Dall'Osto Antonio
Brevi dal Mondo
2020/1, p. 37
ROMA Il card. Tagle, nuovo Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli INDIA - RAJASTHAN Le suore dello Spirito Santo ‘rivoluzionano’ la vita di 10mila tribali CONGO Sofferenza senza fine CHIESA NEL BISOGNO La persecuzione contro i cristiani

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Roma
Il card. Tagle, nuovo Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli
Il Cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, Arcivescovo Metropolita Emerito di Manila (Filippine), è stato nominato, l'8 dicembre scorso, da Papa Francesco, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.
Nato a Manila il 21 giugno 1957, fu ordinato sacerdote il 27 febbraio 1982 dal vescovo di Imus, Felix Pérez Paz. Nei primi tre anni di ministero è stato vicario nella parrocchia Saint Augustin a Mendez e direttore spirituale del seminario teologico della diocesi di Imus, di cui è poi divenuto rettore. Ha anche insegnato filosofia e teologia al Divine Word Seminary, al San Carlos Seminary e alla Loyola School of Theology.
Nel 1985 il vescovo Pérez Paz lo inviò alla Catholic University of America a Washington, per proseguire gli studi universitari in teologia sistematica. Ha conseguito la licenza in teologia nel 1987 e il dottorato summa cum laude nel 1991, con una tesi sulla collegialità episcopale nella dottrina e nella prassi di Paolo VI, sotto la direzione del teologo Joseph Komonchak.
Rientrato a Imus nel 1992, ha di nuovo assunto l’incarico di rettore del seminario. Invitato a tenere conferenze, dirigere ritiri e organizzare seminari per l’aggiornamento di sacerdoti, religiosi e laici nelle Filippine e all’estero, ha partecipato anche alle attività della Conferenza episcopale nazionale e della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc), distinguendosi come apprezzato oratore in vari Paesi del continente.
Nel 1997 Giovanni Paolo II lo ha nominato membro della Commissione Teologica Internazionale, in seno alla Congregazione per la Dottrina della Fede, della quale ha fatto parte — sotto la presidenza del cardinale Ratzinger — fino al 2003. Nel 1998 ha partecipato come esperto all’Assemblea speciale per l’Asia del Sinodo dei vescovi.
Il 22 ottobre 2001 Papa Wojtyła lo ha scelto come pastore della diocesi di Imus. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 12 dicembre dalle mani del cardinale Jaime L. Sin. Durante il suo ministero ha dato impulso all’attuazione delle direttive scaturite dall’assemblea pastorale diocesana tenutasi nel 1999, rivolgendo l’attenzione soprattutto ai giovani, per i quali ha commentato settimanalmente le letture liturgiche attraverso video trasmessi su internet. Nel 2009 la diocesi ha organizzato il primo incontro delle nuove generazioni asiatiche, versione continentale della Giornata mondiale della gioventù.
Settimo filippino a ricevere la porpora, è un autorevole teologo e una delle voci tra le più rappresentative dell’episcopato asiatico.
Dal maggio 2015 è Presidente di Caritas Internationalis. Ha partecipato al conclave del marzo 2013 che ha eletto Papa Francesco.
