Cozza Rino
Ripensare la santità a partire dall’umanità
2020/10, p. 27
La vita consacrata non ha soltanto la funzione di costruire la persona secondo categorie evangeliche, ma anche di costruire una persona che sia “creatura nuova”.

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Testimoni
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NUOVE PROSPETTIVE DI VITA SPIRITUALE
Ripensare la santità
a partire dall’umanità
La vita consacrata non ha soltanto la funzione di costruire la persona secondo categorie evangeliche, ma anche di costruire una persona che sia “creatura nuova”.
Il problema della vita religiosa oggi è di rendere evidente che «santità significa costruire la propria maturità umana come Dio la sogna guardando il Figlio». Dunque una vita che sia punto di convergenza di una istanza spirituale e umana senza che una sia in contrapposizione all'altra. Infatti «il Vangelo si rivolge propriamente ai desideri più veri che ciascuno porta dentro di sé».
La strada allora è di pensare anche sotto altra luce la santità, perché «la VR non ha soltanto la funzione di costruire la persona secondo categorie evangeliche, ma anche la costruzione di una persona che sia “creatura nuova” nell’oggi, non avulsa dalla maturazione delle nuove istanze che vanno meglio ad esprimere compiutamente l’uomo. Questa è la funzione antropologica esigita dall’istanza di salvezza integrale per l’uomo contemporaneo».
A dirlo oggi è la forza di uno stile, quello di papa Francesco, fatto di volti umani da guardare con uno sguardo pieno di ascolto: è così che presenta nei gesti un cristianesimo che si offre come custodia della qualità dell’umano, dicendoci in tal maniera che testimoniare l’incarnazione significa comprovare l’entrata della vita divina nel vivere in pienezza la dimensione umana.
La santità è ricerca di salvezza
Se un tempo la santità era prevalentemente la salvezza ultima dell’anima, oggi è la salvezza di tutta la persona attraverso ciò che già fin d’ora rende colma e bella la vita. Dunque non si tratta tanto di conquistare la vita eterna quanto di radicarla sin d’ora nel quotidiano. Nella presentazione della verità evangelica, Gesù tiene conto di tutta la complessità dell’umano, tanto della mente quanto della ragione come del cuore, per cui nel cristianesimo, come religione dell’incarnazione, per trovare Dio, qui nel suo «regno», è necessario legarsi profondamente alla terra e all’uomo, non essendoci fedeltà al divino che non sia fedeltà all’umano.
Una delle difficoltà in ordine alla santità, è data dal fatto che veniamo dal tempo in cui la VR si trovava bene nel pensarsi costruita sulla «perfezione», ma con il Concilio è stato dato il colpo di grazia alla mentalità di chi pensava la spiritualità in termini di gradi di perfezione individuale. Oggi, con più verità si va dicendo che la vocazione dei consacrati non è quella di essere eroi solitari della perfezione, ma di esprimere forme di presenza del «regno» che facciano intravvedere che la risurrezione è già possibile nella storia, e c’è l’occasione di viverla in essa, facendosi compagni di viaggio dell’umanità. È papa Francesco a dirlo: «Il tendere alla perfetta carità, ideale della vita religiosa non è mai il termine di un perfezionismo. Piuttosto, riconoscere le proprie debolezze e fragilità può diventare il primo passo per riscoprirsi bisognosi della grazia di Cristo e sottrarsi alla tentazione di ritenersi auto-sufficienti».
Anche i primi discepoli non erano persone ideali, ma persone che inciampavano, e proprio per questo erano persone con cui era possibile ritrovarsi in loro e identificarsi. Il fatto di non essere modelli vincenti ma dei modelli abbordabili conferiva loro una maggior forza di attrazione. Allora «la nostra debolezza può diventare grazia che ci porta a chiedere aiuto, a unirci con altri, a uscire da noi stessi». Da qui la richiesta ai consacrati di avere «la ferialità degli uomini e delle donne di oggi, condividendone gioie e dolori, capaci di riscaldare il cuore delle persone, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi».
La santità non è richiudibile in spazi chiusi
È questo il modo di salvare la vita religiosa da se stessa.
Papa Francesco rivolgendosi ai consacrati disse: «uscite» per poter «incontrare».
