Il Papa a Camerino
2019/7, p. 19
Qualcosa si sta muovendo, ma molto lentamente e in
modo farraginoso e, nonostante le numerose
manifestazioni da parte di associazioni, sindaci e gruppi di
rappresentanti del cratere, la voce della base ci pare
inascoltata.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Intervista alle Clarisse
Il Papaa Camerino
Qualcosa si sta muovendo, ma molto lentamente e in modo farraginoso e, nonostante le numerose manifestazioni da parte di associazioni, sindaci e gruppi di rappresentanti del cratere, la voce della base ci pare inascoltata.
«Cari fratelli e sorelle, sono venuto oggi semplicemente per starvi vicino; sono qui a pregare con voi Dio che si ricorda di noi, perché nessuno si scordi di chi è in difficoltà. Prego il Dio della speranza, perché ciò che è instabile in terra non faccia vacillare la certezza che abbiamo dentro. Prego il Dio Vicino, perché susciti gesti concreti di prossimità. Sono passati quasi tre anni e il rischio è che, dopo il primo coinvolgimento emotivo e mediatico, l’attenzione cali e le promesse vadano a finire nel dimenticatoio, aumentando la frustrazione di chi vede il territorio spopolarsi sempre di più. Il Signore invece spinge a ricordare, riparare, ricostruire, e a farlo insieme, senza mai dimenticare chi soffre».
Con queste parole il papa ha voluto spiegare la ragione della sua visita, il 16 giugno, breve ma intensa. Delle sofferenze e speranze della gente si sono fatte interpreti in questa intervista le suore clarisse che hanno vissuto con la gente il medesimo dramma e spiegano il significato della loro presenza in mezzo ad essa a tre anni di distanza dalla catastrofe.
Le clarissee il terremoto
– Nel 2016 il terremoto ha messo alla prova l'intera regione. Come l'avete vissuto voi?
Purtroppo anche noi, come la maggior parte della popolazione, abbiamo dovuto lasciare la nostra casa: il monastero e la chiesa perché ormai distrutti e completamente inagibili. Grazie a Dio, le nostre Sorelle Clarisse di San Severino Marche ci hanno subito accolte con amore nella loro piccola foresteria, nonostante anche il loro monastero avesse subito seri danni e le zone utilizzabili si fossero ristrette notevolmente, diminuendo così gli spazi a disposizione. Umanamente e spiritualmente il terremoto ci ha fatto toccare la precarietà della nostra vita e la fragilità dei nostri progetti, ci ha fatto sperimentare smarrimento e instabilità, sconforto e sgomento. Tutto questo ha chiesto un cammino ulteriore di fede e di abbandono, per non lasciarci schiacciare dalla sofferenza e dall’angoscia, dalla desolazione per una distruzione che ancora ci circonda a distanza di anni, da quel senso di incertezza e impotenza che, come ferita interiore, si è sovrapposto alle ferite esteriori della terra squarciata, delle case distrutte e delle chiese crollate. Ognuna di noi nella preghiera personale e comunitaria si è chiesta: Signore, che cosa vuoi che facciamo? La risposta è nata con semplicità nel nostro cuore: il Signore è fedele alla sua promessa, Lui non ha giocato con noi! Ogni volta che ritornavamo a Camerino per sopralluoghi o recuperi con i Vigili del Fuoco, le persone che incontravamo ci chiedevano, tra le lacrime, di tornare per poter pregare insieme, per ricominciare ad attingere alla forza tenace e coraggiosa di santa Camilla Battista, per consolidare l’esigenza di stare ai piedi di Colui che è l’unica pietra che non crolla, Colui che solo può ricomporre le nostre macerie. E allora, come piccolo gregge, abbiamo deciso di tornare per rimetterci in cammino insieme ai tanti che si sono trovati nella nostra medesima situazione, per ricominciare un altro viaggio, portando sulle spalle la fatica e il dubbio, la speranza e i suoi “perché”, insieme alla certezza che ogni rinascita reca con sé la gioia della vita che continua, con la sua forza dirompente che apre al futuro.
Il rapportocon i vigili
– Quale rapporto con i vigili e la protezione civile?
