Mazzotti Marco
Rapporto tra religiosi e i giovani di oggi
2020/1, p. 19
Nell’incontro si desiderava mettere in sharing i cuori, le intenzioni, le paure, i desideri di ciascuno. Si voleva provare a vedere se è vero che «è dolce che i fratelli vivano insieme».

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Testimoni
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INCONTRO PRESSO L’ARSENALE DELLA PACE DEL SERMIG
Rapporto tra religiosi
e i giovani di oggi
Nell’incontro si desiderava mettere in sharing i cuori, le intenzioni, le paure, i desideri di ciascuno. Si voleva provare a vedere se è vero che «è dolce che i fratelli vivano insieme».
«Su, venite e discutiamo»: sulla scia di queste parole, prese dal profeta Isaia, è stato proposto e vissuto un incontro tra consacrati e consacrate, dal 21 al 23 novembre, presso l’Arsenale della Pace del SERMIG di Torino. Presenti all’appello: Dehoniani, Salesiane, Alcantarine, Guanelliane, Elisabettine, Carmelitane, Ordo Virginum, Piccole Apostole della Carità, Santa Maria degli Angeli, Missionarie Diocesane di Gesù Sacerdote, Clarisse di Otranto, Fraternità di Gerusalemme di Firenze, Fraternità del Sermig, comunità di Taizé, comunità di Bose, comunità di Frattina e Focolarini. Nel mondo globalizzato attuale si è trattato di un interessante esperimento di melting pot, che ha provato, (mica tanto) semplicemente, a costruire comunione tra i presenti.
Stile familiare dell’incontro
Difficile parlare di «obiettivi». È più corretto e bello dire che lo «stile» dell’incontro è stato improntato sulla volontà di innescare processi, perché «permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati» (EV 223). La superiorità del tempo sullo spazio (EV 222-225) è stata declinata come «la comunione che ha la priorità sulla collaborazione»: essere insieme viene prima del lavorare insieme.
L’evento è nato, concretamente, dalla preparazione paziente e minuziosa di qualcuno dei partecipanti, che già covava nel cuore questa idea da un annetto circa. Il tema che ha dato il là all’incontro è stato quello del rapporto tra religiosi (e Chiesa in generale) e i giovani di oggi. Tuttavia si è capito fin da subito che lo specchio dei giovani, sempre onesto e limpido – a volte fin troppo schietto –, ha aiutato i partecipanti a interrogarsi sulla natura stessa della vita religiosa oggi, nel mondo e all’interno della Chiesa.
Questione di cuore
Nella prima giornata Rosanna Virgili, biblista, ha aiutato i presenti a entrare nell’immagine del «cuore», accostata alla realtà della vita consacrata: come religiosi siamo chiamati a «dare vita al corpo restando invisibili». Inoltre, il cuore non indica, nel linguaggio biblico, semplicemente il centro delle emozioni, ma delle emozioni e dell’intelligenza insieme: il cuore è, cioè, centro dell’incontro inteso nel senso più ampio e integrato. Il cuore diviene, allora, anche luogo di discernimento.
Ancora: il cuore non esiste per se stesso, ma per dare vita al corpo. Analogamente, non ci si consacra «per realizzarsi», ma perché la propria ferita, la mancanza che generano i voti religiosi, possa divenire esercizio di vita, sociale e comunitaria: «l’arte di costruire comunità significa rendere ogni membro vivo».
La caratteristica dell’invisibilità del cuore ci consegna una missione importante: nell’epoca del «selfismo» di oggi, dove viene adorato non tanto il sé fisico (narcisismo), ma l’immagine/icona di sé, la vita consacrata è chiamata a disinnescare una pericolosa deriva diseducativa, che genera una cultura superficiale e che sottovaluta la dignità dell’uomo. La visibilità schiacciata sul’apparenza rappresenta un grosso problema.
Testimonianza comunitaria
Sempre grazie agli spunti della Virgili, la riflessione si è approfondita nella direzione della comunità, luogo privilegiato in cui la vita consacrata è chiamata a costruire e custodire un «cuore integro», vera e propria testimonianza del Signore Risorto. Lo stile kerigmatico dei consacrati oggi non può non passare dal tema della comunità e dell’unione. Allo stesso modo, infatti, gli apostoli annunciavano la risurrezione, restando «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32). Una comunità disunita comporta un «cuore spezzato», che non può dar vita al corpo, alla Chiesa come alla società: la testimonianza della vita consacrata diviene in questo modo poco efficace, come una matita spuntata.