C’è qui il rovesciamento della prospettiva di “fuga dal mondo” che ci è stata familiare fino a non molto tempo fa. Uscite per essere facilitatori e facilitatrici di fermentazione evangelica del momento che ci è dato di vivere, con risposte impastate (lievito) con quelle delle altre vocazioni, e dunque non alternative, perché non sono attrattive quelle forme di vita che non portano a essere integrate fra la gente. Oggi, più che mai, si diventa sterili ogni volta che ci si chiude in se stessi, smarrendo così gli orizzonti.
Il noto teologo conciliare M.D.Chenu osservava che soltanto accettando a fondo l’evidenza del mondo, le sue dimensioni, la sua unità, la sua storia; soltanto credendo profondamente ad esso si potrà, dall’interno, ricollocare e far riapparire Dio e il Cristo. Questo sta a dire che oggigiorno sono attrattive quelle forme discepolari che portano a essere integrati fra la gente, facendo posto ai nuovi temi della vita: della felicità, libertà, vulnerabilità, sensibilità, tenerezza, con modelli di comunione che assumano le caratteristiche e i valori umani e religiosi del territorio in cui ci si colloca.
Diversamente da un tempo, oggi vale anche per la vita religiosa ciò che papa Francesco va dicendo ad altri consacrati: «La vostra è una vocazione per sua natura in uscita, non solo perché vi porta verso l’altro, ma anche e soprattutto perché vi chiede di essere là dove abita ogni uomo, ricchi di una consacrazione che a differenza dei precedenti schemi di vita religiosa, non si apparti dal mondo, ma che piuttosto faccia delle realtà secolari il proprio ambito di vita e di azione per poter essere lievito che può produrre un pane buono per tanti, quel pane di cui c’è tanta fame: l’ascolto dei bisogni, dei desideri, delle delusioni, delle speranze». Allora, a tal fine, la VR per poter essere presente nell’attuale esperienza storica ha da assumere, inventare, dare nuovi volti, nuove espressioni alla dinamica simbolica della sua vocazione, resistendo alla tentazione, finora accondiscesa, di ricercare ancoraggi soltanto all’interno dei propri spazi, quelli fisici ma soprattutto quelli mentali che hanno portato i religiosi a essere «manutentori di una spiritualità compassata e cupa vigilanza ascetica», con un pensiero chiuso, rigido, istruttivo-ascetico, invece che mistico.
Ma oggi non è questo che dovrebbe connotare il religioso/a come persona spirituale, ma piuttosto l’essere una persona affascinata dal Signore e delle sue creature, e da ciò indotta a «coltivare uno sguardo contemplativo della realtà, vivere la fiducia nel bene presente in ogni uomo e rischiare in prima persona.
È di questo tipo di spiritualità (santità) che il mondo ha bisogno, tuttavia per essere riconosciuta come bisogno deve portarsi a essere in armonia con la vita. A tal fine la spiritualità deve essere quella generata da un ascolto intenso e sistematico della Parola, in un clima di ecclesialità (Lectio divina) che porti a narrare con la vita il Gesù dalle azioni guarenti, simboliche e trasformatrici attraverso segni di gratuità e di amore. Il tutto espresso con categorie appropriate alla mentalità contemporanea, con modelli evangelici che interpellino l’uomo del postmoderno piuttosto che «schemi di spiritualità poveri di originalità, sovraccarichi di forme devozionali alla deriva, diffidenti verso la società e le sue nuove correnti spirituali». Dunque oggi ad attrarre sono quei modelli di santità che si muovono in armonia con le aspirazioni profonde delle persone, mentre non attraggono i modelli spesso improntati a conoscenze teorico-dottrinali del mondo platonico o stoico.
Vengono a proposito le espressioni dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium che dicono: «La santità non è data da una vita spirituale che si confonde con alcuni momenti religiosi che offrono un certo sollievo ma che non alimentano l’essere tra la gente promotori di relazioni comunionali. Serve allora una santità che non sia solo in funzione di sé o dei propri interessi, nemmeno di quelli spirituali, ma nasca da una relazione con gli altri, e che a sua volta crei capacità relazionali, per dire a ogni creatura un desiderio di amore che solo Dio potrà soddisfare. A tal fine quindi, come cammino di santità abbiamo bisogno – scrive F.Cosentino – «di riscoprire Dio come Padre che ci attende sulla soglia della vita; la carezza che mi dona vigore quando ferito ai bordi della strada la stanchezza prende il sopravvento sul desiderio del viaggio; l’amico che mi sorprende nel deserto delle banalità o nel grigiore della routine; il mare illuminato di vita rispetto al quale sento di essere solo una piccola isola e verso cui approderò, colmando finalmente la struggente nostalgia che accompagna i miei giorni».