Il terremoto, se da una parte ti catapulta in una condizione di precarietà e di disagio, dall’altra può diventare il luogo teologico della riscoperta della Provvidenza, dell’esperienza rinnovata e indelebile di quella beatitudine riservata a coloro che “sono afflitti, perché saranno consolati”. Così è stato per noi. Profonda è la nostra gratitudine per il balsamo della consolazione e dell’aiuto fraterno che in tanti hanno riversato su di noi, e tra questi un ricordo speciale è per i Vigili del Fuoco e i membri della Protezione Civile che, giustamente, sono stati definiti “gli angeli del terremoto”. Anche grazie alla loro generosità, al loro coraggio e alla loro sorridente vicinanza, tante ferite hanno man mano assunto la forma di feritoie di speranza e di grazia. Durante l’emergenza, con la loro calda umanità hanno saputo essere un rassicurante punto fermo e una fonte di incoraggiamento per tanti e anche per noi. Non si sono mai risparmiati né quando dovevano essere messe in salvo le persone, o recuperate preziose opere d’arte, né quando si trattava di mettere in sicurezza strutture pericolanti che stavano crollando.
– Avete voluto tornare al più presto. Che legame avete con la gente? Cosa vi chiedono i fedeli e gli abitanti del posto? E con la Chiesa locale?
Nei due anni di forzato esilio, lontane dal nostro Monastero, dalla nostra città e dalla nostra gente, abbiamo lottato con fatica e tenacia per poter essere nuovamente presenti qui a Camerino, dove abbiamo scelto e voluto fortemente ritornare per condividere la sorte degli ultimi. Infatti, la struttura in cui ora abitiamo, non l’abbiamo pensata solo come una casetta per noi, ma soprattutto come un luogo di preghiera e di accoglienza, una dimora che ha come suo centro una chiesa con un centinaio di posti perché i fedeli, in questo tempo di smarrimento, avessero uno spazio sempre aperto di incontro con Cristo e con santa Camilla Battista, per attingere forza per la loro vita, un luogo in cui sentirsi nuovamente a casa, in cui trovare un abbraccio accogliente e fraterno. Abbiamo quindi cercato di dedicare il maggior spazio possibile alla chiesa – la prima ricostruita in tutta la città – magari sacrificando un po’ i nostri ambienti, sia perché la contemplazione e la liturgia sono il centro e il cuore pulsante della nostra vita e della nostra missione ecclesiale, sia perché Camerino non ha più chiese agibili e abbiamo desiderato offrire a tutti un centro di spiritualità e di comunione, in collaborazione con la Chiesa Locale.
La gente, di fatto, ci chiede di essere luogo di ristoro dello spirito, ma anche di incontro. Il terremoto non solo ha distrutto le case, ma anche gli spazi di aggregazione in cui si costruisce, normalmente, il tessuto sociale. Ecco perché le persone vengono ad attingere alla nostra dimensione fraterna quella bellezza semplice, fatta di relazioni autentiche capaci di accogliere, sostenere e farsi carico delle difficoltà di ciascuno. Spesso ci ripetono: “Voi siete la nostra seconda famiglia”. Questo ci incoraggia a perseverare nelle scelte che abbiamo fatto fino ad oggi, ed è anche il motivo per il quale abbiamo aperto le nostre porte, nel rispetto della nostra vita claustrale, a coloro che volevano incontrarsi e incontrarci, non solo per vivere momenti liturgici, ma anche momenti di condivisione, confronto e dialogo. La gente ha bisogno di sentirsi accolta lì dov’è, senza se e senza ma, e questo interroga noi come comunità e come chiesa sulle modalità e le strade da percorrere, in un continuo discernimento operato nella grazia dello Spirito Santo.
Con questo spirito abbiamo desiderato costruire accanto alla cappella una piccola foresteria per l’accoglienza di quanti bussano alla nostra porta, per i pellegrini o per chi ha bisogno semplicemente di essere ascoltato.
Tutto questo ha comportato il ridimensionamento degli spazi per noi e non è facile vivere la dimensione claustrale in spazi così ridotti, ma questa scelta è il frutto di quel radicamento nel territorio, e nella comunità credente che è proprio di un monastero. La nostra vita è fatta di quel “rimanere” che è proprio di Maria, ed è in questo “stare” che si possono costruire relazioni profonde, sincere. Tanto più che il monastero è inserito nel territorio della città e per questo fortemente legato alla comunità che lo sente come una parte di sé. Inoltre S. Camilla Battista, figlia del signore di Camerino, è da sempre una santa cara ai camerti perché la sua storia è annodata a doppio filo con le vicende della città.
