Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2019/7, p. 37
Siria:Continua la strage degli innocenti Eritrea: Il governo chiude gli ospedali cattolici India: Allarme tra le minoranze religiose

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Testimoni
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Siria
Continua la strage degli innocenti
“La Siria oggi è come il viandante picchiato e derubato della parabola del Buon Samaritano. La Siria assalita dai ladroni – i cui nomi e cognomi sono stati menzionati nella comunità internazionale – lasciata mezza morta sul ciglio della strada e soccorsa dai buoni samaritani, un certo numero dei quali aggrediti e uccisi dagli stessi ladroni”. Ne ha parlato a Roma il nunzio apostolico, il card. Mario Zenari, come riferisce l’agenzia Sir (31 maggio 2019), presentando a Roma la seconda fase del suo progetto "Ospedali aperti", realizzato con Avsi. Obiettivo del progetto è assicurare l’accesso gratuito alle cure mediche ai siriani poveri, attraverso il potenziamento di tre ospedali non profit: l’Ospedale Italiano e l’Ospedale Francese a Damasco, e l’Ospedale St. Louis ad Aleppo. "Ospedali Aperti" ha fornito, dal novembre 2017 ad aprile 2019, oltre 20.789 cure gratuite a siriani poveri e punta ad arrivare a 50mila entro i prossimi due anni.
Si combatte nella zona di Idlib, dove si fronteggiano l’esercito di Assad, oppositori armati e jihadisti del fronte Tahrir al-Sham. Le Nazioni Unite riferiscono di centinaia tra morti e feriti e oltre 200mila sfollati interni solo nelle ultime settimane, per una emergenza umanitaria che sembra non avere mai fine. “I segnali che arrivano dai responsabili delle varie agenzie delle Nazioni Unite non sono incoraggianti, conferma il card. Zenari. Stiamo assistendo dalla fine di aprile ad una escalation militare il cui prezzo viene pagato in particolare dai civili, dalle fasce più deboli della popolazione, donne e bambini in testa. Il costo pagato dai bambini è enorme al punto che possiamo definire questa guerra come la strage degli innocenti, con tanti morti, feriti, mutilati, traumatizzati. Come comunità internazionale abbiamo tutti quanti una grande responsabilità di fronte a questo male inflitto soprattutto ai più piccoli e alle donne”. Per l’Unicef dall’inizio dell’anno in Siria almeno 134 bambini sono morti e più di 125mila sfollati. Circa 30 ospedali sono stati attaccati, 43mila bambini non possono frequentare le scuole e nella zona di Idlib gli esami di fine anno posticipati.
Mentre si combatte si fanno stime sulla cifra necessaria a ricostruire il Paese, si parla di 600 miliardi di dollari. Chi pagherà questo conto?Sono cifre da capogiro. I Paesi che hanno dimostrato una certa disponibilità sarebbero quelli occidentali con l’Ue in testa che pongono alcune condizioni come l’avvio di un processo democratico. Tuttavia credo che strutture fondamentali quali scuole e ospedali, il 54% di questi ultimi andati distrutti, vadano subito ricostruite prima di porre o vedere certe condizioni realizzate.
Chi pagherà i costi della ricostruzione forse acquisirà anche una parte della sovranità della Siria?È tutto da vedere. Ribadisco: alcune strutture fondamentali, come ospedali e scuole, vanno rimesse in piedi indipendentemente da certe mire.
Alla ricostruzione materiale del Paese dovrà necessariamente corrispondere quella sociale e morale della popolazione. Quale delle due sarà più difficile da raggiungere?Le distruzioni che non si vedono sono più gravi di quelle che si hanno davanti agli occhi. La guerra ha intaccato e distrutto il tessuto sociale. Ricostruirlo non è la stessa cosa che riedificare un ponte o un palazzo. Ci vorranno anni e forse generazioni per guarire ciò che l’occhio umano ora non vede.
La Siria potrà mai tornare ad essere quel mosaico di etnie e fedi che era prima della guerra?Non sarei del tutto pessimista. Il mosaico siriano ha subito danni e questo terremoto ha fatto scricchiolare e aprire delle fessure tra le tessere di questo mosaico. Ora bisogna riparare i danni e sta soprattutto ai leader religiosi fare queste profonde riparazioni spirituali nel tessuto sociale.
Eritrea
Il governo chiude gli ospedali cattolici
Il governo dell’Eritrea ha ordinato alla Chiesa cattolica di consegnare allo Stato tutti i centri sanitari gestiti dalla Chiesa, firmando un documento per il passaggio di proprietà. Lo scrive Paolo M. Alfieri sabato 15 giugno 2019, in un servizio all'Agenzia Fides. Di fronte al rifiuto, il governo ha chiuso i centri sanitari, sgomberando il personale. «Sembra di essere tornati al 1982 quando il regime del terrore di Menghistu Hailemariam confiscava molti beni della Chiesa cattolica, compresi conventi, scuole, centri medici, con l’uso della forza bruta – sottolinea padre Mussie Zerai, sacerdote eritreo, presidente dell’Agenzia Habeshia . Anche l’attuale regime si è presentato nei conventi di suore dove si trovavano molti di questi centri medici, ha messo sigilli, buttando fuori il personale, pazienti e terrorizzando religiosi e religiose che cercavano di difendere il loro servizio offerto al popolo».
Una legge del 1995, mai entrata in vigore, prevedeva che tutte le strutture sociali (scuole, centri medici) fossero gestiti dall’autorità pubblica. Poi tra il 2017 e il 2018 sono state chiuse otto cliniche cattoliche. A essere colpiti sono i più poveri, come gli afar, popolazione nomade della Dancalia. Lo scorso anno sono stati privati dell’unico centro medico della regione gestito con coraggio e determinazione da alcune suore Orsoline.
