Una sfida im-possibile?
2019/9, p. 39
Come dare interpretazione adeguata ad una area di quasi 8 milioni di
kmq, che interessa 9 paesi e contiene il 40% della superficie globale delle
foreste tropicali? Le teologie latino-americane e in particolare la teologia
india sembrano gli strumenti più adatti per comprendere la sfida.
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Verso il Sinodo per l’Amazzonia
UNA SFIDA
IM-POSSIBILE?
Come dare interpretazione adeguata ad una area di quasi 8 milioni di kmq, che interessa 9 paesi e contiene il 40% della superficie globale delle foreste tropicali? Le teologie latino-americane e in particolare la teologia india sembrano gli strumenti più adatti per comprendere la sfida.
Una sfida impossibile? Alla fine della lettura dell’Instrumentum laboris («Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale») per il sinodo sull’Amazzonia (Roma, 6-27 ottobre 2019) emerge l’incredulo stupore davanti all’altezza del compito. Non tanto per le pur rilevanti accentuazioni sul tema dei ministeri ordinati, sottolineato da molti, quanto per la potenza della chiamata. Quello che si indica è un conflitto diretto con il potere del paradigma tecnocratico, una rinnovata comprensione della complessità sociale e culturale dell’area e l’«invenzione» di un soggetto ecclesiale paradigmatico per il futuro della Chiesa.
Contro l’«impero»
Sulla scorta della Laudato si’ il testo (presentato il 17 giugno) non nasconde la distanza rispetto al modello neo-liberale e tecnocratico imperante: «Essere Chiesa in Amazzonia in modo realistico significa porre profeticamente il problema del potere, perché in questa regione le persone non hanno la possibilità di far valere i loro diritti contro le grandi imprese economiche e le istituzioni politiche. Oggi, mettere in discussione il potere nella difesa del territorio e dei diritti umani è mettere a rischio la propria vita, aprendo un cammino di croce e di martirio» (n. 145). La memoria dei martiri (come sr. Dorothy Stang) vuol dire opporsi ai modelli estrattivisti e ai progetti che violentano l’ambiente, allearsi ai movimenti sociali di base, ascoltare il grido della terra ferita, difendere i diritti dei popoli dell’Amazzonia.
Consapevole dell’ambiguità del proprio comportamento durante la colonizzazione, la comunità cristiana non può sottrarsi alla «santa indignazione» provocata dalle ingiustizie e davanti a promesse non mantenute e a tradimenti di ogni tipo (n. 41). Vi è un respiro mondiale nell’aver dato figura alla regione amazzonica come uno dei punti decisivi per la salvaguardia del creato, assieme al bacino del fiume Congo e alle grandi aree glaciali dell’Artico.
L’opzione preferenziale per i poveri e per la cura del creato alimenta una lettura critica che rifiuta «l’alleanza con la cultura dominante e il potere politico ed economico per promuovere le culture e i diritti degli indigeni, dei poveri e del territorio» (n. 119). Ben sapendo di trovarsi di contro alla gran parte della struttura comunicativa mondiale. «I mezzi di comunicazione sociale di massa trasmettono modelli di comportamento, stili di vita, valori, mentalità che influenzano, trasmettono una cultura che tende ad imporsi, e ad uniformare il nostro mondo interconnesso. È il problema della seduzione ideologica della mentalità consumistica» (n. 140). Si capiscono l’allarme e i sospetti dei centri finanziari ed economici e dell’amministrazione Bolsonaro (Brasile), che considera i diritti dei popoli indigeni come ostacolo al libero sfruttamento dell’area. Il ministro dell’interno (Augusto Heleno Ribeiro), nel febbraio scorso, ha smentito che i servizi segreti spiassero le attività in preparazione al sinodo, ma ha sottolineato la preoccupazione per alcuni punti dell’agenda sinodale che a suo avviso confliggono con gli interessi dello stato.