Altre connotazioni di un nuovo paradigma di santità
Quali caratteristiche ancora – oltre il già detto – dovrebbero connotare la spiritualità della VR per essere un percorso comprensibile e fruibile per il nostro tempo, in grado di dare risposte valide all’attuale domanda di senso e saper produrre nuovi modelli di comportamento a partire dalla vita e per la vita?
La risposta sta in forme di spiritualità capaci di far vivere il Vangelo in termini nuovi e di produrre “stili di vita” che siano risposta ai bisogni del mondo.
Accenno di seguito ad alcuni elementi che caratterizzano i nuovi percorsi.
a. Il primo di questi sta – come già accennato - nel portarsi a incontrare le persone nelle loro strade, per impastare la propria missione con quella di tutti i battezzati, con i quali avere rapporti di eguaglianza, per osare insieme percorsi finora sconosciuti, facendo passare la spiritualità da esperienza prevalentemente individuale a esperienza che passa attraverso un rapporto con le persone. È a partire da questa ri-collocazione che alla VR è data la possibilità di attualizzare il suo irrinunciabile ruolo all’interno del popolo di Dio.
b. Altro nuovo elemento è ritenere la spiritualità un laboratorio di umanità riuscita per il fatto che il Vangelo sviluppa interrogativi e domande che «promuovono efficacemente la crescita del benessere non solo spirituale ma anche psichico» in risposta al desiderio di autenticità, di realizzazione, in fedeltà anche a se stessi, cioè alla propria verità e al nome scritto da Dio in ognuno.
Spirituali sono allora “quelle forme di vita che a partire dal vangelo portano ad essere persone dal cui modo di vivere traspaia che credere non è farsi imbrigliare l’umanità, la vitalità, la bellezza, la spontaneità ma semmai farle esplodere in pienezza, con il farsi cercatori con chi cerca, compagni di strada per restituire alla gente il Vangelo che appartiene a loro, non per convincere ma per condividere una gioia, attraverso un agire fatto di solidarietà, di amicizia, di compassione e di tolleranza, capace di rispondere al desiderio di simpatia, relazioni vere. È la vita che facendosi “compagnia” diventa annuncio: è questo il modo di annunciare gradito a qualsiasi cultura.
c. Capacità di suscitare un atteggiamento di stupore e meraviglia. Non sono pochi a dire che la VR potrà riportarsi a essere all’attenzione attraverso figure umane e comunità interessanti, come detto della prima comunità di Gerusalemme. Persone con ruolo simbolico, critico, trasformatore dentro la società, anzichè dall’essere portatori di mappe di spiritualità destoricizzate ripetute acriticamente, le quali, nell’immaginario della gente hanno fatto passare l’idea che le virtù vitali siano il mettersi da parte, la sottomissione, l’ascetica dolorifica, il disprezzo dei beni, la paura d’amare, la rigidità legalista.
d. Un altro elemento per nuovi percorsi è dato dal saper ideare spazi di ospitalità dei nuovi temi della vita: ad esempio quelli della felicità, della libertà, della sensibilità; e inoltre dal «saper indicare alcune delle virtù sociali più urgenti, quali responsabilità, giustizia, salvaguardia del creato, tolleranza, pace».
e. Infine vale non meno per i religiosi e religiose quanto il Papa disse ai responsabili degli Istituti secolari incoraggiandoli ad essere «rivoltosi» lì dove si gioca la famiglia, l’educazione, la politica, l’economia, ovunque si gioca la salvezza non solo delle persone ma anche delle istituzioni».
Avremo in tal modo santi – scrive il teologo B. Secondin - «che incarnino nuove prospettive cristologiche, ad esempio il liberatore, il guaritore, l’uomo per gli altri, il dissacratore di tabù, l’uomo libero e pieno di empatia», funzioni possibili a coloro che si immedesimano in certa misura nelle situazioni di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo.
Concludendo
Il punto da cui partire sta ovviamente nel prendere atto che il modo di non essere “spaesati”, sta innanzitutto nel saper abitare questo tempo, abbandonando stili di vita incapaci di interloquire, come testimonianza evangelica con le nuove sfide e le nuove opportunità.
Rino Cozza