Osservatori interpretano la decisione di chiudere le strutture mediche come una sorta di ritorsione del regime di Isaias Afewerki nei confronti della Chiesa cattolica. Ad aprile scorso, i vescovi cattolici, sulla scia dell’accordo di pace firmato con l’Etiopia, avevano chiesto «un processo di riconciliazione nazionale che garantisse giustizia sociale» per tutti, dopo anni di rigida autarchia. Queste parole non sono però state ben accolte dai vertici del regime.
La Chiesa cattolica gestisce in Eritrea circa 40 tra ospedali e centri sanitari, tutti a servizio della popolazione, senza alcuna distinzione di etnia o religione, che forniscono cure quasi sempre gratuite. «Nel manifestare la nostra profonda amarezza per quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi in questi giorni, dichiariamo che non consegneremo di nostra volontà e disponibilità le nostre istituzioni e quanto fa parte della loro dotazione – hanno scritto i vescovi locali –. Privare la Chiesa di queste e simili istituzioni vuol dire intaccare la sua stessa esistenza, ed esporre alla persecuzione i suoi servitori, i religiosi, le religiose, i laici».
India
Allarme tra le minoranze religiose
La vittoria del partito governativo nazionalista indù BJP nelle elezioni parlamentari in India, lo scorso maggio ha suscitato ansia e preoccupazione tra le minoranze religiose. Cristiani e musulmani temono di continuare ad essere esposti alla discriminazione. Lo ha affermato l’istituzione caritativa Chiesa nel bisogno. Con il successo elettorale molte persone sono state poste in uno stato di allarme, afferma un funzionario dell’organizzazione, il quale per motivi di sicurezza non ha voluto comunicare il suo nome.
La ragione delle violenze contro i cristiani è dovuta all’impegno della Chiesa nel campo sociale. La Chiesa infatti sostiene soprattutto gli strati più bassi della popolazione, cosa che non trova dappertutto una risposta positiva: “Il nazionalismo induista non vuole infatti nessun cambiamento della struttura sociale”.
In India ci sono circa 30 milioni di cristiani, ossia il 2,3% della popolazione. La percentuale dei musulmani è pari al 17,2%. Da diversi anni sono in aumento le aggressioni contro le minoranze religiose. Secondo il rapporto di Religious Freedom Worldwide della “Chiesa nel bisogno”, nel 2016 e 2017 ci sono stati almeno 197 morti e oltre 4.000 feriti, vittime di questa violenza. “Gli ultimi cinque anni sono stati anni di paura e ci domandiamo cosa succederà in futuro”. Anche in termini di economia, la vittoria elettorale del BJP rappresenta un problema per il fatto che il progresso economico non raggiunge tutti gli strati della popolazione; soltanto i ricchi sono coloro che ne traggono benefici – gli altri sono trascurati.
Il partito BJP guidato dal primo ministro Narendra Modi è al potere dal 2104. Nelle elezioni ha ottenuto la maggioranza assoluta. Modi rimarrà perciò in carica per altri cinque anni. Tuttavia i media e gli osservatori sospettano che i sistemi di voto elettronico siano stati manipolati e che i voti siano stati comperati.
Il segretario dell’ufficio per i dalit della conferenza episcopale ha invitato il primo ministro Modi “a riconoscere i diritti dei dalit cristiani, cominciando con quello alla libertà religiosa”. Inoltre, secondo quanto ha scritto l’agenzia vaticana Fides, il segretario ha chiesto che Modi rinunci nel suo programma al nazionalismo induista anche perché un programma del genere polarizzerebbe la nazione su base religiosa.
I cristiani e le minoranze religiose hanno tutte le ragioni di temere per questa rielezione del presidente Narendra Modi. Sotto il suo governo, dopo la sua vittoria del 2014, l’India è passata dal 28° al 10° posto dei paesi con il più alto indice di persecuzione anticristiana. In otto stati federali, secondo i dati di Open Doors, ci sono delle leggi anti-conversione contro le religioni non induiste.
Un portavoce dell’organizzazione ha affermato: "Dal 2014 gli estremisti indù hanno creato un clima di odio e di intolleranza contro le minoranze religiose in India, soprattutto in relazione alla comunità cristiana e musulmana".E l’organizzazione “Cristiani nel bisogno” ha registrato nel primo trimestre del 2019, quindi nell’imminenza delle elezioni, 216 aggressioni anticristiane con due omicidi, 11 tentati omicidi e 45 aggressioni contro i cristiani provocando gravi danni e atti di violenza durante 18 celebrazioni liturgiche frequentate da centinaia di fedeli.
Ma oltre all’aumento costante delle violenze anticristiane, dal 2014 le minoranze religiose sono oggetto anche di campagne a favore di conversioni forzate all’induismo.
Di fronte a una situazione che ci si augura non abbia a ripetersi, il responsabile di Open Doors della Germania, Markus Rode, ha chiesto al nuovo governo “di fermare immediatamente la diffusa persecuzione dei cristiani e delle minoranze religiose”. Ha aggiunto che deve cessare l'espulsione dei cristiani dai loro villaggi e l’oppressione in atto di un gran numero di dalit che hanno abbracciato la fede cristiana. Il governo indiano è invitato inoltre a mettere fine all’applicazione abusiva delle leggi anti-conversione. In questo momento, Open Doors esorta a mettere al primo posto la preghiera per i cristiani perseguitati per rafforzare le loro speranze e aiutarli a rispondere alla violenza con il messaggio della pace.
a cura di Antonio Dall’Osto