Un anno volontario in convento
2019/9, p. 9
a conferenza dei superiori/e maggiori tedeschi ha
lanciato la proposta di vivere un “Anno volontario”
(Freiwillige Ordensjahr) in una comunità religiosa che
può essere di ordine contemplativo oppure anche apostolico.
L’iniziativa che ora prende avvio in Germania è
già sperimentata con successo da tre anni in Austria.
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Un “Anno volontario” in convento
La conferenza dei superiori/e maggiori tedeschi ha lanciato la proposta di vivere un “Anno volontario” (Freiwillige Ordensjahr) in una comunità religiosa che può essere di ordine contemplativo oppure anche apostolico. L’iniziativa che ora prende avvio in Germania è già sperimentata con successo da tre anni in Austria.
Di per sé non è una novità che le comunità religiose (o i conventi) accolgano degli ospiti per un certo periodo, generalmente breve, come avviene, per esempio, già da tempo con l’iniziativa abbastanza diffusa chiamata “Kloster auf Zeit” (Convento ad tempus), concentrata in genere in un fine settimana. La nuova esperienza invece – l’Anno volontario – , come spiega sr. Maria Stadler della Missionarie di Cristo (MC) di Monaco di Baviera, coordinatrice del progetto, è molto diversa. Si propone infatti di aprire le porte delle comunità a quelle persone che desiderano riflettere più a lungo sulla propria vita, trascorrendo a questo scopo del tempo in una comunità. “Si tratta , sottolinea sr. Stadler – di condividere con i fratelli e le sorelle della comunità la vita quotidiana in tutte le sue manifestazioni”.
L’ “Anno volontario” si rivolge a persone che senza la prospettiva di dovere o volere poi entrare nell’Istituto religioso desiderano vivere anche un anno intero in una comunità, o come minimo almeno tre mesi. Questo tempo offre loro l’opportunità di riflettere sugli aspetti decisivi della loro vita ed eventualmente anche a imprimere ad essa un nuovo orientamento. Per l’accettazione non ha importanza l’età, sono richiesti solo come minimo 18 anni.
In Austria, dove l’iniziativa dura ormai già da tre anni, l’esperienza è giudicata molto positiva, come afferma la coordinatrice sr. Ruth Pucher.
Finora, sottolinea sr. Ruth, bisognava che la persona interessata dichiarasse se era intenzionata ad entrare nell’Istituto religioso e a iniziare persino il postulantato, entrando così nella vita comune. Ma ciò significava già in partenza un fallimento. Invece con “l’Anno volontario” viene offerta l’opportunità di trascorrere del tempo in una comunità – con un certo obbligo, ma senza definitività: “in questo modo uno fa delle esperienze – e in base ad esse decide come continuare poi la sua vita”.
Il grado di obbligatorietà è ciò che distingue “l’Anno volontario” dall’altra iniziativa “Kloster auf Zeit”, già praticata da diversi anni. Quest’ultima è considerata come l’opportunità di prendersi una pausa nei propri impegni quotidiani – una specie di breve vacanza in convento. Ma coloro che vengono non hanno l’obbligo di partecipare ai tempi di preghiera, mentre nell’ “Anno volontario”, chi compie questa scelta, s’impegna a partecipare alla vita della comunità in tutte le sue particolarità, inclusa la levata di buon mattino per la celebrazione delle Lodi. In altre parole: ciò che è consueto in convento deve essere condiviso. Ci vuole perciò – afferma Maria Stadler, coordinatrice del progetto tedesco – una certa motivazione per fare questa scelta. Per questo, i richiedenti all’inizio dell’anno volontario devono firmare una specie di contratto dove dichiarano la loro intenzione.”
Il quadro organizzativo dell’”Anno volontario” in Germania, si ispira al modello austriaco che è già sufficientemente collaudato. Ciò significa che tutti gli interessati prendono contatto con la coordinatrice e concordano una specie di colloquio di impegno. In questo incontro, spiega Maria Stadler, entrambe le parti cercano di discernere quale comunità o luogo si adatta meglio alla condizione spirituale o alla situazione personale del potenziale candidato. Questi non deve essere necessariamente cattolico. “L’essenziale è l’interesse per la vita spirituale, il desiderio di pregare, vivere con fratelli e sorelle del luogo, e lavorare insieme ad essi”.
Una volta che un candidato e una comunità religiosa si sono trovati d’accordo, ci sarà un fine settimana di prova nella comunità identificata – solo allora verrà presa una decisione.
Sr. Ruth Pucher ha già una buona esperienza nella selezione dei candidati. Gestisce infatti quella che chiama umoristicamente una specie di “agenzia matrimoniale”. Ma se non si riesce a trovare un luogo, si cercherà di convincere i candidati per un altro che, a suo parere si adatta meglio a loro. “Considero mio dovere –afferma la Pucher – proteggere le comunità dall’inquietudine. A volte sconsiglia del tutto un “Anno volontario” – per esempio quando si tratta di persone che dopo un trauma soffrono di un forte stress psichico: “sono totalmente prese dai loro problemi e ciò per una comunità religiosa (monastero) sarebbe incompatibile.
In Austria finora già 30 uomini e donne hanno completato un “Anno volontario”. Vi hanno partecipato con motivazioni diverse giovani e anziani, studenti una volta compiuto l’esame di maturità e pensionati. Alcuni giovani, afferma Ruth Pucher, sono venuti chiedendo se potevano vivere in maniera stabile in una comunità. E sono stati proprio loro a dichiararsi contenti della possibilità di vivere un “anno volontario”. “Spesso però dicono che non avrebbero avuto il coraggio di iniziare un postulandato, ma che comunque un “Anno volontario” non può far male”.
Attualmente in Austria prendono parte all’ "Anno volontario” 26 comunità religiose femminili e 14 maschili. In Germania, le comunità che hanno dato il loro assenso all’iniziativa sono circa 30, tra cui tre comunità maschili.
In ambedue i Paesi, la maggior parte non sono comunità contemplative, ma di orientamento apostolico e sociale-caritativo.
Gli estranei sospettano che il progetto sia un mezzo per reclutare vocazioni, in un momento in cui il futuro degli Istituti appare precario. Ruth Pucher ammette che in Austria qualche comunità guarda all’“Anno volontario” in vista di possibili vocazioni. Ma lei mette in guardia dal coltivare simili intenzioni. Afferma: «Chiunque vive con loro e racconta poi l’esperienza vissuta fa già “pastorale vocazionale”. Le comunità rimangono così aperte al dialogo». Certamente non si può escludere un effetto indiretto sul numero degli ingressi.
Lo scopo dell’ “Anno volontario” non è comunque un aumento del numero degli ingressi. Piuttosto ci può essere uno scambio che torna a beneficio sia dei partecipanti sia delle comunità religiose. Soprattutto per queste ultime, ha affermato Ruth Pucher, il vantaggio è enorme. “All’improvviso le comunità hanno la possibilità di confrontarsi con altri temi, con persone e mentalità del tutto diverse, e questo fatto le rende più vive”.
Maria Stadler afferma che il fatto che le comunità saranno arricchite da questi impulsi dall’esterno, sta a indicare che l’iniziativa ha avuto successo. Ed è un successo anche quando le persone che hanno fatto l’esperienza attraverso la vita comune si avvicinano un po’ di più a quanto stanno cercando nella loro vita.
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