Pangrazzi Arnaldo
Orizzonti e fragilità della sofferenza
2020/1, p. 11
“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). Questo versetto, tratto dal vangelo di Matteo, è il tema della XXVIII Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2020).

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GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
Orizzonti e fragilità
della sofferenza
“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). Questo versetto, tratto dal vangelo di Matteo, è il tema della XXVIII Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2020).
Forse più di ogni altra esperienza, la malattia rivela l’uomo nella sua fragilità e insicurezza, ne porta alla luce il bisogno di aiuto, in particolare attraverso quanti possono alleviarne il patire, assicurando vicinanza e affetto.
Il patire dell’uomo rimanda alla condizione di limite inscritta nella natura umana. Dalla culla alla tomba l’esistenza è contrassegnata da un mosaico di ferite, perdite, tribolazioni, tormenti che, in gradi diversi, segnano l’esistenza di ogni persona.
Dolore e sofferenza: compagni di viaggio
Sofferenza e dolore non sono esattamente sinonimi, ma termini che fanno riferimento ad ambiti specifici del patire.
Per dolore si intende un male che colpisce soprattutto il corpo ed informa che qualcosa non va, ad esempio un’emicrania, un mal di denti, fitte al petto, artrosi cervicale.
L’obiettivo, nel dolore, è di toglierlo o almeno alleviarlo attraverso farmaci, interventi chirurgici, terapie antidolorifiche, fisioterapie.
Per mitigarlo si ricorre anche all’uso di terapie non convenzionali, quali: la naturopatia, l’agopuntura, gli integratori erboristici, una corretta alimentazione, lo yoga e così via.
La soglia di sopportabilità del dolore varia da soggetto a soggetto, ed è influenzata da fattori biografici e culturali.
La sofferenza abbraccia un ventaglio di vissuti più vasto ed include la risonanza mentale, emotiva e spirituale che il dolore provoca, insieme alla ricerca del suo significato.
La sofferenza si cerca di lenirla, ma anche di trasformarla in opportunità, cogliendone il valore pedagogico per la propria crescita umana e spirituale.
Sia il dolore che la sofferenza rimangono due ospiti scomodi, ma inevitabilmente presenti nella storia individuale, familiare e collettiva.
Un viaggio nel patire umano
La sofferenza ha una miriade di volti ed espressioni che abbracciano svariati ambiti del vissuto esistenziale.
È diverso il patire di chi fa fatica a respirare e quello di chi non riesce a comunicare; lo sconforto di chi non realizza il futuro che sognava, e l’angoscia di chi non ha casa né lavoro; il tormento di chi non vuole vivere e quello di chi non vuole morire.
Un primo luogo di sofferenza concerne la malattia che turba il benessere del corpo;basta varcare la soglia di un ospedale e addentrarsi nei vari reparti di pediatria, diabetologia, cardiologia, neurologia, traumatologia, oncologia, nefrologia e così via, per rendersi conto delle diverse patologie che affliggono le persone. Una tendenza comune è di considerare la malattia fisica come il problema più grave; ma non è così. Una conversazione con una signora in ortopedia che ha un ginocchio malconcio, informa presto che la sua vera sofferenza non concerne il disagio fisico, quanto la preoccupazione per il figlio tossicodipendente o il turbamento per una figlia divorziata con due bambini.
Un secondo orizzonte di sofferenza riguarda le fragilità della mente sotto forma di squilibri, evidenti o mascherati, quali: le ossessioni e le fissazioni, il disturbo bipolare, la paranoia, la schizofrenia e la depressione; quest’ultima in fase di sorpasso sulle malattie del cuore quale prima patologia al mondo. Nella società, si registra un certo pregiudizio nei confronti di questi soggetti percepiti come “strani”, “fuori di testa”, “pericolosi”, per cui vengono spesso marginalizzati ed evitati.
In terzo luogo, sono infinite le fragilità sociali spesso radicate nella povertà, nelle disuguaglianze, nella violenza, in situazioni esistenziali difficili, nell’esperienza del carcere. Un problema particolarmente critico riguarda le dipendenze (dall’alcol, dalla droga, dai giochi di azzardo), con pesanti ricadute sulla famiglia, sul lavoro e sul bilancio sanitario nazionale.
Un ambito rilevante di sofferenza è di natura psicologica e include esperienze di abbandono e rifiuto, fallimenti personali e interpersonali, umiliazioni, difficoltà con l’auto-accettazione e il perdono. Molte ferite scaturiscono da conflittualità familiari, vissuti di separazione e divorzio, tradimenti affettivi, distacchi luttuosi.
Infine, la sofferenza spirituale che è presente nell’esperienza di peccato, nell’alienazione da Dio e dagli altri, nello smarrimento della propria identità, nel vuoto di ideali, nel senso di inutilità della propria vita, nel rifiuto di valori trascendentali. In casi nefasti può tradursi nell’appartenenza a sette sataniche e nella disperazione, che può portare al suicidio.
Ovviamente, il predominio di una forma di dette fragilità si ripercuote sulle altre sfere della salute personale, familiare o comunitaria.