Area altamente vulnerabile
Come dare figura unitaria e interpretazione adeguata ad una area di quasi 8 milioni di kmq, che interessa 9 paesi e contiene il 40% della superficie globale delle foreste tropicali? Gli ecosistemi amazzonici ospitano dal 10 al 15% di tutte le biodiversità della terra. I popoli autoctoni sono 380, parlano 86 lingue e un centinaio di essi vivono nascosti. Sono chiamati i popoli indigeni in isolamento volontario (PIAV). Ma nel loro insieme non superano i 4 milioni (su 34 milioni di persone nell’area). Una minoranza esigua rispetto alle popolazioni dei paesi interessati. Vi è una enorme sproporzione fra l’esiguità degli indigeni chiamati a difendere l’identità dei luoghi e l’enormità dei territori, fortemente appetibili dagli interessi economici.
La scommessa del sinodo e della Chiesa è riconoscere l’Amazzonia come soggetto unitario «che non è stato sufficientemente considerato nel contesto nazionale o mondiale né nella vita della Chiesa» (n.2). Area altamente vulnerabile, ma custode di un «buon vivere» che si esprime nell’armonia con se stessi, con gli altri, con la natura e con l’essere supremo. Esempio di connessione fra valori materiali, umani e trascendenti, capace di una cosmovisione in cui tutto è collegato.
Fra le aggressioni di cui si sentono colpite le comunità amazzoniche si ricorda: l’assassinio dei leader, la privatizzazione dei beni naturali, le concessioni a grandi aziende per il disboscamento, i megaprogetti idroelettrici, l’inquinamento, il narcotraffico (n. 14-15). Anche i diritti precedentemente riconosciuti, come il diritto alla consultazione e al consenso previo, sono erosi e rimossi. «Attualmente, i cambiamenti climatici e l’aumento degli interventi umani (deforestazioni, incendi e cambiamenti nell’uso del suolo) stanno portando l’Amazzonia a un punto di non ritorno» (n. 16). Aggressioni dirette e indirette che rendono le popolazioni autoctone o no «vittime della seduzione del denaro, delle tangenti e della corruzione da parte di agenti del paradigma tecno-economico della “cultura dello scarto”» (n. 53).
Migrazioni e città
Migrazioni pendolari, spostamenti forzati, migrazioni volontarie, migrazioni internazionali fanno dell’Amazzonia una fra le regioni «con la maggiore mobilità interna e internazionale» (n. 64). Alle origini vi è il drammatico peggioramento della qualità della vita. Con l’esito di distruggere le famiglie e esporre i più giovani ad ogni tipo di abuso. «I rapidi cambiamenti attuali incidono sulla famiglia amazzonica. Troviamo così nuovi formati di famiglia»: monoparentali, separazioni, unioni consensuali, famiglie assemblate ecc. (n. 77). Con problemi sempre più gravi per l’educazione. Salta il modello di organizzazione comunitaria e peggiora lo stato della donna. Compaiono nuove malattie (a causa del mercurio) che le «farmacopee viventi» nella foresta non sono in grado di ovviare e guarire.
L’urbanizzazione ha ormai coinvolto il 70-80% della popolazione, trasmettendo uno stile di vita assai lontano da quello tradizionale. Nascono problemi non piccoli come la violenza, l’abuso sessuale, la droga, il traffico di armi, la crisi di identità, lo sfaldarsi delle famiglie, l’inefficienza dei servizi e delle infrastrutture.
Molto esplicito il capitolo sulla corruzione, sia fuori della legge che dentro una legislazione ingiusta. «La corruzione raggiunge così le autorità politiche, giudiziarie, legislative, sociali ecclesiali e religiose che ricevono benefici per consentire a queste società (le grandi imprese) di operare» (n. 81). «Si crea così una cultura che avvelena lo stato e le sue istituzioni, permeando tutti gli strati sociali, comprese le comunità indigene. Si tratta di una vera e propria piaga morale; di conseguenza si perde fiducia nelle istituzioni e nei suoi rappresentanti, il che scredita totalmente la politica e le organizzazioni sociali. I popoli amazzonici non sono estranei alla corruzione e ne diventano le principali vittime» (n. 82).