Vi sono alcuni grandi nemici della comunione. Il primo è il potere, che porta alla sfiducia e alla diffidenza. Il secondo è l’ipocrisia, caratteristica di colui che, etimologicamente, «recita», vive la vita come su binari paralleli, con una maschera: egli non può unirsi a nessuno perché la sua identità è nascosta. Vi è, per tanti e vari motivi, una distanza creata dall’«alter», cioè «colui che urta»: dobbiamo avere continuamente la pazienza di parlarci, serve una comunicazione di cuore. Il terzo e ultimo nemico è l’autoreferenzialità, che spinge magari a lavorare tantissimo ad intra, non notando che così si diventa nicchia, setta. La vita consacrata esiste come cuore per irrorare sangue alla Chiesa.
Nella conclusione del suo intervento, Rosanna Virgili ha consegnato ai presenti alcune parole-guida per la riflessione, da utilizzare come metro di valutazione della propria vita comunitaria e consacrata:
autenticità
esemplarità
competenza della realtà
corresponsabilità
solidità culturale
Comunione, giovani, preghiera
Le giornate sono proseguite con lavori di gruppo, momenti di conoscenza del SERMIG e dell’Arsenale della Pace e spazi di preghiera. Alcuni ospiti hanno condiviso una testimonianza personale e concreta di cosa significa costruire comunione attorno ai giovani, grazie alla preghiera: Ernesto Olivero, fr. John di Taizé, Rosanna Tabasso (Fraternità del SERMIG).
Proprio queste tre parole – comunione, giovani, preghiera – possono forse riassumere i risultati dell’incontro. In realtà, è strano parlare di “risultati”. Le intenzioni, fin dall’inizio, non erano quelle di costruire un progetto, né di trovare date di incontri successivi, né di decidere particolari linee di lavoro congiunto… E, in effetti, tali obiettivi non sono stati raggiunti.
Si desiderava, più semplicemente, mettere in sharing i cuori, le intenzioni, le paure, i desideri di ciascuno. Si voleva provare a vedere se è vero che «è dolce che i fratelli vivano insieme» (Sal 133). Lo stile familiare e non istituzionale, unitamente alla calorosa accoglienza della Fraternità del SERMIG, hanno permesso uno scambio libero e liberante, davvero a tutto tondo.
Il gruppo dei presenti non ha pensato a una data ulteriore per un nuovo incontro. Ha pensato invece a come portare a casa e vivere un po’ di più la gratitudine che è scaturita dal confronto e da un piccolo seme di comunione, strada maestra per la testimonianza della vita consacrata oggi.
Pensieri conclusivi
Alcune riflessioni, alcuni hashtag possono nascere da questa piccola ma singolare esperienza.
Il primo slogan potrebbe essere detto così: #èpossibile. È possibile incontrarci ancora, come religiosi e consacrati, senza cadere nell’accusa dei tempi di oggi, né nelle nostalgie per mitologici «tempi di fede», né in speranze utopistiche per nuove «primavere di vocazioni». È possibile incontrarci e gustare la comunione senza la preoccupazione assillante dei numeri, degli impegni, degli orari.
Il secondo slogan è #dalbasso. Perché non riusciamo a organizzare questi incontri partendo da organi istituiti un po’ “in alto”? Non penso sia un caso che questo incontro è stato progettato partendo da amicizie, conoscenze, un pugno di desideri e nulla più. Non ci sono stati programmi formativi, né apparati simil-burocratici a organizzare gli inviti e compagnia bella. Lo stile della preparazione ha voluto rispecchiare in toto lo stile dello svolgimento dell’incontro stesso e, se si può chiamare così, l’obiettivo del trovarsi insieme: comunione e relazione al centro.
Il terzo slogan potrebbe suonare: #qualecentro. Insomma, non si sono condivise le tanto idolatrate «buone prassi» (né di pastorale vocazionale, né di pastorale giovanile), né ci sono state relazioni specifiche su questo o quell’aspetto della società di oggi. Si è parlato della vita consacrata con un linguaggio che ha cercato di essere un po’ nuovo, semplice e familiare. Il centro, a ben pensare, è stata la preghiera. I momenti di preghiera – che a volte vengono visti come il “non-possono-mancare” che scandisce semplicemente i momenti di riflessione – sono stati, in realtà, il centro dell’incontro. Dall’eucaristia quotidiana, alle preghiere delle Ore, al momento – toccante – della preghiera attorno alla croce il venerdì sera, animato dal bravo gruppo di Taizé di Torino. Anche qui, lo stile dell’incontro ha voluto rispecchiare il contenuto stesso di ciò che si condivideva: la comunione nasce dall’attaccamento di ciascuno e di tutti all’unico corpo, quello di Cristo.
Infine, ancora uno slogan: #serveascolto. Quello che ognuno si porta a casa è sicuramente la consapevolezza di una necessità di maggiore ascolto, all’interno della comunità come all’esterno, come segno di apertura e di conversione. È un lavoro paziente di ascolto e di passione, quello della comunione. Ma, come si è ripetuto spesso all’incontro, «la testimonianza del Risorto, oggi, o è comunitaria o non è».
Marco Mazzotti