Diversi fattori concorrono all’insorgere di determinate fragilità: di natura genetica, familiare, ambientale, sociale, etica e comportamentale.
Alcune malattie, ad esempio, sono condizionate dalla propria mappa genetica; altre sono cagionate da fattori esterni, quali l’inquinamento e gli stress della vita moderna.
Molte sofferenze si possono prevenire attraverso la pratica di stili di vita sani, rapporti familiari e sociali segnati dal rispetto, l’apprendimento di modalità costruttive di dialogo, lo sviluppo della fiducia in se stessi, la disponibilità a farsi aiutare nei momenti critici, la propria maturazione etica e morale, l’apertura a Dio e la pratica di percorsi spirituali.
Un’alta percentuale di persone tende a somatizzare il patire, per cui il corpo rivela le difficoltà del soggetto nel gestire i sentimenti, i conflitti, le relazioni e le contrarietà.
Fattori condizionanti
Ognuno apprende o elabora modi diversi di affrontare le tribolazioni e le ferite. Tre fattori rivestono un ruolo importante nella risposta al patire: l’interpretazione che si dà alla sofferenza vissuta, gli atteggiamenti assunti e le risorse presenti nel soggetto. Analizziamo brevemente queste criticità.
Supponiamo che qualcuno riceva la diagnosi di un tumore al fegato: la lettura di questa notizia può essere alquanto dissimile, a seconda delle persone.
C’è chi la interpreta come un castigo per errori commessi (es. “due anni fa ho tradito mia moglie”) o impegni omessi (es. Dio mi sta punendo perché non vado più in Chiesa da 30 anni”). Per questi soggetti, la malattia viene decifrata come un intervento divino, per correggerne i comportamenti.
Un altro può leggere la diagnosi come una prova per testimoniare le proprie virtù nell’ora dell’avversità, sull’esempio di Giobbe che, pur perdendo i beni e le persone più care, conserva la sua fede in Dio.
Un terzo intende il messaggio infausto come un’ingiustizia, un intervento causato da Dio o dal destino immeritato dall’individuo, stante il suo onesto comportamento di vita. Il soggetto si ribella ad una situazione percepita come assurda e scandalosa.
Un quarto soggetto interpreta la diagnosi come rimando all’imperfezione umana, segno che si è figli e non padroni della natura, per cui il tumore può capitare a chiunque, indipendentemente dalla propria condizione personale, sociale e morale.
Un altro ancora potrebbe incorporare la crisi e le sue implicazioni nel grande mistero dell’esistenza: non tutto nella vita si può spiegare. La sfida consiste nel vivere il mistero, rimanendo aperti al futuro.
Non manca chi percepisce l’evento doloroso come una scuola di vita, un’opportunità di crescita per purificare e approfondire i propri valori e priorità.
Ovviamente le interpretazioni influenzano gli atteggiamenti assunti.
Se la diagnosi di un tumore viene letta come mistero, scuola di vita o opportunità di crescita, l’individuo assume atteggiamenti costruttivi, quali l’apertura, l’accettazione, la capacità di guardare alle cose con occhi diversi, la riconoscenza verso chi aiuta, la speranza in qualcosa o in Qualcuno.
Se la diagnosi viene intesa come punizione, maledizione, assurdità e ingiustizia, gli atteggiamenti adottati risultano più rigidi e problematici, quali l’aggressività o il silenzio, la colpevolizzazione o la depressione, l’ostinazione o la chiusura.
Nell’elaborazione degli atteggiamenti riveste un ruolo importante il patrimonio di risorse, interne ed esterne, su cui il soggetto può contare per far fronte all’avversità.
Le risorse interne comprendono: una positiva autostima, la capacità di verbalizzare i propri pensieri e sentimenti, uno spirito speranzoso e tenace, la flessibilità della mente, un sano umorismo, il saper usare bene il tempo, il senso di missione nella vita, in particolare il fidarsi e affidarsi a Dio.
Tra le risorse esterne si annoverano: il far parte di una famiglia unita e coesa, la capacità di coltivare amicizie, l’appartenenza e l’impegno in nuclei sociali e/o religiosi di riferimento, quali un’associazione, la parrocchia, i colleghi di lavoro.
Affidarsi al Consolatore
L’unica certezza nella vita è l’incertezza. Nessuno gioca la partita della vita con le carte sicure; la fede non è un parafulmine per proteggere dalla tempesta, ma un ombrello per aiutare a gestirla. L’avversità e la malattia possono bussare a qualunque porta.
Susan Sontag scriveva che: "La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno della salute e in quello della malattia. Preferiamo tutti servirci del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell'altro paese".
Gesù non è venuto per togliere il dolore, ma per assumerlo e trasformarlo in strumento di salvezza.
Tutti coloro che sono afflitti dall’oppressione, dall’insicurezza materiale, dal male, dall’ingiustizia, dalle fragilità sono invitati a trovare rifugio in Colui che è il Consolatore degli afflitti, il Difensore dei poveri, il Salvatore dei peccatori. “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”.
Arnaldo Pangrazzi, m.i.