a rispondere efficacemente» alle nuove sfide come il terrorismo, conflitti asimmetrici, sicurezza informatica ecc.; «l’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari diventa sia una sfida sia un imperativo morale e umanitario» (n. 262). Più in generale si alza l’attenzione alle nuove e preoccupanti forme di «guerra mondiale a pezzi» (nn. 26-28). Molto netta la posizione sulla pena di morte: «Oggi affermiamo con chiarezza che la pena di morte è inammissibile» (n. 263).
Vi sono altri temi intriganti come il richiamo alle occasioni perdute della fratellanza, il ruolo della donna e il riferimento ai valori non negoziabili. Le occasioni perdute per una consapevolezza del legame fra i popoli sono la crisi finanziario-economica del 2008 (n. 170), la risposta alla pandemia (n. 30) e, più lontana nel tempo, la buona volontà all’indomani dell’ultima guerra mondiale (n. 260). Sul ruolo della donna l’enciclica non perde occasione per ricordare la comune dignità e la sua esposizione a nuove schiavitù (nn. 23, 24, 121), ma la discussione sul titolo avviata ancora prima della pubblicazione mostra una domanda che per molti risulta non compiutamente evasa. Il riferimento ad un ethos condiviso nei popoli ripropone il tema della verità e la possibile convergenza su valori condivisi. «Accettare che si siano alcuni valori permanenti, benché non sia sempre facile riconoscerli, conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là di ogni consenso, li riconosciamo come valori che trascendono i nostri contesti e mai negoziabili» (n. 211). Non è la riproposta dei valori non negoziabili per pretendere l’ossequio dei poteri legislativi, quanto piuttosto l’invito alla comune ricerca, che per il cristiano parte dal Vangelo, per far convergere il consenso, la convenienza sociale con la verità obiettiva: «Tutte e tre possono unirsi armoniosamente quando, attraverso il dialogo, le persone hanno il coraggio di andare fino in fondo a una questione» (n. 212).
Lorenzo Prezzi