Ferrari Matteo
L'Eucaristia "abito della fede"
2020/10, p. 1
Il Messale è una opportunità e una preziosa occasione per riprendere in mano alcuni aspetti «non nuovi» della riforma conciliare ai quali forse finora non abbiamo dato la dovuta considerazione.

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IL NUOVO MESSALE ROMANO IN LINGUA ITALIANA
L’ Eucaristia
«abito della fede»
Il Messale è una opportunità e una preziosa occasione per riprendere in mano alcuni aspetti «non nuovi» della riforma conciliare ai quali forse finora non abbiamo dato la dovuta considerazione.
Papa Francesco nella sua prima enciclica affermava: «La fede ha bisogno di un ambito in cui si possa testimoniare e comunicare (…). Per trasmettere tale pienezza esiste un mezzo speciale, che mette in gioco tutta la persona, corpo e spirito, interiorità e relazioni. Questo mezzo sono i Sacramenti, celebrati nella liturgia della Chiesa» (Lumen fidei, 40). L’uscita del Nuovo Messale Romano in lingua italiana (III edizione), in questo senso è una sfida per le nostre comunità. Infatti i sacramenti, e in particolar modo l’eucaristia, è «l’abito della fede», l’uscita del nuovo Messale è una opportunità per riscoprire questo dato fondamentale, è una preziosa occasione anche per riprendere in mano alcuni aspetti «non nuovi» della riforma conciliare ai quali forse finora non abbiamo dato la dovuta considerazione. Si tratta di accogliere il nuovo libro liturgico come uno stimolo per le nostre comunità ad interrogarsi sul nostro modo di celebrare: il Messale, anche quello precedente, offre un modello di Chiesa, di comunità, non solo delle norme e dei testi liturgici. È a partire da questo modello di Chiesa che possiamo imparare a celebrare e, nello stesso tempo, è dalla celebrazione che emerge il volto genuino della Chiesa (cf. SC 2).
I motivi che hanno portato alla necessità di una nuova edizione italiana sono principalmente quattro. Il motivo fondamentale è quello di «adeguare il libro liturgico all’editio typica tertia latina del Missale Romanum (2002 e 2008), che contiene variazioni e arricchimenti rispetto al testo della editio typica altera del 1975» (Presentazione, 1). In secondo luogo occorreva una traduzione che seguisse le nuove indicazioni del Motu proprio di papa Francesco Magnum principium del 3 settembre 2017, che riguarda proprio la traduzione dei libri liturgici. Occorreva inoltre adeguare il Messale alla nuova traduzione ufficiale della Bibbia (2007). La nuova edizione del Messale italiano infine non riguarda unicamente i testi liturgici. Anche l’Ordinamento Generale del Messale Romano è stato ampliato e rivisto nella editio typica tertia. Anche per questo occorreva che una nuova edizione del Messale in italiano la recepisse.
Le principali novità
La terza edizione italiana del Messale non va intesa come un nuovo testo liturgico, ma come la normale evoluzione del Messale di Paolo VI, quello uscito dal Vaticano II (edizioni latine: 1970, 1975, 2000/2008). Questa terza edizione del Messale si inserisce nella normale evoluzione di un libro liturgico che corregge, emenda e integra in base all’uso e all’esperienza celebrativa.
In questa prospettiva possiamo elencare le principali novità del Messale. Innanzitutto, abbiamo detto che si tratta di una traduzione nuova, eccetto i testi propri dell’edizione italiana precedente che non hanno un originale latino, a partire dalla editio typica tertia emendata (2008). Non ci sono a prima vista cambiamenti radicali, tuttavia occorre riconoscere un miglioramento nel recupero di alcune espressioni e nel linguaggio utilizzato.
Per quanto riguarda l’Ordo Missae, il Messale latino ha recepito riformulando e migliorando il testo la Preghiera eucaristica V nelle sue quattro varianti, e le due preghiere eucaristiche della riconciliazione. È un aspetto interessante: una tradizione nazionale ha influenzato l’editio typica latina che è per la Chiesa universale.