Ma dobbiamo dire, in tutta verità, che se la gente ha bisogno di noi, anche noi abbiamo bisogno della gente, di tutti e di ciascuno, per camminare insieme verso un futuro che speriamo migliore, fatto di case ricostruite e di cuori riconciliati.
La ricostruzionesarà lunga
– La dimensione orante e contemplativa che cosa può dare adesso al lungo e difficile cammino della ricostruzione?
Davvero il cammino della ricostruzione che ci si prospetta è lungo e difficile. La caratteristica propria del terremoto è quella di individuare i punti di fragilità delle strutture e di riversare lì la potenza della sua onda d’urto. E se questo è vero ed evidente per le strutture “fisiche ed esteriori” delle case, delle chiese, dei negozi e dei palazzi, lo è altrettanto drammaticamente, per le strutture più “interiori” degli affetti, delle relazioni, della mente, del cuore, dello spirito… Assistiamo quotidianamente ad un aumento incredibile della mortalità, tante persone - soprattutto gli anziani – si sono lasciate morire, ci sono stati tanti suicidi, lo stress emotivo ha portato al preoccupante diffondersi di patologie mentali e stati d’ansia faticosi da gestire, con il conseguente ricorso a psicofarmaci. Tutto questo si sta poi riversando sulla qualità delle relazioni e sugli equilibri dei legami, così vediamo tante famiglie saltare, lo stesso tessuto comunitario si sta sfilacciando: le persone stanche e sfiduciate tendono a rinchiudersi in se stesse, scivolando a volte nella depressione, nella rabbia o nella rivendicazione e si fa fatica a camminare insieme. Anche la fede è stata duramente messa alla prova e in tanti hanno perso l’orientamento, forse più arrabbiati con Dio che con la natura. Per questo ora è quanto mai necessario prendersi cura di quelle ferite che sono più dell’anima che delle strutture: per ricostruire “fuori”, bisogna prima di tutto ricostruire “dentro”, nell’interiorità del cuore, in quel luogo profondo dal quale nasce ogni fiducia, ogni speranza, ogni nuovo inizio. Tutti proviamo un grande smarrimento nel vedere le nostre belle chiese, le case distrutte e lo spopolamento, lo sfaldamento delle nostre comunità. E se in questo momento non ci aggrappiamo con tutte le forze alla speranza di risorgere dalle macerie, il rischio è che tutto crolli anche dentro di noi.
La vogliadi ricominciare
Ma, se da una parte è palpabile la tentazione della “disperazione”, dall’altra si respira anche la voglia di ricominciare e un sincero bisogno di preghiera.
In questo senso, la dimensione orante può sicuramente offrire un apporto grande al percorso della ricostruzione. Quando si parla della nostra vita contemplativa, spesso si ricorre allo stereotipo di persone ritirate, “morte al mondo” e quindi completamente avulse dalla vita della società. Certamente la donna contemplativa spende nel silenzio e nell’orazione tutto il proprio tempo, ma noi sappiamo che la vera contemplazione di Dio ti spinge sempre verso i fratelli, per portare a loro quello che hai ricevuto incontrando Cristo nella preghiera e nell’ascolto della sua Parola. E allora una claustrale può anche uscire dal suo silenzio per consegnare una parola, come facevano i profeti, o tante sante claustrali che si interessavano della vita sociale politica e morale del paese, intervenendo con quell’autorevolezza mite e forte che nasce dal quotidiano stare alla scuola del Vangelo nell’ascolto dell’umanità. Anche la nostra santa Camilla Battista Varano ha percorso molte volte questa via, come è ampiamente attestato dai suoi scritti. Questo può declinarsi come impegno a sostenere la gente e le stesse amministrazioni, con quella sapienza che viene da Dio, con quello sguardo libero da interessi personali, preoccupato solo del bene di tutti e di ciascuno. Ecco come abbiamo voluto stare accanto ai nostri fratelli, o per meglio dire, abbiamo scelto di “essere con” i nostri fratelli, di pregare insieme a loro, di condividere tutto per camminare insieme e insieme ripartire, con l’impegno e il talento di tutti, tra le lacrime e in ginocchio. Siamo, infatti, consapevoli che la ricostruzione di un’intera città – ancora zona rossa e completamente disabitata nel suo centro storico – è molto dura e faticosa, ma siamo anche fiduciose che, nel Signore Gesù, questa terra ferita potrà essere trasformata in Terra promessa. Qui risiede il senso del nostro rimanere in questa città distrutta, in queste relazioni frantumate, spezzate e sbriciolate come le case dalle quali siamo dovuti uscire scappando.
