Poesie e poesia
2020/10, p. 4
Leggendo un breve ma sorprendente testo poetico di Clemente Rebora, il mio pensiero è volato ad uno dei “detti” solenni e intriganti con i quali il nostro vecchio professore di agronomia, soleva iniziare le sue avvincenti lezioni: “Quando passa un carro di letame, levatevi il cappello. Passa il dio Stercuzio, il dio della fecondità”. E qui cominciava l’elogio di quel concime naturale che con il suo
dissolversi favoriva la crescita di nuova vita. E, assieme, tesseva l’elogio della Natura, nella quale “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.
Ed ecco il testo che ha provocato ricordi apparentemente ben poco eleganti:
Dopo aver tanto agognato alle cime
e perso vita per viver sublime,
grazia m’è data di far da concime.
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POESIE E POESIA
In questi giorni, leggendo un breve ma sorprendente testo poetico di Clemente Rebora, il mio pensiero è volato ad uno dei “detti” solenni e intriganti con i quali il nostro vecchio professore di agronomia, soleva iniziare le sue avvincenti lezioni: “Quando passa un carro di letame, levatevi il cappello. Passa il dio Stercuzio, il dio della fecondità”. E qui cominciava l’elogio di quel concime naturale che con il suo dissolversi favoriva la crescita di nuova vita. E, assieme, tesseva l’elogio della Natura, nella quale “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.
Ed ecco il testo che ha provocato ricordi apparentemente ben poco eleganti:
Dopo aver tanto agognato alle cime
e perso vita per viver sublime,
grazia m’è data di far da concime.
Sono versi di un ufficiale della Grande Guerra, intellettuale e poeta affermato, che a quarant’anni si fa religioso rosminiano, passando gli ultimi anni bloccato in un letto.
Clemente Rebora così riassume la sua vicenda umana: dalla ricerca delle cime dell’affermazione personale, alla ricerca di una vita spirituale sublime, all’impotenza umiliante, trasformata dalla grazia in una misteriosa utilità.
È la vicenda di tanti uomini e donne che hanno cercato di realizzare al meglio i loro sogni, che si sono dati ad una elevata vita intellettuale e spirituale e poi costretti all’inazione e, sovente, nella solitudine. Da protagonisti a soggetti passivi.
Dalle cime a concime.
Quello che è duro, quello che ripugna, è quella parola “concime”, così contraria all’umana dignità. Eppure tanto vicina alla cristiana dignità, quando si ha la grazia di ricevere occhi nuovi e cuore nuovo. Perché l’essenziale è invisibile. E si vede soprattutto col cuore.
La suprema dignità del cristiano è partecipare all’abbassamento del suo Signore che si è fatto inelegantemente concime per rianimarci ed è diventato elegantissimamente letame per farci sbocciare come fiori profumati.
E questo sguardo nuovo è grazia, purissima grazia.
Ma quando la grazia è data, giù il cappello, perché qui passa Colui che non passa, qui è presente sotto mentite spoglie Colui che rende utile ogni scarto e feconda ogni inutilità.
Che grazia poter dire grazia m’è data di far da concime.
Piergiordano Cabra