Ci sono stati anche degli arricchimenti nell’edizione italiana rispetto a quella latina. Ad esempio, sono stati inseriti due prefazi in più per i pastori e due prefazi per i dottori, che non erano presenti né nell’edizione precedente, né nell’editio typica latina. Non è un aspetto secondario, se pensiamo alla necessità di utilizzare il prefazio dei santi dottori anche per alcune sante donne che hanno questo titolo.
Per quanto riguarda il proprio dell’anno liturgico ci sono alcune significative aggiunte. Innanzitutto, sono state inserite le messe vigiliari per l’Epifania e per l’Ascensione, che non esistevano nell’editio typica altera. Aggiunta interessante della editio typica latina accolta in quella italiana è quella delle Orationes super populum per il tempo di Quaresima. Si tratta di un elemento tradizionale della liturgia romana, presente in Quaresima nel Messale di Pio V e non accolto in prima battuta in quello di Paolo VI. L’editio typica tertia, fedele al principio enunciato in SC 50, ha ritenuto opportuno reinserire nel Messale Romano questo elemento, che caratterizza il tempo di Quaresima. Le Orationes sono testi significativi che riprendono tematiche proprie della liturgia quaresimale.
Altra novità riguarda il canto. La terza edizione italiana ha scelto, in conformità all’editio typica latina, di inserire la musica direttamente nel testo del Messale per alcune parti del proprio della Messa. Non si tratta unicamente di un aspetto editoriale, ma di una attenzione ben precisa del Messale. Infatti, la Presentazione CEI afferma: «Nella consapevolezza che il canto non è un mero elemento ornamentale ma parte necessaria e integrante della liturgia solenne (…) si è scelto di inserire nel corpo del testo alcune melodie che si rifanno alle formule gregoriane presenti nell’edizione italiana del Messale Romano del 1983, adeguandole ai nuovi testi. (Presentazione, 3).
Nella editio typica tertia troviamo anche un «miglioramento terminologico» di non poca rilevanza sia dal punto di vista ecclesiologico che da quello liturgico-teologico (cf. G. Boselli, «Rivista del Clero Italiano», 3 (2020), 202-203). L’edizione latina sostituisce l’espressione Ordo Missae sine populo con Ordo Missae cuius unus minister participat. Di conseguenza, anche l’edizione italiana ha cambiato il vecchio titolo Messa senza il popolo con il nuovo Messa a cui partecipa soltanto un ministro (cf. OGMR, 252-255). In questo modo si sottolinea che «l’assemblea dei fedeli è sempre e in ogni sua possibile forma non solo il soggetto integrale della celebrazione ma anche il suo fine proprio che nessuno può in alcun modo alterare».
Infine non dimentichiamo la scelta del linguaggio inclusivo in diversi testi. Ad esempio nell’atto penitenziale e nel ricordo dei defunti delle preghiere eucaristiche si è scelto di introdurre l’espressione «fratelli e sorelle». Questo vale anche per altri testi come ad esempio la benedizione delle ceneri il mercoledì delle ceneri e l’inizio della processione la domenica delle palme. Se in italiano nessuno pensa che dicendo fratelli si escludano le donne, tuttavia è significativo che si sia introdotta questa modifica nei testi liturgici che sottolinea l’importanza di sapersi assemblea di «fratelli e sorelle».
La Presentazione CEI
Interessante, come strumento per cogliere l’opportunità del nuovo Messale, è la Presentazione della Conferenza Episcopale Italiana, che offre spunti preziosi. Innanzitutto il documento afferma che la nuova edizione italiana del Messale Romano «è offerta al popolo di Dio in una stagione di approfondimento della riforma liturgica ispirata dal Concilio Vaticano II» (Presentazione, 5). In questa ottica va accolto il nuovo Messale italiano con un ulteriore passo di recezione del Concilio e delle sue indicazioni riguardo alla riforma della liturgia. Come la Presentazione stessa ricorda, papa Francesco ha affermato che «la riforma liturgica è irreversibile». La riforma liturgica, con l’uscita dei nuovi libri liturgici, richiede un «lungo e paziente lavoro di assimilazione pratica del modello celebrativo proposto» (Presentazione, 5).
