Sfide attuali della vita monastica
2019/7, p. 40
Anche la vita monastica è messa oggi a confronto con numerose sfide.
I cambiamenti avvenuti nel mondo e nella Chiesa la obbligano a un
ripensamento sulla linea di una duplice fedeltà: ai valori della grande
tradizione e ai segni dei tempi che lo Spirito Santo le indica.
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Riflessione della rivista Alliance Inter Monastères
SFIDE ATTUALI
DELLA VITA MONASTICA
Anche la vita monastica è messa oggi a confronto con numerose sfide. I cambiamenti avvenuti nel mondo e nella Chiesa la obbligano a un ripensamento sulla linea di una duplice fedeltà: ai valori della grande tradizione e ai segni dei tempi che lo Spirito Santo le indica.
Questo documento è frutto di discussioni informali tra i membri dell’équipe internazionale dell’Alliance Inter Monastères, diretta dal p. Jean-Pierre Longeat, suo presidente. Le riflessioni qui raccolte hanno lo scopo di incoraggiare il dialogo all’interno di ciascuna comunità, grande o piccola che sia, in tutti i continenti e nelle circostanze più diverse. Vengono affrontate le sfide con cui è confrontato oggi il monachesimo benedettino. …
L’amore di Dio è al cuore della vita monastica. Dio ci chiama perché ci ama, e noi gli rispondiamo con l’amore. È un amore che accende il cuore e ci permette di essere fedeli e di perseverare in monastero fino alla morte. L’amore di Dio ci ha riuniti e chiamati a formare una comunità in cui mettiamo in pratica i nostri voti benedettini, cercando Dio e donando la vita per i nostri fratelli. Quando si sa che Dio è amore, tutto diventa possibile per coloro che lo amano.
Per meglio discernere gli inviti che Dio oggi ci rivolge, possiamo articolare la nostra riflessione attorno a sette temi, non esclusivi l’uno dell’altro ma piuttosto interconnessi e intimamente legati. Ogni comunità potrà adattarli alla propria realtà e situazione.
Ci sarebbero altri soggetti da discutere, per esempio i valori monastici tradizionali e il loro posto nella vita monastica contemporanea. Questi sette temi riprendono tuttavia questo o quell’aspetto di questi problemi.
I benedettini e i cistercensi di tutto il mondo condividono le medesime osservazioni sulle sfide da assumere oggi. Il crollo della religione come istituzione, la crescita dell’individualismo e del relativismo hanno indotto numerose persone ad abbandonare ogni pratica religiosa. Nel mondo occidentale, il cristianesimo e il cattolicesimo ne sono stati particolarmente colpiti. Questo stato d’animo si espande oggi in tutti i continenti.
Un altro fenomeno è il declino rapido del tasso di natalità nel mondo intero. Le famiglie sono più piccole con meno bambini. La vita monastica tradizionale e la Chiesa cattolica in generale, fiorivano in un contesto di famiglie numerose, sia ricche che povere, che incoraggiavano i loro figli ad abbracciare lo stato clericale o religioso. Era anche un modo di elevarsi nella scala sociale o nella trafila educativa. Oggi l’educazione è offerta a tutti, in particolare alle donne, ed è diventato inutile entrare nella vita religiosa per abbracciare una carriera nel settore dell’insegnamento, della medicina, o di ogni altro settore professionale.
Lo sviluppo delle comunicazioni sociali dall’inizio del sec. XX e il progresso veloce della tecnologia dei media nel sec. XXI, come pure la rivoluzione sessuale in tutte le società – ad eccezione delle più tradizionali – fanno sì che i giovani si credano liberi dalle costrizioni del passato. La Chiesa e la parrocchia non sono più oggi al centro della vita delle comunità cristiane come lo erano una volta, che organizzavano attività come la musica, lo sport, il teatro, la danza, i gruppi di discussione. L’appartenenza a quella parrocchia o a quella chiesa non sembra più pertinente alla maggior parte della gente. Globalmente, il vivaio che donava le vocazioni si è dissolto. In molti paesi, le comunità stanno invecchiando, i loro effettivi diminuiscono; certe comunità sono persino scomparse. Indubbiamente esistono evidenti differenze tra i continenti e i paesi; certe comunità esperimentano una vita e un vigore nuovo. Ci sono certamente dei segni di speranza, a volte incanalati verso nuovi movimenti o nuove congregazioni religiose. Alcune sono di natura monastica, altre hanno integrato alcuni elementi della vita monastica.