Chiesa originale, creativa, inculturata
Il dinamismo più creativo del documento è quello ecclesiologico, quasi a «inventare» un nuovo soggetto ecclesiale. Mentre infatti i precedenti sinodi speciali hanno avuto come riferimento situazioni di Chiese o territori abitati da lungo tempo da comunità cristiane (Paesi Bassi, Ucraina, i cinque continenti, il Medio Oriente) l’Amazzonia si impone non sulla base delle Chiese e della storia, ma su quella dell’emergenza ambientale e di un soggetto ecclesiale declinato al futuro, pur con qualche lunga radice nella storia. Il riferimento è più alla REPAM (Rete ecclesiale panamazzonica, attiva dal 2014) che alle Chiese nazionali. L’urgenza dell’annuncio evangelico si fonde con un luogo che è a un tempo territorio, emergenza (ambientale) e scelta preferenziale dei poveri. Nasce dentro le esperienze ecclesiali latino-americane con una presenza originale, creativa e inculturata. «Il suo programma di evangelizzazione non corrisponde a una mera strategia di fronte ai richiami della realtà: è l’espressione di un cammino che risponde al kairos che spinge il popolo di Dio ad accogliere il Regno in queste bio-socio-diversità».
«La diversità originale offerta dalla regione amazzonica – biologica, religiosa e culturale – evoca una nuova Pentecoste» (n. 30). Lasciate alle spalle le ambiguità legate ai processi colonizzatori, «negli ultimi anni la missione della Chiesa si è svolta in alleanza con le aspirazioni e le lotte per la vita e il rispetto per la natura dei popoli amazzonici e delle loro stesse organizzazioni» (n. 33). L’ecologia integrale «che si basa sul riconoscimento della relazionalità come categoria umana fondamentale» (n. 47) e cioè sulla relazione con noi stessi, gli altri, la società, la natura e Dio trova un corrispettivo nella «cultura amazzonica che integra gli esseri umani alla natura (e) diventa un punto di riferimento per la costruzione di un nuovo paradigma di ecologia integrale» (n. 56).
«La Chiesa proclama il mistero della morte e risurrezione (di Gesù) a tutte le culture e a tutti i popoli» (n.115) e cerca di condividere il Vangelo con i popoli amazzonici. Nonostante le ferite del passato e la permanente mentalità coloniale e patriarcale essa si apre a una Chiesa partecipativa, a una Chiesa accogliente, a una Chiesa creativa e a una Chiesa armoniosa (n. 113). Un intento che chiede di passare «da una “pastorale della visita” a una “pastorale della presenza”, per riconfigurare la Chiesa locale in tutte le sue espressioni: ministeri, liturgia, sacramenti, teologia e servizi sociali»» (n. 128).
Cosmologie e ministeri
Si tratta anzitutto di recuperare il senso positivo delle tradizioni, dei miti, dei riti della tradizione locale. Riconoscere cioè un patrimonio spirituale che si alimenta delle esperienze ancestrali e delle cosmologie condivise: «Recuperare i miti e attualizzare i riti e le celebrazioni comunitarie che contribuiscono in modo significativo al processo di conversione ecologica» (n. 104). «È necessario cogliere ciò che lo Spirito del Signore ha insegnato a questi popoli nel corso dei secoli: la fede in Dio Padre-Madre Creatore, il senso di comunione e di armonia con la terra, il senso di solidarietà con i propri compagni» (n. 121), il rapporto vivo con la natura, l’atteggiamento contemplativo e il senso del sacro del territorio.
Le teologie latino-americane e in particolare la teologia india sembrano gli strumenti più adatti per comprendere la sfida.