Per essere accolto il nuovo Messale richiede «un processo globale di approfondimento della retta comprensione della celebrazione dell’eucaristia» (Presentazione, 6). Per questo, citando Benedetto XVI, si propone un principio fondamentale: «la migliore catechesi sull’eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata» (Sacramentum Caritatis, 187). La Presentazione CEI invita in questo senso a «valorizzare le diverse possibilità di scelta e di adattamento che [il Messale] contiene» (Presentazione, 6). Si tratta di un aspetto importante, se lo si legge insieme all’indicazione che segue circa la fedeltà. Infatti, spesso si lamenta una eccessiva staticità e rigidità del rito e non si conoscono né si utilizzano le diverse possibilità di scelta e di adattamento che il Messale stesso contiene. È l’importanza degli «oppure», che sono una caratteristica fondamentale della seconda edizione italiana, mantenuta e valorizzata dalla terza. Per questo occorre conoscere il Messale. A questo proposito si cita la Nota introduttiva della CEI al Rito per l’Ordinazione dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi dove si afferma che il libro liturgico per i presbiteri deve essere «oggetto di attento studio, sia individualmente che in fraterna comunione presbiterale» (n. IV,2).
La Presentazione CEI indica due principi in particolare (Presentazione, 6),che vengono tratti dalla costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium: la fedeltà alla sana tradizione (SC 4) e la nobile semplicità (SC 34). Questi due principi vengono sottolineati, pur affermando che è tutta la Costituzione sulla sacra liturgia del Concilio Vaticano II a fare da punto di riferimento imprescindibile.
A partire dai due principi conciliari la Presentazione CEI sviluppa il tema dell’ars celebrandi, l’arte di celebrare. Innanzitutto, occorre «fedeltà», seguendo «un vivo senso di obbedienza». Si tratta di un aspetto importante che non è semplicemente un mero rispetto delle regole fine a se stesso. Per la liturgia la fedeltà alla «sana tradizione» è fondamentale perché ne dice il senso come «opus Dei», cioè opera di Dio. La fedeltà al testo liturgico rimanda al fatto che la liturgia non è opera nostra, ma opera di Dio. Il fatto che riceviamo dalla Chiesa i testi per la celebrazione liturgica non deve essere visto come un limite alla creatività, bensì come un segno che la liturgia è un dono che riceviamo: nella liturgia non siamo noi che facciamo qualcosa per Dio, ma è Dio che fa qualcosa per noi. Proprio la fedeltà è lo spazio e fondamento dell’autentica creatività liturgica.
Questo principio ha un fondamento biblico. Pensiamo alla edificazione del santuario nell’Antico Testamento o alle norme per il culto e per i sacrifici. Tutto viene stabilito, secondo il testo biblico, da Dio stesso. È il Signore che «dona» il modello per il tempio e per il culto. Pensiamo inoltre alla celebrazione della Pasqua ebraica. Nel Libro dell’Esodo è il Signore che consegna a Mosè il modello rituale per celebrarla (Es 12). La celebrazione della Pasqua non sarà altro che obbedienza al comando del Signore: «lo celebrerete come rito perenne». Ma questo è vero anche per l’atto di culto centrale per i cristiani: l’eucaristia. È Gesù che dona il modello rituale dell’eucaristia, dicendo «fate questo in memoria di me». Paolo stesso nella Prima Lettera ai Corinzi afferma: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane…» (1Cor 11,23). La «fedeltà» è segno innanzitutto di obbedienza alla Parola di Dio: dice il primato di Dio in ciò che facciamo nella liturgia e il fatto che essa è l’opera che egli compie per noi.