Secondo il missiologo olandese Herber Kraemer, il problema non consiste nel fatto che la Chiesa vive in un tempo difficile. Il problema è che abbiamo dimenticato che la Chiesa ha sempre vissuto tempi difficili. È importante considerare le sfide del tempo presente come un dono di Dio per l’oggi. Non dobbiamo essere né costernati né scoraggiati davanti alla precarietà e alle fragilità che aggrediscono le nostre comunità; viviamo piuttosto nella fede in Gesù Cristo, nella forza dello Spirito.
Ogni epoca ha le sue sfide da affrontare; in ognuna di esse il Signore ripete alla sua Chiesa – e a noi che viviamo la vita monastica – ciò che diceva a Paolo: “Ti basta la mia grazia”. Non perdiamoci di coraggio, non avviliamoci! La vita monastica fin dalle origini è e rimarrà sempre un atto di fede nel Dio che ci chiama a cercarlo, seguendo la via del Vangelo secondo l’insegnamento di san Benedetto.
Tuttavia, esiste un contrasto sorprendente tra l’epoca attuale e quella che l’ha immediatamente preceduta. A ben vedere, il nostro tempo sembra ben posteriore al periodo segnato da una rivitalizzazione della vita monastica (dalla metà del sec. XX fino al concilio Vaticano II). Durante tutto questo periodo, la Chiesa cattolica, e il monachesimo in particolare, erano in armonia con dei movimenti sociali più ampi (neo-medioevalismo, risposte comuni all’industrializzazione, bisogno di trovare un senso alla vita dopo gli orrori delle due guerre mondiali). Il numero delle vocazioni fu maggiore come non lo fu mai dalle origini del monachesimo, quando “il deserto divenne una città”. Noi abbiamo improvvisamente perduto ogni sincronismo con la società. È un fatto: anche se la Chiesa è sempre stata confrontata con delle difficoltà, noi siamo passati senza transizione da un’epoca che aveva relativamente pochi problemi – il trionfalismo della Chiesa era forse il problema maggiore – ad un’epoca in cui i problemi sono numerosi e manifesti. La nostra percezione della crisi si concentra sul rapido declino del numero delle vocazioni. Noi lo prendiamo come una sfida personale perché abbiamo bisogno di vocazioni, non solo per mantenere le nostre istituzioni ma anche come ratificazione della nostra stessa scelta di vita. È un fenomeno naturale quello di considerare il passato recente come più ampio. Una prospettiva storica più ampia conferirebbe uno sguardo più conforme alla realtà, come anche una fiducia maggiore sul valore della nostra esistenza, anche se ciò non cancellerebbe alcun problema attuale. Non è forse giunto il tempo di concentrarsi sulla qualità della nostra vita comunitaria?
Comunità
Dio ha creato gli esseri umani per la vita famigliare e comunitaria, per vivere e lavorare insieme e per continuare l’opera da lui iniziata. Chiamò Israele per farne un suo popolo e stabilì con esso un’alleanza. Gesù chiamò i suoi discepoli ad essere il nuovo Israele di Dio, la Chiesa. I discepoli di Gesù dovevano essere pietre vive, costituendo il Corpo di Cristo. La prima comunità cristiana di Gerusalemme è il modello della vita monastica: si metteva tutto in comune e i discepoli erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli (didaché), alla comunione (koinonia), nella frazione del pane e nelle preghiere (At 2,42). La vita comunitaria è centrale per la Chiesa, quindi anche per la tradizione monastica. San Benedetto tratta della vita cenobitica, parola tradizionale per presentare il monastero come un coenobium, descrivendo precisamente il tipo di vita di coloro che vi vivono. Mentre molti valori e costumi della vita di famiglia e la comunità tradizionale sono andati persi nella società di oggi – scomparendo anche nei paesi e nelle religioni più tradizionali – si avverte un forte desiderio di riscoprire questa realtà. Possiamo trovarlo nelle nostre comunità monastiche? C'è un reale pericolo di importare nelle nostre comunità degli ideali e comportamenti che sono diventati del tutto comuni nel mondo esterno. È molto facile diventare un gruppo di persone che vivono sotto lo stesso tetto, senza condividere lo stesso stile di vita e i medesimi ideali. È urgente nutrire e costruire una vera comunità nei nostri monasteri, approfondendo la realtà di una autentica comunione. La conversatio morum non può svilupparsi che in una comunità autentica, cioè là dove c’è stabilità. Dobbiamo imparare l’importanza dell’ascolto, del rispetto, dell’accoglienza, della compassione e dell’ amore casto verso i nostri fratelli e le nostre sorelle come anche verso i nostri ospiti e vicini. È importante credere che a partire dalla nostra professione, la comunità è diventata la nostra vera famiglia; i legami di sangue sono passati in secondo piano.