In tale quadro si capisce l’attenzione rinnovata ai servizi e ai ministeri. Dal riconoscimento dell’agente pastorale come ministero speciale alla presidenza dell’eucaristia. «”La Chiesa vive dell’eucaristia” e l’eucaristia edifica la Chiesa. Per questo, invece di lasciare la comunità senza l’eucaristia, si cambino i criteri di selezione e preparazione dei ministri autorizzati a celebrarla» (n. 126). «Affermando che il celibato è un dono per la Chiesa, si chiede che, per le zone più remote della regione, si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana» (n. 129). Ci si chiede che tipo di ministero conferire alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che spesso esercitano. Ma ci si interroga sul ruolo dei laici, dei giovani, della donna.
Rilevante anche la richiesta per la vita consacrata («alternativa e profetica, intercongregazionale, interistituzionale» n. 129), disponibile per i compiti più esposti e difficili. Sembra quasi che si relativizzino non solo le appartenenze istituzionali ma anche il carisma. In realtà è nella piena condivisione (lingua, cuore, testa, mani) con il popolo di Dio e la Chiesa locale che ai religiosi e religiose tutto viene ridonato.
Con senso realistico si propone un’azione pastorale di frontiera a tutte le diocesi interessate e, soprattutto, il rafforzamento della Rete ecclesiale panamazzonica. «Date le caratteristiche specifiche del territorio amazzonico, su suggerisce di considerare la necessità di una struttura episcopale amazzonica per realizzare l’applicazione del sinodo. È richiesta la creazione di un fondo economico a sostegno dell’evangelizzazione, della promozione umana e dell’ecologia integrale, soprattutto per l’attuazione delle proposte del sinodo» (n. 129). L’Amazzonia è uno dei polmoni del mondo. La Chiesa se n’è accorta. (http://www.settimananews.it/chiesa/amazzonia-verso-il-sinodo/)
Intervista al card. Lorenzo Baldisseri
Amazzonia: sinodo e profezia
- Rispetto al recente Instrumentum laboris cosa condivide e cosa non condivide della recezione dei media? Quali sono le originalità di questo sinodo rispetto ai precedenti sinodi speciali?
In primo luogo vorrei dire che l’Instrumentum Laboris per sé non è un documento pontificio, è uno strumento di lavoro preparato dalla segreteria generale secondo un lungo processo di consultazione del popolo di Dio e della collaborazione di istituzioni e persone interessate e numerosi esperti, che sarà posto nelle mani dei partecipanti dell’Assemblea Sinodale. L’Instrumentum laboris del sinodo sull’Amazzonia, che si celebrerà nell’ottobre prossimo, offre una vasta gamma di tematiche e questioni, che toccano la vita della Chiesa e allo stesso tempo le problematiche ecologiche che ne sono connesse, a partire dall’ottica della vita dei popoli che abitano la regione. I media stanno facendo un buon servizio nello sviluppare i diversi aspetti contenuti nel documento, anche se finora sembra prevalente la sottolineatura dell’aspetto intraecclesiale su alcuni temi sensibili. È auspicabile che prenda corpo anche l’aspetto ecologico collegato alla realtà, culturale, sociale, spirituale e religiosa dei popoli dell’Amazzonia. Questa duplice dimensione ecclesiale ed ecologica caratterizza questo Sinodo speciale e lo fa diverso da quelli precedenti. Viviamo in un momento storico in cui si è maggiormente coscienti della necessità di prendersi cura del creato per evitare conseguenze dannose per tutta l’umanità. L’Amazzonia è il polmone principale con cui il nostro pianeta respira. Interessarsi all’Amazzonia vuole dire in qualche modo avere a cuore le sorti di tutti gli uomini.
Perdono e strutture di peccato
- I popoli indigeni non vanno oltre i 3-4 milioni di persone (su 34 milioni di abitanti). Perché meritano una riflessione complessiva di Chiesa? Vi è una difficile e complessa memoria della Chiesa nei loro confronti. A che punto siamo nella ripresa della memoria ecclesiale?
