Cosa mi aspetto dalla vita consacrata
2019/9, p. 17
Che cosa si attendono i giovani d’oggi dalla vita
consacrata. Lo descrive in questa testimonianza Daniela
Henríquez Mora, cilena, ex alunna dell’Istituto delle Figlie
di Maria Ausiliatrice. Ha conosciuto da vicino le suore e
ne ha riportato un meraviglioso ricordo.
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Testimoni
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Testimonianza
COSA MI ASPETTO
DALLA VITA C ONSCRATA
Che cosa si attendono i giovani d’oggi dalla vita consacrata. Lo descrive in questa testimonianza Daniela Henríquez Mora, cilena, ex alunna dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Ha conosciuto da vicino le suore e ne ha riportato un meraviglioso ricordo.
È difficile scrivere che cosa mi aspetto dalla vita religiosa perché tutti sappiamo che nella nostra società attuale sono molte le inquietudini, i bisogni e le risposte che noi giovani cerchiamo nelle diverse tappe che attraversiamo nel corso della nostra vita e innumerevoli i fattori che influiscono su di essa.
Sono docente di educazione fisica e fin da quando ero piccola ho avuto profonde relazioni con la vita religiosa. Nel 1998 ho avuto l’opportunità di entrare al Liceo Laura Vicuña della congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice in cui ho avuto il dono di conoscere “le suorine” che continuano ancor oggi ad accompagnare il mio cammino nella vita come amiche e sorelle.
Da quando sono entrata nel collegio e, col trascorrere degli anni ho potuto rendermi conto che le suore erano persone comuni e normali che giocavano, cantavano, suonavano strumenti, danzavano, ridevano, pregavano e ci mostravano un Gesù che era presente nella vita quotidiana, in quella di tutti i giorni; che nonostante l’età avanzata di molte, stavano sempre con noi nel cortile di ricreazione, ci dicevano una parola affettuosa e davano la loro vita per le bambine e le giovani, con coerenza; erano una testimonianza per noi non solo con le parole ma anche con il loro modo di comportarsi.
C’erano suore che lavoravano nella pastorale, che preparavano la chiesa, che si preoccupavano affinché il collegio fosse luminoso per le bambine, che ci attendevano ogni giorno, con la pioggia, il caldo o il freddo, alla porta del collegio per dirci “Buon giorno bambine, buona giornata”; e altre che stavano nel loro ufficio, sempre con la porta aperta per ricevere chiunque desiderasse parlare.
Per me, la presenza delle Figlie di Maria Ausiliatrice è stata nella mia vita un dono. La prima suore che mi prese per mano di sr. Gladys Farfán, una suora che dedicò la sua vita per le bambine e le giovani più bisognose, una suora che vedeva che le bambine avevano dei bisogni e dovevano essere protette, accompagnate, guidate così come Gesù il quale camminò assieme ai due pellegrini di Emmaus. Comportandosi come Gesù buon pastore che conosceva, custodiva e accompagnava le sue pecore, le suore ci dicevano una parola all’orecchio conquistando così il cuore e la fiducia di ciascuna di noi. Si stabiliva una relazione in cui Cristo era al centro.
Ci mostravano
un Dio Padre
Ci mostravano un Dio Padre che ci amava, custodiva, guidava sotto lo sguardo della nostra madre e maestra, Maria Ausiliatrice che un giorno ci prese per mano e ci condusse in questa casa salesiana per accompagnarci per tutta la vita.
In tutti quegli anni in collegio ho visto come le suore condividevano la vita con le bambine e le giovani, ci accompagnavano e offrivano una casa che ci accoglieva, dove regnava lo spirito di famiglia, una scuola che ci educava, un cortile dove ogni giorno ci incontravamo con le nostre amiche. Una chiesa che ci evangelizzava e che ci permetteva di incontrarci con Cristo.
A quel tempo le suore erano molto più numerose di oggi. Molte erano giovani e, altre più anziane, ma ciò non importava perché c’erano sempre quando uno ne aveva bisogno. Ci lasciavano essere, ci ascoltavano, ci incoraggiavano ad andare avanti, ci alzavano ogni volta che cadevamo nel nostro cammino e, soprattutto, cercavano che trovassimo la nostra vocazione, sempre chiamandoci al servizio, a dedicarsi al prossimo e al Regno. Ci aiutavano ad essere contente, ad essere sempre allegre e protagoniste attive della società, come “buone cristiane e buone cittadine”, guidandoci a una santità basata sul retto agire e a fare della quotidianità qualcosa di straordinario.
Oggi, come ex alunna della Congregazione e insegnante del liceo José Miguel Infante, vedo suore che compiono 70 anni di vita religiosa e che ultraottantenni continuano a dare ciò che possono alle bambine e alle giovani, assistendo alle ricreazioni, arrangiandosi come possono per dare una mano alle più piccole e offrire un consiglio alle più grandi, che si avvicinano con affetto per prendere congedo, condividendo con loro la propria vita per mezzo della testimonianza.
Donne con un cuore
immenso
Per me le religiose sono donne che possiedono un cuore immenso, con le virtù e i difetti di tutti, che donano la loro vita a Dio, rispondendo alla loro vocazione, dicendo il loro sì, come fece Maria. Donne che lottano giorno per giorno per dare il meglio di sé, accettando la loro missione con umiltà, con la certezza che il Signore le chiamò ciascuna per nome, per seguire l’invito di Dio a fare la sua volontà.