Il vero problema è di sapere come distinguere tra un gruppo di individui e una vera comunità. Dove sta l'equilibrio tra l'individuo e la collettività che offre una comprensione più chiara delle nostre aspettative e aspirazioni? Quali che siano le difficoltà che una comunità ha vissuto, è di vitale importanza testimoniare, ai giovani e potenziali candidati, la speranza e la profonda gioia intrinseche alla vita monastica.La clericalizzazione è un problema particolare che riguarda le comunità maschili; i monaci diventano chierici e alcuni candidati entrano per diventare preti anziché monaci. Questa situazione si aggrava ulteriormente quando il monastero mette l’accento più sulla formazione sacerdotale che su quella monastica.
2. Leadership
La leadership è oggi uno dei settori più difficili per la vita religiosa; tuttavia è indispensabile per lo sviluppo e il mantenimento di una bella vita comunitaria nei nostri monasteri. Molte comunità oggi fanno fatica ad eleggere e avere un buon superiore. Ma se una comunità non è in grado di produrre il suo superiore, è una comunità vitale?
San Benedetto ci ha detto che l’abate tiene il posto di Cristo in comunità, che insegna con la parola e con l'esempio, è l'interprete della Regola e del Vangelo per la sua comunità. Egli accompagnerà e incoraggerà la comunità; sarà sia un padre che una madre, un fratello maggiore e un compagno nel cammino della vita. Non avrà dei favoriti, tratterà ogni membro della comunità con giustizia e moderazione, cercando sempre il meglio per lui. Un abate deve sapere condividere la sua autorità con gli altri monaci e guidare un’équipe. Deve essere in grado di lavorare con gli altri membri della sua comunità, con il suo secondo, il priore, con il maestro dei novizi o formatore dei novizi, con l'economo o l’amministratore, con il fratello infermiere, con il fratello ospitante, con il fratello portinaio e gli altri ufficiali. Ciò che Benedetto dice dell'abate vale per ogni superiore monastico. Noi dobbiamo sforzarci di formare e preparare i futuri leader della comunità in tutti gli ambiti della vita comune. I monasteri, le congregazioni e gli ordini devono dedicarvi tutte le risorse necessarie. Tutti i monaci devono ricevere una solida formazione. Se non abbiamo buoni leader, ben preparati per il loro compito, le nostre comunità falliranno e collasseranno. Allo stesso tempo, le comunità devono imparare ad aiutare e a sostenere il loro superiore, riconoscendo che siamo tutti fragili e che tutti abbiamo bisogno dell’affetto dei nostri fratelli. È importante eleggere un superiore che abbia la necessaria saggezza e profondità spirituale.C'è indubbiamente un equilibrio da trovare tra l'individuazione e la preparazione dei futuri leader, e la necessità che una comunità metta in atto un vero e proprio processo elettorale in modo da essere in grado di eleggere il proprio leader in tutta libertà al momento opportuno. Ciò significa che tutti i fratelli in formazione e tutti i membri della comunità devono essere considerati come possibili futuri superiori. Un tale uomo, una tale donna in particolare, non potranno in alcun modo essere designati a succedere al superiore.
