Arte e trascendenza
2020/10, p. 46
In “Teologia del cinema” l’autore, Paolo Cattorini, professore di bioetica
dell’università Insubria, mette in relazione i tre fuochi: immagini rivelate,
narrazioni incarnate, etica della visione, e ne mostra l’arricchente intreccio.
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NOVITà LIBRARIA
Arte e trascendenza
In “Teologia del cinema” l’autore, Paolo Cattorini, professore di bioetica dell’università Insubria, mette in relazione i tre fuochi: immagini rivelate, narrazioni incarnate, etica della visione, e ne mostra l’arricchente intreccio.
Immagini rivelate: il titolo ci rimanda naturalmente al testo biblico, e infatti a questo pensa anche l'autore. Da qui però il testo ci mette in movimento.
Ci sono immagini rivelate che sono state riprese dal cinema nella forma del film biblico, ma non è su queste che l’autore pone l’accento e nello stesso modo l’autore non pone particolarmente l’accento neppure su film che abbiano un dichiarato intento teologico.
Le immagini bibliche sono innanzitutto narrazioni che compongono la Bibbia: essa è un insieme di storie. “Dio si mostra agendo in una storia e d’altro canto tale epifania è comprensibile solo a chi, reagendo all’azione celeste, accetta l’invito divino a rispondere singolarmente, partecipando ad un gioco delle parti, che non ammette passività” (p. 104).
In analogia le immagini rivelate sono anche quelle del film visto in sala, ma anche sui tanti mezzi oggi a disposizione. L’andare al cinema ci pone in una situazione che possiede valenze religiose: c’è un rito, soprattutto nella sala cinematografica, perché abbiamo il rivelarsi di una storia e c’è un patto che lo spettatore è chiamato a stipulare. “Andare al cinema implica infatti una complicata, pericolosa sospensione dell’incredulità; di qui la nozione di patto” (p. 9). Mentre da parte sua il film deve far accadere qualcosa nello spettatore, esattamente come succede tra la Bibbia e il suo lettore.
Questo dispiegarsi dell’atto umano dell’affidarsi ci conduce alla teologia del cinema e non solo teologia sul cinema. La produzione cinematografica non è solo una possibile “pratica discorsiva” per dire Dio, quanto una fonte di simboli e metafore che arricchiscono la nostra invocazione a Dio. E se c’è un patto, l’etica che impregna di sé ogni atto umano è interpellata.
Nel farci avvicinare al rapporto tra il bello e il bene, l’autore considera le arti (e tra esse il cinema) quali forme privilegiate per cogliere la realtà e costruire un percorso di coscienza verso la trascendenza. Il parlare quotidiano custodisce questo nesso e, infatti, definiamo un’azione buona come una bella azione, riprendendo la parola biblica, che con il “tov” della creazione diceva della sua bontà e bellezza.
La scelta etica non ha la forma logica di un sillogismo geometrico ma è piuttosto simile ad una narrazione filmica che mostra una trama unitaria e coerente, ricordando tuttavia che le “ evidenze dello splendore, che traluce da una vita degna, si vivono, non si rappresentano” ( p. 90).
“Il cinema non riproduce la realtà, ma ne manifesta la verità nascosta” …il cinema obbliga lo spettatore a partecipare al processo creativo artistico, così facendo, ad approssimarsi all’epifania del sacro” (p. 104).
L’esperienza della riflessione bioetica dell'autore fa capolino, quasi chiudendo il cerchio.
Negli sviluppi recenti della medicina e dell’etica il racconto è diventato elemento centrale , ben oltre l'argomentazione intellettuale. Esso è necessario “per diagnosticare il male e combatterlo con precisione, oppure promuovere una vita degna e felice,” (p. 21) perché gli uomini e le donne sono chiamati per essere, dire di sé, vivere una vita buona e dar vita a forme simboliche. Così come i credenti esprimono nella propria vita le immagini bibliche accolte. In questo passaggio alla personalizzazione l'immaginario ha la sua parte. Esso coinvolge i sensi durante il rito liturgico, sostiene l'impegno etico per una «vita buona», che sappia contrastare il conformismo. (cfr p. 74), ma il suo ruolo ha poco spazio nella riflessione teologica ed etica.
Una teologia del cinema è il luogo per riflettere su quanto sia necessario custodire e coltivare l'immaginario, per una vita discepolare autentica, capace di coinvolgere l'originalità della persona.
La riflessione di Cattorini delinea un senso, al di là delle lamentazioni sull’epoca delle immagini: “Una feconda «lotta tra immagini» impone alla comunità ecclesiale di «ri-vedere» il mondo, raccontandolo da capo in nome del Dio che viene” (p.116).
Dare credito anche all’arte cinematografica circa la sua volontà e capacità di porre a tema le questioni dell’essere umano non è solo attenzione benevola del “mondo”, ma è occasione di ascolto per porre le domande contemporanee al testo biblico, rintracciando i linguaggi per ri – narrare, non solo con l’arte e con la vita, un’etica arricchita dall’Evangelo. Il cinema, dunque, per dare corpo alla Parola. Il lettore esperto rintraccerà con facilità la trama delineata dalla riflessione; quello meno esperto potrà acquisire domande da farsi per riflettere teologicamente su di un film. Entrambi potranno riconoscere che la teologia del cinema non è questione per pochi e non è chiusa nell'ambito della sala cinematografica.
Elsa Antoniazzi