India - Rajasthan
Le suore dello Spirito Santo ‘rivoluzionano’ la vita di 10mila tribali
Una nuova scuola, un dispensario, 85 pozzi, tecnologie all’avanguardia per l’irrigazione dei campi, nozioni sulla rotazione delle colture, gruppi di auto-aiuto per le donne “che prima non conoscevano nemmeno il volto delle altre signore”, promozione dell’igiene personale, riduzione della mortalità infantile: sono i frutti dell’opera pastorale di un gruppo di suore indiane, che hanno “rivoluzionato la vita” di alcuni villaggi tribali abitati dall’etnia Bhil, nello Stato del Rajasthan. Le suore sono le Missionarie serve dello Spirito Santo e appartengono alla diocesi di Udaipur. Nel 2011 hanno avviato il Child Focused Community Development Project nella missione di Goeka Baria, per un totale di otto villaggi nel blocco di Sajjangarh, distretto di Banswara. Qui la popolazione è composta per il 95% da indù e musulmani. In tutto, circa 10mila tribali sono stati aiutati dalle religiose che hanno incentivato progetti idrici e di micro-credito; dato sostegno alla diversità biologica, insegnando come programmare il raccolto e introducendo vegetali e nuove sementi; contrastato il fenomeno della migrazione, in particolare verso il Gujarat più industrializzato, e i “mali sociali” che tenevano soggiogate le donne, come i matrimoni infantili. Sr. Jaisa Antony racconta: “Quando siamo arrivate, la popolazione viveva in estreme condizioni igieniche e in modo inumano e non poteva mandare i propri figli a scuola”. Uno dei problemi principali era la carenza di acqua: le suore hanno riparato le dighe e insegnato a immagazzinare l’acqua piovana. Poi, insieme al Krishi Vigyan Kendra [centro per la scienza dell’agricoltura] di Banswara, hanno sperimentato nuove coltivazioni come mais, ceci, ortaggi e riso, mentre in precedenza veniva coltivato solo il grano. Un altro problema era la discriminazione delle donne, considerate inferiori, costrette a coprire il volto, a non guardare mai in faccia i propri interlocutori, a partorire in casa. Le suore hanno convinto 900 donne a unirsi a 72 gruppi di auto-aiuto e avviato corsi di cucito, di lavorazione del bambù, d’allevamento di ovini e caprini. Kamala Devi, 32 anni, è una di quelle che oggi guadagna 4mila rupie (60 euro) al mese come sarta e riesce anche a mettere da parte qualcosa per l’istruzione dei figli. “Prima dell’arrivo delle suore – dice – ci riconoscevamo tra di noi solo guardando i piedi, il bordo del sari, o il tono della voce. Oggi sorridiamo”.
Krishna Chandra, insegnante in pensione che vive a Goeka Pargi, ricorda che il lavoro delle suore ha incontrato diversi ostacoli: “Alcuni leader locali hanno cercato di opporsi, dicendo che l’opera delle suore era solo una facciata per le conversioni religiose”. Poi però, “quando la gente ha iniziato a sperimentare i benefici del loro lavoro, gli avversari hanno perso”. (AsiaNews, 19.09.2019).
Congo
Sofferenza senza fine
Nella Repubblica Democratica del Congo la sofferenza della gente sembra non avere fine. A metà novembre il vescovo di Uvira, Sébastien-Joseph Muyengo, aveva inviato una nota a Utembi Tapa Marcel, arcivescovo di Kisangani e Presidente della conferenza episcopale nazionale (CENCO), per esortarlo a lanciare un appello sulla situazione nel Nord e nel Sud Kivu, denunciando le violenze sempre più frequenti e più gravi.
Mons. Utembi ha pubblicato un comunicato in tre brevi paragrafi. Nel preambolo descrive l’aggravarsi della situazione per la gente del Nord e del Sud Kivu dove le violenze e i massacri si moltiplicano. La popolazione è costretta continuamente a spostarsi, traumatizzata e sempre più povera. Molti villaggi sono saccheggiati, distrutti e bruciati, le scuole sono frequentate da un piccolissimo numero di alunni…
Nel secondo paragrafo enumera le violenze, datate e localizzate, sottolineandone la crudeltà e la frequenza sempre più alta. Segnala poi che tante di queste carneficine avvengono vicino a postazioni dell’esercito regolare congolese e che solo un coinvolgimento serio delle autorità locali e nazionali può offrire una soluzione al problema.
Nell’appello finale invita, assieme a tutta la conferenza episcopale nazionale, ad elaborare programmi urgenti per creare un clima pacifico; a rimettere in movimento le diverse istanze dello Stato, autorità, polizia, esercito, immigrazione; a intervenire con un programma di solidarietà nazionale con aiuti umanitari per chi ha subito e subisce le conseguenze di questi conflitti; a creare immediatamente un quadro di dialogo per ristabilire un clima di giustizia, di pace, di riconciliazione.