I tempi sono cambiati, è cambiata la società, i giovani sono cambiati e la nostra chiesa è cambiata. Oggi le vocazioni sono diminuite, i giovani si sono allontanati dalle parrocchie, dai gruppi giovanili e pastorali per la sfiducia, la poca credibilità e incoerenza che abbiamo visto in molti sacerdoti e religiosi/e negli ultimi anni.
La vita religiosa non è molto attraente per i giovani oggi, poiché ci troviamo davanti a tempi che ci addolorano, per esempio, quelli relativi agli abusi sessuali, di coscienza e di potere commessi da persone consacrate e che hanno grandemente colpito tutti i fedeli suscitando sfiducia tra i giovani.
Abbiamo visto anche che i consacrati hanno dovuto assumere altri ruoli più amministrativi, per le poche vocazioni, così che sono sentiti più lontani, occupati solo negli uffici e in atti amministrativi. Molte volte bisogna prendere degli appuntamenti con i loro segretari/e per poter parlare con loro. In questo modo diventano degli sconosciuti per i giovani.
Davanti a questa realtà che avvertiamo oggi, desideriamo che i consacrati stiano in mezzo ai giovani che ci ascoltino, accolgano i problemi che oggi ci riguardano, con fraternità, accogliendo le nostre fragilità, virtù e potenzialità, allargando lo sguardo con carità, per poter mostrare che Cristo accoglie tutti.
Credo profondamente che coloro che vivono la vita religiosa abbiano il grande compito di aprire le porte, uscire dagli uffici, andare incontro ai giovani, accogliere gli emarginati, ascoltare con empatia, capire che i tempi sono cambiati, che molti sono i giovani che oggi hanno bisogno di essere accompagnati, che si rendano conto che i giovani sono chiamati ad essere promotori di cambiamento nella società, che desiderano essere protagonisti, che vogliono una nuova chiesa; ci attendiamo che abbiano fiducia in noi e che insieme possiamo lavorare in corresponsabilità, giovani, laici e consacrati, dandoci fiducia, sostegno, tolleranza e rispetto per le nostre differenze e i nostri ideali, accompagnando i nostro processi e non solo lasciandoci ad essere spettatori nella costruzione della nostra nuova chiesa e società.
Vogliamo essere parte di un cambiamento, aver fiducia nei nostri sacerdoti e nelle nostre religiose e impegnarci nel Regno di Dio come giovani, dando il meglio di noi stessi e giungere a coloro che sono nel bisogno, non solo nelle cose materiali ma anche nel campo affettivo, portando il vangelo e annunciando Cristo.
Oggi
mi aspetto
Come giovane credente, oggi mi aspetto che attraverso la vita religiosa ci aiutino a trovare una via per avvicinarci maggiormente a Dio, che evangelizzino con il loro esempio, più che solo sulle cattedre, affinché così, insieme possiamo lavorare per la nostra salvezza e quella di molti giovani che sono pieni di vuoti e di interrogativi. Vogliamo vedere che i consacrati e le consacrate camminino con noi, non davanti o dietro, ma con noi, per costruire insieme la chiesa che desideriamo, in cui prevalga capacità di ascolto, fiducia, tolleranza e rispetto. Una chiesa in cui non esista l’abuso di potere né un’eccessiva gerarchizzazione, dove i consacrati non ci guardino dall’alto, ma siano persone che ci trattano come uguali.
Desideriamo che evangelizzino con l’esempio, che si impegnino con la gioventù e non ci chiudano le porte in faccia, ma ascoltino coloro che hanno bisogno di essere ascoltati, accolti e accompagnati, senza discriminare in base alle apparenze, ai modi di pensare, né occultamenti; che gli sbagli siano riconosciuti e venga chiesto perdono a tutti gli interessati e a tutti noi che facciamo parte della chiesa.
Abbiamo bisogno di consacrati che diano la loro vita per il Regno, che non abbiano paura dei cambiamenti, siano flessibili e distaccati. Che come i primi missionari che giunsero nel nostro paese, siano capaci di andare avanti, di scoprire l’ignoto, lasciando le loro zone di comfort e con il coraggio di andare oltre, facendo conoscere un Dio che ci ama profondamente, con cui siamo e che abbiamo. Che ci aiutino a capire che “non ci sono giovani cattivi, che ci sono giovani che sappiano di poter essere buoni e che qualcuno glielo possa dire”, come ha affermato san Giovanni Bosco.
I giovani di oggi hanno bisogno dei consacrati, e voi avete bisogno di noi giovani per riedificare la chiesa, la Chiesa di tutti, la Chiesa di Dio. Lavoriamo insieme, per poter stare più vicini a Gesù, aiutiamoci a camminare. Vogliamo servire, mobilitarci, stare davanti ed essere portatori del vangelo. I giovani hanno la forza, l’inquietudine e il coraggio. Vogliamo essere Cristo oggi e insieme, camminare a sua immagine e somiglianza. Aiutiamoci, come ci ha detto papa Francesco, alziamoci dalla poltrona, indossiamo i calzari, per essere in prima fila e uscire all’incontro con Dio per salvare le anime di coloro che hanno più bisogno di noi e che oggi attendono una chiesa con un volto giovane.
Daniela Henríquez Mora