Già il documento di Aparecida metteva in luce che l’azione pastorale della Chiesa è un servizio centrato sull’annuncio di Gesù Cristo e della buona novella del regno di Dio affinché i popoli indigeni possano godere della vita piena. Storicamente a volte in Amazzonia questo annuncio è stato mescolato con altri interessi ad esso estranei e ciò ha provocato nel cuore della popolazione locale delle ferite difficili da rimarginare. La Chiesa ha riconosciuto gli errori che sono stati commessi nelle dinamiche della trasmissione della fede e ne ha chiesto più volte perdono, come ha fatto recentemente papa Francesco nel discorso al II incontro mondiale dei movimenti popolari in Bolivia nel 2015, citato dall’Instrumentum Laboris al numero 38.
Credo che attualmente si è pienamente consapevoli della ricchezza che Gesù Cristo e il suo Vangelo rappresentano per la vita dei popoli indigeni e si è maggiormente attenti a fare tesoro dell’esperienza del passato per operare un annuncio che sia sempre più coerente con il Vangelo, arrivando, quando fosse necessario, a denunciare le strutture di peccato e di morte, la violenza in tutte le sue manifestazioni e le ingiustizie che pesano soprattutto nella vita dei più poveri e a favorire un autentico dialogo interculturale, interreligioso ed ecumenico.
- Come collocare l’Amazzonia nell’insieme delle riflessioni pastorali delle Conferenze ecclesiali latino-americane? Continuità e discontinuità?
La realtà specifica dell’Amazzonia è senz’altro stata sempre presente nell’insieme delle riflessioni e delle attività pastorali delle conferenze episcopali del territorio. Parlando della necessità di un’effettiva inculturazione di questa realtà amazzonica, - aspetto rilevante oggi più che nel passato - l’Instrumentum Laboris sottolinea al numero 13 che «gli impulsi e le ispirazioni importanti per questa desiderata inculturazione si trovano nel magistero della Chiesa e nel cammino ecclesiale latinoamericano delle sue conferenze episcopali […] e delle sue comunità, e dei suoi santi e martiri». Si rileva dunque continuità con il cammino percorso dalla Chiesa in America Latina e allo stesso contestualizzazione delle riflessioni pastorali a un territorio specifico. Si mettono in evidenza le positività e le criticità della cultura in cui si è inseriti, nello stile di un annuncio che sia sempre più incarnato ed in grado di dare delle risposte adeguate a ciò che emerge dalla realtà.
Il martirio
- Di quali valori sono portatori i popoli e il territorio amazzonico? Sia i popoli urbanizzati, sia quelli che hanno rappresentanza, sia quelli in isolamento volontario?
I popoli che vivono in territorio amazzonico hanno un enorme patrimonio culturale e spirituale che deriva loro da una sapienza ancestrale che hanno saputo coltivare e difendere. Ci testimoniano l’importanza dell’amore per la terra, del rispetto della natura e delle persone, della solidarietà tra gli uomini, del lavoro comunitario, di pratiche concrete del ‘buon vivere’, del senso della trascendenza. Rivolgendosi direttamente a loro, papa Francesco a Puerto Maldonado nel gennaio del 2018 ha sintetizzato il loro contributo alla vita dell’umanità con queste parole: «se, da qualcuno, voi siete considerati un ostacolo o un “ingombro”, in verità, voi con la vostra vita siete un grido rivolto alla coscienza di uno stile di vita che non è in grado di misurare i suoi costi». Per quanto riguarda più specificamente i popoli in isolamento volontario l’Instrumentum Laboris al numero 57 sottolinea che essi «resistono all'attuale modello di sviluppo economico predatore, genocida ed ecocida, scegliendo la cattività per vivere in libertà». Queste parole fanno eco a quelle pronunciate da papa Francesco nell’incontro di Puerto Maldonado, quando affermava che «la loro presenza ci ricorda che non possiamo disporre dei beni comuni al ritmo dell’avidità e del consumo. È necessario che esistano limiti che ci aiutino a difenderci da ogni tentativo di distruzione di massa dell’habitat che ci costituisce».