3. Formazione
Una buona guida e dei formatori ben preparati non sono sufficienti per garantire una formazione adeguata in monastero. Per il suo stile di vita, la correttezza del suo comportamento, il suo impegno nell’ideale di vita monastica, e soprattutto la sua preghiera, la comunità nel suo insieme è per natura il primo formatore. È anche importante sottolineare che tutti dopo il nostro ingresso nella vita monastica fino alla nostra morte, siamo responsabili della nostra formazione personale, mediante il nostro modo di dedicarsi alla preghiera, alla lettura, allo studio, al lavoro e alla vita comunitaria. Nessuna comunità potrà sopravvivere senza un serio programma di formazione, sostenuto dallo sforzo sincero di ciascun membro di vivere fedelmente la propria vocazione cenobitica. Il cattivo esempio di alcuni può distruggere la coesione di tutto un gruppo. Non dimentichiamo che un monastero è una scuola di servizio del Signore e un centro di evangelizzazione, sia per i suoi membri che per i suoi ospiti e i vicini.È necessario un processo di discernimento pratico e viabile in ogni fase della formazione monastica, dal primo contatto del candidato fino alla sua professione solenne – e anche oltre. Forse non siamo abbastanza accurati nel discernimento dei candidati. È necessario avere una fedina penale e una sorta di valutazione psicologica delle capacità del candidato prima dell'ingresso. È anche necessario stabilire una politica di condotta molto rigorosa per evitare la ripetizione di scandali del passato e attuali. È necessario preparare i candidati a vivere nel celibato e aiutarli a praticare la castità cristiana. Dobbiamo eccellere nella pratica del Vangelo. Cristo solo deve essere al centro della nostra vita. I candidati devono essere iniziati all’arte di vita monastica e imparare a costruire una comunità in uno spirito di interdipendenza tra i suoi membri. Devono gradualmente diventare responsabili della loro nuova comunità o famiglia monastica.
Ogni candidato, maschio o femmina, dovrà intraprendere un solido programma di studi filosofici e teologici, sia che si prepari oppure no al sacerdozio. Questo si aggiunge ad ogni altro studio superiore ritenuto auspicabile, proposto al candidato in modo che possa partecipare pienamente al lavoro o al ministero della comunità. Non si guarderà alla spesa e la priorità sarà data all'investimento finanziario in questo settore. Ma tutto ciò ha senso solo se i membri in formazione sono permeabili all'etica del silenzio nella vita monastica; la preghiera contemplativa non può fiorire che in un clima di silenzio. I candidati provenienti da un mondo rumoroso e ingombrato di gadget dovranno scoprire il valore e la bellezza del silenzio, della solitudine con Dio e dedicare ogni giorno tempi sostanziosi alla preghiera e alla lectio. L'esempio dato dall’insieme della comunità è della massima importanza a questo riguardo.
4. Vocazione
Nessuna seria vocazione è facile da abbracciare, che si tratti del matrimonio, del celibato, della vita religiosa, del sacerdozio o qualsiasi altra forma di vocazione. La storia della salvezza è una storia di vocazione. Dio chiama la creazione all'esistenza. Poi chiama il genere umano a conoscerlo, amarlo e servirlo, costituendo famiglie e comunità di vita. Chiama i patriarchi, i giudici, i re e i profeti per formare e guidare una nazione, e chiama Israele ad essere suo popolo, il popolo di Dio. Gesù continua l'opera del Padre; chiama a sé dei discepoli, sempre sotto l'azione dello Spirito Santo. L'Antico e il Nuovo Testamento ripetono costantemente questo stesso messaggio: "Non abbiate paura, io sono con voi". Dio non si accontenta di chiamare degli uomini e delle donne alla vita monastica; cammina anche con loro in questa via monastica, prendendo il Vangelo come guida. Oggi parliamo di una "crisi delle vocazioni"; si tratta di una crisi sul piano umano, non su quello divino. Dio non ha smesso improvvisamente di chiamare alcune persone a una vita di obbedienza, stabilità e di conversatio morum, una vita cenobitica che conduce alla carità perfetta. Ma le persone non sono più capaci o desiderose di ascoltare la chiamata di Dio, sia perché hanno paura, o hanno altri centri di interesse, o anche perché mancano di fede. Ma la fede è spesso il risultato della chiamata di Dio. Certe comunità monastiche, specialmente nell'emisfero settentrionale, non vogliono o non possono venire in aiuto alle persone che cercano di discernere la chiamata di Dio. Sono convinte che non ci sono più vocazioni e si sono lasciate andare su un binario morto dove stanno aspettando la fine. Bisogna insegnare alle comunità ad assumersi la loro responsabilità nel suscitare e incoraggiare le vocazioni.