In secondo luogo, «la fedeltà» esprime anche l’unità. Infatti «un modello rituale unitario e condiviso» è importante affinché «le singole assemblee eucaristiche manifestino l’unità della Chiesa orante» (Presentazione, 7). È interessante leggere in questo senso il passaggio della Regola di Benedetto, in cui il padre del monachesimo occidentale afferma che nella preghiera «la mente deve accordarsi con la voce» (RB, 19,7). Noi saremmo tentati di pensare il contrario: la voce deve accordarsi con la mente. Invece no! Benedetto afferma che è accordando la nostra interiorità con il testo dei Salmi che noi «educhiamo» il nostro cuore. Potremmo dire che è accordando la nostra mente alla voce comune della Chiesa che noi ci educhiamo all’unità.
Il secondo principio per curare l’ars celebrandi ricordato dalla Presentazione CEI è la «nobile semplicità». In questa prospettiva si fanno alcune importanti considerazioni. La prima riguarda la necessità di lasciar parlare innanzitutto, prima di ogni altra parola, la parola di Dio e il gesto liturgico. Non dobbiamo soffocare il rito con le nostre parole. Nobile semplicità allora vuol dire innanzitutto lasciare spazio alla parola di Dio e ai gesti liturgici: occorre «vigilare perché la parola umana non soffochi l’efficacia della parola di Dio e del gesto liturgico» (Presentazione, 8).
La seconda attenzione che viene richiamata riguarda la «complessiva ed armonica “attenzione verso tutte le forme di linguaggio previste dalla liturgia: parola e canto, gesti e silenzi, movimento del corpo, colori delle vesti liturgiche. La liturgia, in effetti, possiede per sua natura una varietà di registri di comunicazione che le consentono di mirare al coinvolgimento di tutto l’essere umano” (Sacramentum caritatis, 40)» (Presentazione, 9). In questo senso, la Presentazione CEI ricorda che il Messale non raccoglie solamente i testi liturgici, ma è soprattutto «un libro che indica “gesti” da porre in atto e valorizzare, coinvolgendo i vari ministeri e l’intera assemblea» (Presentazione, 9). È importante che la Presentazione CEI sottolinei, parlando della messa in atto dei vari linguaggi che la liturgia richiede, la pluralità dei ministeri, una sfida ancora aperta a partire dal Concilio, e dell’assemblea liturgica come «soggetto celebrante». Il Messale stesso uscito dal Vaticano II, di cui questa terza edizione, come abbiamo detto, è una ulteriore tappa, rimanda alla pluralità di ministeri e alla centralità dell’assemblea. Infatti, mentre il Messale di Pio V comprendeva tutti i testi per la celebrazione liturgica, letture comprese, la pluralità di libri liturgici che oggi la liturgia prevede, rimanda anche alla necessità di più ministeri. La Presentazione CEI fa poi una osservazione conclusiva su questo punto che non possiamo dimenticare. Si afferma: «I diversi linguaggi che sostengono l’arte del celebrare non costituiscono dunque un’aggiunta ornamentale estrinseca, in vista di una maggiore solennità, ma appartengono alla forma sacramentale propria del mistero eucaristico» (Presentazione, 9).
Infine, la Presentazione CEI invita ad una catechesi a carattere mistagogico. Occorre partire dal rito stesso, seguendo la prassi dei padri della Chiesa, per comprendere «sempre più i misteri che vengono celebrati. Nella prassi della Chiesa antica la mistagogia era una sapiente interazione tra esperienza celebrativa e confronto con le Scritture, per far comprendere il senso dei sacramenti. In questo senso «il riferimento al Messale è determinante per comprendere il senso profondo del mistero eucaristico a partire dalla sua celebrazione» (Presentazione; 10). Per questo si può affermare che «il libro liturgico è custode della fede creduta, celebrata e vissuta».
Conclusione
Solo alcuni tratti di presentazione e di riflessione su ciò che significa per la Chiesa italiana e per le nostre Chiese particolari l’accoglienza del nuovo Messale. È una grande opportunità per continuare ed approfondire il cammino di Chiesa che il Vaticano II ha aperto. Non bisogna sottolineare una discontinuità che non c’è, ma quella continuità della vita ecclesiale di cui i testi liturgici sono strumento e testimonianza.
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli