Cocchini Francesca
Non hanno più vino
2020/1, p. 39
L’episodio di Cana avviene il settimo giorno, poiché Giovanni struttura il primo capitolo del suo vangelo contando i «giorni» a partire dall’«In principio» (Gv 1,29.35.43; 2,1). È evidente quindi che nel suo sentire Gesù è la nuova creazione, la sua vicenda è proseguimento e rinnovamento dell’antica creazione. Nell’episodio di Cana si compie anche il primo dei sette «segni» di Gesù. «Segno» è il termine che Giovanni usa, preferendolo a «miracolo», poiché nella sua lettura profonda i miracoli di Gesù sono tutti segni di qualcosa che va al di là del semplice fatto.

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VOCE DELLO SPIRITO
nON HANNO PIù VINO
L'episodio di Cana avviene il settimo giorno, poiché Giovanni struttura il primo capitolo del suo vangelo contando i «giorni» a partire dall'«In principio» (Gv 1,29.35.43; 2,1). È evidente quindi che nel suo sentire Gesù è la nuova creazione, la sua vicenda è proseguimento e rinnovamento dell’antica creazione. […] Nell'episodio di Cana si compie anche il primo dei sette «segni» di Gesù. «Segno» è il termine che Giovanni usa, preferendolo a «miracolo», poiché nella sua lettura profonda i miracoli di Gesù sono tutti segni di qualcosa che va al di là del semplice fatto. […] L’episodio è ben noto: a un certo momento del banchetto di nozze viene a mancare il vino e la madre di Gesù gli dice: «Non hanno più vino». Le «parole di Maria» sono indicative di una vicenda esemplare di vita cristiana, […] ci indicano che, nella quotidianità della vita, il compito del credente può essere sintetizzato in un duplice atteggiamento: parlare a Dio degli uomini e parlare agli uomini di Dio. È quello che fa Maria a Cana. Si rivolge al Signore dicendogli: «Non hanno più vino». Poi si rivolge all'umanità e dice: «Fate quello che egli vi dirà». La proposta, dunque, è leggere questi due momenti come indicativi di ciò che siamo chiamati a fare quotidianamente, nel tempo ordinario. E la prima cosa è parlare a Dio delle necessità del mondo. È quella che viene chiamata anche funzione mediatrice; di fatto è una mediazione e quindi è un'opera sacerdotale. Ogni mediazione è sacerdotale e il cristiano è un popolo sacerdotale. Il concilio ha sottolineato la dimensione sacerdotale dei fedeli. Popolo sacerdotale è Israele e lo siamo anche noi, secondo la Prima lettera di Pietro, e Maria, che è il tipo di questo popolo, esplica questa funzione. Maria identifica questa necessità nel vino», e in tale realtà c'è un mistero profondo.
In un banchetto di nozze sembrerebbe ovvio che possa venire a mancare il vino. Ma nella
Bibbia spesso il «vino» rappresenta qualcosa che va molto al di là del frutto della vite. C'è
una realtà significata dal vino, che la prima tradizione cristiana ha intuito e che poi, purtroppo, si è andata un po' perdendo, e cioè che il vino è il segno dello Spirito Santo.
Maria ha notato che ciò che manca all’umanità è lo Spirito Santo. È questa l'essenza di ogni povertà e di ogni necessità. Maria è giunta alla radice profonda di ogni povertà. L'umanità rappresentata da Maria — quindi la Chiesa e ognuno di noi — nella vita di ogni giorno, è chiamata a interpretare le necessità del mondo, o dei singoli, ad avere una grande sollecitudine verso noi stessi e verso gli altri, una grande attenzione che permetta di individuare quali sono le necessità per poi rivolgersi a colui che può risolverle, necessità che nella realtà più profonda vanno sempre ricondotte a una non pienezza di Spirito Santo. Maria è sensibile a tutto ciò che concerne lo Spirito Santo perché è una creatura colma di Spirito Santo. Lo Spirito Santo l'ha fatta così come è, però non è privilegio di Maria; ognuno di noi è tempio dello Spirito Santo, quindi ognuno di noi può crescere nella stessa sensibilità.
Francesca Cocchini
da Le sei parole di Maria
EDB, Bologna 2019