- Nell’Instrumentum laboris si parla di martirio (sr. Dorothy Stang). Abbiamo conosciuto il martirio per la carità e la giustizia, vale anche per la difesa della terra?
Nel numero 145 dell’Istrumentum Laboris si parla di sr. Dorothy Stang come martire e si dice che «mettere in discussione il potere nella difesa del territorio e dei diritti umani è mettere a rischio la propria vita, aprendo un cammino di croce e di martirio». La terra non è da intendersi ovviamente come il suolo materiale. La terra è lo spazio in cui si svolge la vita concreta delle persone. Parlare di difesa della terra, quindi, vuol dire parlare di difesa di uomini e donne, di bambini ed anziani. Sempre a Puerto Maldonado, Papa Francesco lo ha detto chiaramente: «la difesa della terra non ha altra finalità che non sia la difesa della vita». La vita, infatti, è strettamente connessa al territorio. Per questo, se si vuole difendere la vita occorre difendere la terra, con le sue risorse e i beni naturali. E difendendo la terra, si difende la vita e la cultura dei popoli e si dà ad essi la possibilità di esercitare i propri diritti e di vivere un’esistenza umana degna di questo nome. Si comprende, allora, come la difesa della terra non è fine a se stessa, ma è volta al bene delle persone. È quindi un’opera di carità e di giustizia.
Teologia india e della liberazione
- Ecologia integrale, paradigma tecnocratico, modello di sviluppo: potrebbe spiegare i termini? È il sinodo della Laudato si’?
Quando si parla di ecologia integrale, si parte dalla «convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso» come afferma la Laudato si’ al numero 16, per cui si sta parlando di un approccio che guarda all’ambiente in cui si vive non solo dal punto visto strettamente naturale, ma tenendo conto anche della dimensione umana, sociale, culturale e spirituale. Custodire il creato significa allora custodire ogni essere umano in tutte le sue dimensioni vitali.
Per paradigma tecnocratico si intende una comprensione della realtà per cui lo sviluppo tecnologico viene assolutizzato e viene ritenuto capace di soddisfare il desiderio di vita autentica che è nel cuore di ogni persona. Esso si presenta come una cultura globale e porta alla perdita dell’orizzonte trascendentale e del valore delle relazioni umane autentiche ed immediate, le quali per svilupparsi hanno sempre più bisogno della mediazione del mezzo tecnico. Secondo la Laudato si’, al numero 107, questo paradigma di comprensione del valore della vita umana tende sempre più frequentemente ad esercitare il proprio dominio sull’economia e sulla politica, condizionando abnormemente la vita e le relazioni delle persone e lo stesso funzionamento della società.
In termini approssimativi, un modello di sviluppo indica criteri, presupposti ed orientamenti secondo i quali si ritiene che una società possa progredire verso un futuro migliore. Esso, in qualche modo, parte da una comprensione del ‘vivere bene’ e da qui stabilisce quali siano i beni (materiali o spirituali) da preferire e quali siano i mezzi migliori per raggiungere il soddisfacimento di quei beni.
La Laudato si’ tratta ampiamente di queste tematiche. Il Sinodo sull’Amazzonia terrà conto delle indicazioni che emergono dall’Enciclica per proporre nuovi cammini in nel contesto di un territorio determinato. Potremmo quasi dire che si passa dalle indicazioni teoriche alla concretezza della pratica.
- Quale rapporto fra teologia della liberazione e teologia india?