Oggi è dovere delle comunità monastiche aiutare e accompagnare le persone, giovani e meno giovani, a discernere, a scoprire e sviluppare la propria vocazione specifica, qualunque sia. Ogni comunità deve mettere in atto un programma vocazionale serio e ben organizzato. Può essere forse un nuovo ministero in seno al mondo monastico, ma dobbiamo essere reattivi e proporre la vita monastica come un genere di vita attraente e desiderabile, mostrando chiaramente che la ricerca di Dio rimane anche oggi una delle proposte più attraenti nella vita. Questo forse non è il tradizionale modo monastico di incontrare e incoraggiare i candidati, ma dobbiamo accettare che il mondo è radicalmente cambiato e continua a cambiare ad un ritmo estremamente veloce. Dobbiamo diventare esperti di comunicazione sui social network, per essere conosciuti e accessibili, aperti al dialogo con chiunque consideri la possibilità di una vocazione monastica. Questa affermazione è valida sia per il mondo in via di sviluppo sia per altrove. Vale la pena ricordare l'esperienza interessante praticata in alcune comunità: invitare le persone a vivere assieme alla comunità per un periodo determinato, che potrà poi essere prolungato e in alcuni casi portare a un impegno definitivo. Abbiamo il dovere di aprire i nostri monasteri a coloro che cercano di conoscere e servire Dio nella vita monastica. La strada sarà forse lunga, perché alcune persone che bussano alle nostre porte non sono cattoliche, a volte addirittura nemmeno cristiane.
Lavoro
Il lavoro è parte integrante della vita monastica. In realtà, tutta la nostra vita è opera di Dio, Opus Dei. San Benedetto non solo ha dichiarato: "L'ozio è il nemico dell'anima" ossia "Saranno davvero dei monaci se vivono del lavoro delle loro mani". Organizza anche l’impiego del tempo monastico assegnando molto spazio al lavoro nel corso della giornata. Concretamente, organizza l'Ufficio divino, in particolare le Ore minori, in modo che i monaci possano godere di una giornata di lavoro ininterrotta. Benedetto è il primo legislatore monastico a prendere sul serio il lavoro e integrarlo nell’impiego del tempo. Prevede persino che i monaci manchino all'Ufficio, trattenuti dal duro lavoro agricolo richiesto in certe stagioni. Bisogna rispettare l'equilibrio tra preghiera, lavoro e riposo. Dobbiamo riconoscere il valore del lavoro nella costruzione e nell'unificazione della comunità, come pure la necessità di generare delle entrate per coprire le spese e permettere degli investimenti per il futuro. La ricerca di Dio deve essere al centro di tutte le nostre attività e l’amore fraterno il nostro scopo. Per sant’Agostino, “la vita monastica è un’opera in sé”; è esatto ma ciò non può in alcun caso servire di scusa per dispensarsi dal lavorare tutta la giornata. Il capitolo 4 della Regola, “gli strumenti delle buone opere”, potrà servire di orientamento in queste materie.
Nel mondo intero, la vita cambia rapidamente e in maniera drastica. La meccanizzazione, l’automazione e la digitalizzazione hanno un profondo impatto sul lavoro cosa che, a sua volta, ha un impatto sul lavoro nella vita monastica. Gran parte dei nostri lavori svolti in passato non è più attuabile oggi sia nei settori dell’agricoltura, dell’educazione e sia altrove. Molte comunità trovano difficoltà a sostituire le loro attività tradizionali con altri lavori, cercando di coinvolgere in essi la maggior parte della comunità. Un lavoro comune conferisce una grande coesione a una comunità monastica, ma oggi è diventato raro. Tuttavia i monaci hanno delle competenze e dei talenti diversi e nei monasteri ci sono sempre stati degli artigiani e dei laboratori diversi. L’importante è che ogni membro della comunità lavori duramente e bene. Tuttavia ci può essere un rischio di darsi a dei passatempi o a sprecare del denaro nella sperimentazione di progetti irrealistici. Alle persone in formazione le comunità inculcheranno il senso di responsabilità nel lavoro, e anche la ricerca di un lavoro finanziariamente redditizio, conservando nello stesso tempo la sua dimensione creativa e spirituale, inerente in linea di principio ad ogni lavoro. Inoltre, come insegna san Benedetto, la responsabilità deve essere condivisa quanto ai beni del monastero. Tutti dovrebbero prendere parte ai compiti subalterni che assicurano un buon funzionamento del monastero.
