Chiaro Mario
L'ecologia umana lacerata
2019/9, p. 33
Un dossier di Caritas Italia mostra l’intreccio globale tra corruzione, interessi economici e migrazione. In particolare nell’Africa subsahariana e occidentale la Chiesa punta sullo sviluppo umano integrale.

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Corruzione, un dossier di Caritas italiana
L’ECOLOGIA
UMANA LACERATA
Un dossier di Caritas Italia mostra l’intreccio globale tra corruzione, interessi economici e migrazione. In particolare nell’Africa subsahariana e occidentale la Chiesa punta sullo sviluppo umano integrale.
Nel quarto anniversario dell’enciclica Laudato Si’, Caritas Italia offre un dossier dal titolo “Corruzione: ecologia umana lacerata”, in cui si mostra l’intreccio tra corruzione, interessi economici e migrazione (con un focus specifico sul caso della Guinea, dove la corruzione rappresenta uno dei maggiori fattori di spinta della migrazione del paese). Enormi i danni della corruzione, quelli materiali e, ancor più, quelli immateriali: disuguaglianze, ingiustizie, decadimento del senso civico e rottura del legame di fiducia con istituzioni e comunità.
Diffusa in ogni settore e paese, dagli anni ’90 la corruzione ha cominciato a destare la preoccupazione che merita a livello internazionale. Con particolare attenzione ai paesi poveri, è annoverata «tra le cause che maggiormente concorrono a determinare il sottosviluppo e la povertà, oltre all’impossibilità di accedere al mercato internazionale» (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, n. 447). Il tema ha preoccupato i recenti pontefici. Giovanni Paolo II ne percepiva la gravità e la sua funzione di moltiplicatore di guasti sociali cogliendo i legami profondi della corruzione con la questione etnica e il tribalismo. Benedetto XVI sul tema convocò nel 2006 una Conferenza internazionale del pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Papa Francesco ha focalizzato l’attenzione sui temi dell’impatto della corruzione sui poveri e sulla pervasività del fenomeno: «Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale. […] impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri. È un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi negli scandali pubblici» (Misericordiae Vultus, n.19). Da questo punto in poi, da varie parti vengono messe in luce le dirette connessioni con i flussi migratori e il ruolo intermedio che la corruzione gioca in molti ambiti, apparentemente a lei scollegati.
Il nuovo impegno
della società civile
La corruzione consiste nell’offrire, dare, ricevere o sollecitare, direttamente o indirettamente, qualunque tipo di valore per influenzare indebitamente le azioni di un altro soggetto. Oggi è più facilmente misurabile e la lotta per la sua eliminazione è divenuta parte degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2030. Di sicuro, il fenomeno ha una diffusione imponente: nel 2015 i costi stimati della corruzione furono di 1.500/2.000 mld di dollari (dati Fondo monetario internazionale), per arrivare a 2.600mld (5% del PIL mondiale) nel 2018, più altri 1.000 mld solo di ‘’piccola corruzione’’. Il Rapporto 2018 dell’Indice di trasparenza internazionale (ITI) osserva che dei 180 paesi esaminati, la maggior parte ha un punteggio dell’Indice di corruzione percepita (ICP) sotto a 50/100. Dal 2012, 41 paesi hanno registrato un miglioramento; 38 paesi hanno visto un peggioramento; gli altri 96 paesi mostrano cambiamenti di poco rilievo. Incoraggianti i risultati rispetto al 2012 di Italia (+10 punti), Senegal (+9) Argentina (+5) e Costa d’Avorio (+6); allarmanti invece i deterioramenti di Ungheria (-9), Turchia (-8), Bahrein (-15), Yemen (-9 punti) e Siria (-13). Se il continente in miglioramento è ancora l’Europa occidentale (66/100), il più corrotto resta l’Africa subsahariana (32/100).
Si nota subito l’evidente situazione di stallo globale, mentre l’idea che la corruzione sia pratica delle situazioni di sottosviluppo è smentita dai fatti. Si può osservare che dal 2012 al 2018, degli allora primi 10 classificati (Danimarca, Nuova Zelanda, Finlandia, Singapore, Svezia, Svizzera, Norvegia, Paesi Bassi, Australia, Canada), tutti hanno ridotto i punteggi. Fra i regressi più allarmanti per il loro peso internazionale e capacità di influenzare il pianeta si trovano: Stati Uniti, Australia, Canada e Spagna. Preoccupante anche il cosiddetto gruppo dei BRICS: il Sudafrica (-2 punti), il Brasile (-10); Russia e Cina ferme senza cambiamento dal 2012; in controtendenza solo l’India (+5 punti).
In questo contesto con audacia papa Francesco invita i singoli popoli a far sentire la loro voce: «Poiché il diritto, a volte, si dimostra insufficiente a causa della corruzione, si richiede una decisione politica sotto la pressione della popolazione. La società, attraverso organismi non governativi e associazioni intermedie, deve obbligare i governi a sviluppare normative, procedure e controlli più rigorosi» (Laudato Si’, n.179). Infatti cresce oggi l’insofferenza dei più poveri: nonostante il fatto che il meccanismo della corruzione nasca per estorcere denaro alle persone di fasce più agiate, sono sempre i poveri che tendono a essere colpiti in modo più che proporzionale. Non solo il prezzo di un’estorsione pesa meno su un reddito alto che su uno basso, ma soprattutto i servizi che esigono più spesso la corruzione sono quelli più richiesti dai poveri (più frequenti incontri con giustizia, amministrazione e polizia), i quali non hanno spesso alternative (soprattutto in istruzione e salute pubbliche). Il mercato della corruzione tende quindi a operare una selezione inversa, facendo uscire dal gioco gli attori più ricchi, per accanirsi sui meno abbienti.