In realtà, vi sono molte teologie indie, come del resto vi sono molteplici teologie della liberazione, sviluppatesi quest’ultime a partire degli anni ‘60 del secolo scorso. La cosiddetta “teologia india amazzonica” è ben presente, ma è in fase di ulteriore riflessione, dovrà approfondire e presentare il mistero di Cristo nel contesto culturale e spirituale proprio dei popoli indigeni, tenendo conto di miti, tradizioni, simboli, saperi e riti che fanno parte della loro vita. Questo affinché l’annuncio cristiano, pur restando integro e completo, possa meglio incarnarsi in una realtà che ha già un proprio patrimonio culturale e spirituale. Occorre allora maggiore studio.
La teologia della liberazione è una riflessione teologica differente, nasce e si sviluppa in un contesto culturale diverso, già profondamente segnato dall’annuncio di Cristo, del quale sottolineava alcune dimensioni specifiche ritenute come essenziali allo stesso annuncio. Sarà il tempo a poter dire se vi saranno dei punti di contatto, e quali, e ad evidenziare le inevitabili differenze.
Inculturare ministeri e carismi
- Si sollecita la Chiesa a molti cambiamenti anche nei ministeri (presidenza eucaristica) e nei ruoli. Quali sono i criteri che li motivano?
L’Instrumentum laboris al numero105 sottolinea che il paradigma di un’azione ecclesiale fondata sulla centralità del kerygma e che si esprime in una Chiesa accogliente e missionaria incarnandosi nella cultura locale, ha il compito anche di ispirare i ministeri, la catechesi, la liturgia e la pastorale. E proprio al numero 43 richiama l’importanza che i ministeri siano «adeguati a questo momento storico». C’è bisogno allora di una capacità di individuare dei ministeri che meglio rispondono alle esigenze umane e spirituali della popolazione nel contesto attuale. È interessante al riguardo il suggerimento che vi possa essere per esempio, l’Instrumentum Laboris al numero 104 suggerisce, che vi possa essere un «riconoscimento formale da parte della Chiesa particolare come ministero speciale per l'agente pastorale che promuove la cura della Casa comune». Quanto ai criteri vi sono nel documento delle indicazioni che saranno poi sviluppate in seno all’assemblea sinodale di ottobre prossimo.
- Le religiose e i religiosi sono sollecitati a un totale inserimento. Anche a scapito del proprio carisma?
In Amazzonia è necessario passare da una ‘pastorale della visita’ a una ‘pastorale della presenza’, altrimenti si avrà difficoltà a che il seme della Parola e della vita in Cristo possa effettivamente attecchire. I religiosi e le religiose sono quindi invitati ad essere il più possibile ‘sul posto’. Quindi, l’annuncio del Vangelo richiede loro di essere disponibili a condividere la vita locale con il cuore, la testa e le mani, dedicando tempo ad imparare la lingua e la cultura locale. In ordine alla credibilità e all’efficacia dell’annuncio è poi di estrema importanza che essi partecipino con tutti gli altri operatori pastorali alla realizzazione di un’azione missionaria congiunta, intelligente, capace di unire le forze. Tutto questo non dovrebbe andare a scapito del carisma dei diversi Istituti, se si tiene conto che un carisma è una modalità specifica di testimoniare l’unico amore di Cristo che si manifesta nella molteplicità dei doni a cui dà origine. Ciascuno, quindi, potrà dare il proprio contributo all’opera comune per mezzo della ricchezza del proprio carisma.
- Il ministro degli interni brasiliano e voci insistenti della amministrazione manifestano preoccupazioni per alcuni indirizzi del sinodo. Cosa rappresentano queste e altre voci politiche rispetto ai lavori sinodali?
Al riguardo, per competenza, è la Segreteria di Stato, sezione per i rapporti con gli Stati, che cura e valuta le eventuali ripercussioni del sinodo nei confronti di Stati e di governi, attraverso i canali formali, le nunziature apostoliche e le ambasciate rispettive.
Lorenzo Prezzi