Se è vero che i monasteri hanno sempre beneficiato di doni e di lasciti, non possiamo considerarli come una fonte principale di reddito. I monaci devono assoggettarsi a un lavoro assiduo per assicurare un reddito al monastero e per rafforzare la propria dignità e la stima di sé. Obbligarsi e impegnarsi nel lavoro suscita un senso di responsabilità e serietà della vita, come anche uno spirito di distacco e di servizio.
Stabilità economica e finanziaria
Viviamo in un mondo molto diverso da quello di san Benedetto. Tuttavia, per lui, i monaci dovevano lavorare per guadagnarsi da vivere, senza dipendere dalle donazioni dei ricchi e potenti. Il monastero doveva provvedere ai propri bisogni e venire in aiuto ai poveri e bisognosi. Una comunità monastica sarà vitale solo se, oltre ad avere i propri responsabili e formatori, ha anche dei membri in grado di organizzare, sostenere e amministrare i beni della comunità. La stabilità finanziaria è essenziale per il benessere di una comunità monastica. Non solo sarà necessario sviluppare un lavoro monastico per fornire un reddito sufficiente a coprire i bisogni quotidiani della comunità, ma bisognerà anche mettere da parte denaro per le spese urgenti e gli investimenti. Tra le urgenze si potranno includere le spese sanitarie non pianificate, sebbene sia preferibile avere un'assicurazione sanitaria per tutti i membri della comunità. Una situazione di urgenza può essere anche una calamità naturale, poiché i danni non sono coperti da polizze di assicurazione ordinarie. Mentre lo stile di vita della comunità sarà sempre improntato alla frugalità e austerità, inclusa naturalmente la fede nella divina Provvidenza, sarà comunque prudente avere riserve per premunirsi contro i tempi difficili, come anche contribuire con entrate complementari alla comunità. In considerazione dei malati cronici e dei più anziani delle nostre comunità, è bene provvedere una pensione supplementare alle entrate ordinarie del monastero, per il tempo in cui gli anziani non sono più in grado di lavorare. Un aspetto importante della stabilità finanziaria è l'obbligo di rispettare nel lavoro il quadro giuridico e finanziario del paese in cui si vive. Si cercherà sempre di essere giusti verso i dipendenti assunti in monastero. Saremo giudicati sul modo con cui abbiamo trattato i nostri lavoratori. È importante che ogni comunità disponga di un comitato finanziario o di un gruppo di fiduciari, in conformità con le esigenze della legge, e che i conti siano tenuti ben in ordine e controllati da professionisti. La trasparenza in materia finanziaria è essenziale. Come nel monastero, tutto è comune a tutti, secondo la natura stessa della vita cenobitica, e sradicata ogni forma di proprietà privata, allo stesso modo il bene comune dipende dalla responsabilità di tutti, in tutto ciò che riguarda il monastero e la vita dei suoi membri.
Per una comunità monastica, l'accumulo delle ricchezze è malsano. Non dobbiamo confondere sicurezza e superfluo. Gli edifici monastici, anche se spaziosi, appropriati all’elevazione dello spirito non dovrebbero mai ostentare opulenza o essere pieni di cose inutili. I monaci dovrebbero avere a loro disposizione ciò che è necessario per vivere la loro vita monastica, vale a dire il silenzio, la solitudine, dei libri e una biblioteca, e nulla più. Una comunità non dovrebbe mai distinguersi dal vicinato con uno stile di vita non conforme alle persone in mezzo a cui vive e lavora. Nostro dovere è testimoniare la povertà di Cristo.
Bisognerebbe affrontare apertamente e onestamente la seguente questione: in alcune società, i membri della famiglia, gli uomini in particolare, devono contribuire a provvedere ai loro genitori, fratelli e sorelle, soprattutto quando sono anziani o in cattive condizioni di salute. Questa usanza non ha posto nella vita monastica. Il problema deve essere affrontato in modo trasparente.