Corruzione e democrazia
un circolo vizioso
Sempre più chiaro risulta anche l’impatto che la corruzione ha sulla tenuta delle istituzioni democratiche: il declino dei due indicatori corre in parallelo, con una reciproca influenza che genera un circolo vizioso. Secondo il Report di Freedom House 2019, dal 2018 al 2019 ben 68 paesi hanno registrato un abbassamento degli indicatori di diritti e libertà civili, per il tredicesimo anno consecutivo. Il trend è di lunga durata e stabilizzato. Dai dati si evidenzia quindi l’arretramento dello stato di diritto, il deterioramento delle conquiste sociali e dei media indipendenti, ma anche il legame democrazia-corruzione. Come ulteriore conferma, delle 58 autocrazieesistenti a livello mondiale nel 2018, solo 4 mostrano di combattere con efficacia la corruzione, che riduce la democrazia a causa della corrosione della fiducia diffusa sia orizzontalmente nella società fra diversi attori sia verticalmente nei confronti delle istituzioni. Inoltre, il deterioramento dello stato di diritto e degli strumenti democratici (soprattutto la magistratura) – associati a crisi economica, esclusione e riduzione di tutele sociali – producono un incremento della domanda di partecipazione alle clientele che in molte parti del mondo corrono anche lungo linee etniche.
Si tenga ben presente poi che anche i paesi più virtuosi, cioè poco corrotti e democratici al loro interno, esercitano meccanismi corruttivi nelle loro relazioni esterne. Infatti, nel settore privato, il ruolo delle compagnie internazionali nelle pratiche di corruzione è di estrema importanza, soprattutto per l’ottenimento di contratti da governi o accesso a mercati emergenti: si tratta della cosiddetta ‘’grande corruzione’’, le cui conseguenze sulla popolazione sono meno visibili e dirette, ma più devastanti. Proprio a molte compagnie con sede in paesi a basso indice di corruzione si devono molti dei peggiori scandali degli ultimi anni (es. inchieste in corso a carico di: Airbus, Odebrecht, SBM Offshore, Sinopec, Rio Tinto). Come già detto, da anni, il Transparency International colloca ai primi posti come paesi più virtuosi Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia, Nuova Zelanda, Singapore, Svizzera. Ebbene, proprio questi “magnifici sette”, sedi di colossi internazionali operanti in settori importanti dell’economia mondiale, non riescono a reprimere le attività corruttive delle compagnie. Anche laddove vi è un’attiva applicazione di leggi contro la corruzione internazionale, ciò non è affatto indice di un buon comportamento: ad esempio, in diversi degli stati considerati più virtuosi ci sono compagnie molto attive nell’accaparramento di terre (landgrabbing), fenomeno in cui la corruzione di funzionari è piuttosto diffusa.
La Chiesa contro una corruzione
che crea migrazione
Il dossier della Caritas italiana, nell’ultima parte, si focalizza in particolare sull’Africa subsahariana e occidentale: la regione più povera, con i più bassi indici di sviluppo umano, e la meno democratica al mondo. La regione vive oggi una corruzione fra le peggiori del pianeta (seconda solo all’Africa centrale), ma è l’unica in relativa evoluzione con paesi che hanno politiche di anticorruzione in atto. Un messaggio incoraggiante viene dall’insofferenza sempre maggiore dell’opinione pubblica, meno disposta a tollerare le diverse pratiche di corruzione. Infatti la generazione dei millennial west-africani (i 20/25enni), stragrande maggioranza della popolazione, si sta fortunatamente abituando alla cacciata di vecchi autocrati (cf. Compaoré in Burkina Faso, 2014), a successioni al potere pacifiche e regolari (Senegal, 2012; Benin, 2016; Ghana, 2017; Nigeria, 2015; Liberia, 2018), a dittature militari al tramonto (Guinea 2010).
In questo quadro complesso, si evidenzia che alla base della pastorale della Chiesa nella lotta alla corruzione c’è l’ecologia umana: «Gli atteggiamenti di corruzione possono essere adeguatamente compresi solo se sono visti come frutto di lacerazioni nell’ecologia umana. Se la famiglia non è messa in grado di svolgere il suo compito educativo… non è possibile garantire quella “ecologia umana” sulla cui mancanza alligna poi anche il fenomeno della corruzione» (Nota del pontificio Consiglio Giustizia e Pace, La lotta contro la corruzione, 2006 n.7). Perciò le chiese dell’Africa sono da sempre impegnate per la promozione umana, a volte in opposizione aperta a governi, gruppi radicali, milizie, criminalità organizzata, compagnie e interessi internazionali. Tale impegno spesso si concretizza nell’offerta di servizi essenziali in supplenza allo stato. Ciò avviene per l’istruzione, la sanità e la sicurezza alimentare. Il principio guida è sempre il medesimo: lo sviluppo umano integrale come via per rendere gli individui e le comunità libere dalla povertà e dai sistemi d’ingiustizia e di corruzione che le affliggono, causa delle migrazioni. In particolare le proposte puntano sulla formazione e aiuti concreti all’avvio ad attività produttive e un’attenzione specifica alle donne potenziali vittime esse stesse di tratta o che, non di rado, si trovano nelle condizioni di dover lasciare che i loro figli migrino verso la città e poi all’estero divenendo potenziali adepti di circuiti illegali. Un’azione, questa, che si coniuga con iniziative di sensibilizzazione e informazione sui rischi della migrazione illegale congiunta all’offerta di protezione delle vittime di tratta e di sviluppo socio-economico.
Mario Chiaro