La reazione della gente a queste violenze appare tuttavia diversa. Dopo i numerosi morti del mese di novembre, è cresciuta una certa antipatia nei confronti della presenza della MONUSCO, la missione ONU in Congo, fino a diventare opposizione manifesta, in diverse città delle regioni Nord-orientali del Paese. A dire il vero, questo sentimento di avversione è presente da tanti anni. La missione era arrivata in Congo all’inizio di questo secolo, dopo la successione di Kabila Laurent a Mobutu Sese Seko. Lo scopo era quello di “osservare” e di difendere la popolazione. Col passare del tempo, alcuni conflitti locali, ma soprattutto la presenza di truppe ruandesi, ugandesi, dello Zimbabwe e dell’Angola, mettevano nell’insicurezza la vita della gente e spesso questa contava le sue vittime. È nato da qui il primo sintomo di vera e propria avversione. La gente si vede maltrattata da ogni sorta di eserciti e di bande armate, e la MONUSCO non fa niente, non interviene in sua difesa.
A questa drammatica situazione si sono aggiunte recentemente anche le piogge e le alluvioni. Si può e si deve chiedere ai congolesi di reagire, di rimboccarsi le maniche, di abbandonare visioni tribali ed egoiste, ma è ora che tutta la comunità internazionale si interroghi sul suo silenzio o sulla sua complicità con chi vuole mettere a tacere ottanta milioni di persone per appropriarsi più facilmente della loro ricchezza naturale.
Chiesa nel bisogno
La persecuzione contro i cristiani
Secondo un'indagine effettuata nel Regno Unito dall'organizzazione “Chiesa nel bisogno”, la persecuzione dei cristiani in molti paesi ha raggiunto una nuova punta massima tra il 2015 e il 2017. "Se si guarda alla gravità e agli effetti dei crimini commessi e alle persone coinvolte, diventa chiaro che la persecuzione continua ad aumentare", ha detto il portavoce John Pontifex.
Secondo il rapporto presentato il 16 dicembre scorso, causa della persecuzione sono i crescenti attacchi da parte di gruppi fondamentalisti religiosi o politici. L'indagine, intitolata "Perseguitati e dimenticati?" riguarda 13 paesi in cui, negli ultimi anni ci sono stati attacchi particolarmente gravi ai cristiani. Inoltre viene anche indicato il grado di libertà religiosa nei paesi esaminati. Secondo il rapporto, i punti focali della persecuzione dei cristiani sono soprattutto i paesi musulmani e gli stati autoritari come l'Eritrea e la Corea del Nord. Le milizie islamiche come il cosiddetto "Stato islamico" in Medio Oriente o "Boko Haram" in Nigeria e nei paesi vicini non si sono orientate esclusivamente contro i cristiani. Tuttavia, questi sono i gruppi più colpiti. Il rapporto fornisce esempi di cifre per la città siriana di Aleppo. In questa città il numero di cristiani è sceso da oltre 150.000 a poco meno di 35.000 a causa della guerra civile in corso. "I rappresentanti delle chiese locali in Medio Oriente si lamentano di sentirsi dimenticati dalla società internazionale e che i bisogni degli sfollati cristiani non sono considerati”, ha affermato Pontifex.Inoltre, è in aumento anche la persecuzione dei cristiani per ragioni politiche. Lo si può osservare, ad esempio, in Cina, dove gli oltre 100 milioni di cristiani, dopo una fase di leggera apertura, stanno ora subendo una persecuzione aggravata. Per esempio, nella provincia di Zhejang, più di 2000 croci sono state demolite e alcune chiese distrutte. Inoltre sono sempre più numerosi gli ecclesiastici arrestati per obbligarli ad abbracciare la politica religiosa dello Stato.
a cura di Antonio Dall’Osto