7. Il posto del monastero nella Chiesa locale e nella società
L'ospitalità è centrale nell’esistenza del popolo di Israele e nella vita della Chiesa da quando Abramo e Sara hanno accolto degli angeli – considerati dai Padri come la Santa Trinità. L'ospitalità è il cuore della vita monastica. San Benedetto dichiara: "Che gli ospiti non manchino mai in monastero". Egli prescrive alla comunità di aiutare e sostenere i poveri del vicinato e di ricevere i pellegrini venuti da lontano. Nel Medioevo, questo semplice atto di carità aveva indotto a costruire grandi locande, che accoglievano centinaia di pellegrini e ospiti. Gli ospedali sono stati creati per curare i malati e i morenti. Sono state fondate scuole di ogni genere dove veniva fornito un insegnamento sulla filosofia e teologia, la logica e la matematica, la musica, l’arte e l’agronomia. Oggi, ciò che la maggior parte delle comunità può offrire al resto del mondo è per sua natura più modesto e umile; non è tuttavia trascurabile. Molti operano sul piano del dialogo ecumenico e del dialogo interreligioso. In un mondo pervaso di rumore e di stress, i monasteri sono delle oasi di silenzio e di pace, luoghi di preghiera e di riconciliazione con Dio. Non dobbiamo mai sottovalutare la forza dell'amore di Dio che tocca il cuore delle persone quando visitano i nostri monasteri, per quanto piccoli o insignificanti possano essere. I monasteri sono al cuore della Chiesa locale; offrono testimonianza profetica della presenza e della realtà di Dio, in un mondo sempre più secolarizzato. L'apertura di una comunità monastica alla Chiesa locale e alla società in generale può assumere molte forme. I monasteri hanno sempre risposto ai bisogni locali. Tutti i monasteri hanno dei laici oblati o associati. Alcuni hanno creato delle associazioni di amici e benefattori, persone che condividono più da vicino la vita della comunità sul piano materiale e spirituale. Sono di grande sostegno per le nostre comunità. Oggi ci si interessa alla regola di san Benedetto, alla vita comune, ai diversi modi di pregare nelle nostre comunità, al canto gregoriano, ecc. Nella mescolanza culturale contemporanea, alcune profonde seti spirituali rimangono insoddisfatte. Le comunità monastiche di tradizione benedettina e cistercense hanno molto da offrire ad un mondo assetato di Dio e di valori spirituali. Non dovremmo sottovalutare la missione che Dio ci affida oggi. Per san Benedetto, tutte le cose necessarie per l'organizzazione della vita in comunità devono trovarsi entro il recinto del monastero. Egli chiede che i monaci che intraprendono un viaggio non riferiscano ai loro fratelli, al loro ritorno, ciò che hanno visto o sentito fuori. La realtà del mondo monastico oggi è molto diversa. Nell'era digitale, con la rapida evoluzione di internet, telefoni cellulari, tablet, computer, nell'era dei media, è estremamente difficile stabilire il confine, e ancora più difficile determinare una separazione, tra contatti necessari e contatti inutili con il "mondo". Il mondo ha invaso il monastero come mai prima. All’improvviso, a meno di essere molto disciplinati, corriamo il pericolo di vedere inghiottiti il nostro silenzio, la nostra solitudine, la nostra pace e il nostro raccoglimento. Si potrebbe dire che la piazza del mercato è entrata nel chiostro. Quando le persone abituate a vivere online entrano nella vita monastica, molte comunità non sono preparate al confronto con questo nuovo fenomeno. Le comunità monastiche dovranno cercare di adattarsi, per non rifiutare ciò che è utile e buono. In monastero, lo studio e il lavoro dovrebbero essere la norma, non il divertimento. Ora questi strumenti, usati con criterio, possono aiutare all’edificazione della vita comune e dimostrarsi un vantaggio inestimabile nella formazione monastica e nei compiti amministrativi. I nostri orari monastici devono riservare tempi generosi di silenzio per dedicarsi alla lectio, alla preghiera personale e allo studio. I momenti di ricreazione non devono essere impiegati per guardare la televisione, ma essere riservati alle conversazioni e agli scambi costruttivi tra i membri della comunità. Tutti gli aspetti della nostra vita devono edificare la comunità ed esprimere la profonda comunione tra i suoi membri, quale marchio di una vita monastica sana.
Conclusione
Ci sarebbero naturalmente altre aree della vita monastica e altre sfide da esaminare più da vicino. Alcune sfide sono specifiche del nostro tempo, altre riappaiono di volta in volta, altre ancora sono tuttora presenti, sottolineate già da san Benedetto. Ogni comunità o congregazione dovrà elaborare il proprio programma di discussione. Noi speriamo che i punti sollevati dall'AIM possano essere utili come incoraggiamento alla riflessione, alle discussioni e ai processi decisionali.
a cura di Antonio Dall’Osto