In tutto questo risuonano più che mai attuali le parole di santa Camilla Battista: lei che per amore di una Chiesa che, nella persona di Papa Alessandro VI Borgia le sterminò l’intera famiglia per convenienze politiche, imparò la “preghiera fino alle lacrime” per la riforma del papato e della comunità credente; lei che dinanzi “a quei prelati indiscreti che sono sì guardiani delle mura cerimoniali della religione, ma non delle mura dei buoni e santi costumi dissipando il gregge del Signore”, scelse la via impegnativa della testimonianza personale per edificare e non distruggere, pur percorrendo anche la strada della parresia della parola, nell’umiltà del non giudizio e nell’obbedienza filiale; lei che dinanzi al terremoto dell’assassinio della famiglia e dell’esilio personale, del buio della fede e dell’angoscia di una vita che è “un continuo venerdì santo” ha saputo mantenere ferma la rotta, consegnandoci una mappa per il nostro andare, siamo certe che abbia tanto da consegnare anche a questa comunità ferita e sfiduciata. La nostra presenza orante, in un contesto dove solo apparentemente i bisogni sembrano più fisici e materiali, ha senso nella misura in cui sa accogliere la chiamata e la sfida ad essere segno di speranza per continuare ad offrire l’esperienza e l’intercessione di S. Camilla Battista come punto fermo, il Cuore di Cristo come dimora sicura per chiunque volesse fermarsi e deporre tutte le sue stanchezze ai piedi del Crocifisso nella certezza che “il Signore ricostruisce la casa del povero”.
- Il card. Bassetti ha richiamato nella sua prolusione all'assemblea CEI i doveri delle amministrazioni in ordine alla ricostruzione. Che percezione avete rispetto alle istituzioni pubbliche?
La Chiesa, nelle sue varie componenti, dal Papa ai vescovi, sacerdoti, claustrali religiosi, religiose e semplici fedeli, ha sempre il compito-dovere di dare una parola che non sia ingerenza nella vita sociale, ma traiettoria da percorrere per il bene dell’umanità. Per esempio, il cardinal Bassetti, visitando le zone terremotate, ha incontrato, come lui stesso ha riferito: “persone sfiduciate, perché le loro casette che sono state probabilmente costruite in modo improvvisato, non reggono o non hanno retto al rigore dell’inverno. La gente soffre – ha evidenziato il cardinale - e ho l’impressione che sia un po’ abbandonata”.
Il ginepraioburocratico
Queste parole coraggiose ci offrono il quadro della situazione. A tutt’oggi la percentuale dei soli lavori di messa in sicurezza realizzati è irrisoria rispetto al totale, la ricostruzione è lontana, sembra più un miraggio che una realtà, le norme sono un ginepraio burocratico che sta bloccando tutto, i sindaci, che sono comunque amministratori di piccoli paesi con piccole risorse, hanno le mani legate, e lo Stato, dopo innumerevoli promesse elettorali, di fatto non ha inserito la questione del sisma neanche nel patto di governo… Qualcosa si sta muovendo, ma molto lentamente e in modo farraginoso e, nonostante le numerose manifestazioni da parte di associazioni, sindaci e gruppi di rappresentanti del cratere, la voce della base che conosce la concretezza delle situazioni e dei bisogni ci pare inascoltata.
Ed è proprio in questo momento di abbandono, che è più che mai concreto il rischio di trasformare la visita del santo Padre in un’occasione mediatica che riaccenda i riflettori su una popolazione dimenticata. Ma noi non abbiamo bisogno di un politico che venga a fare un po’ di clamore o ad elargire promesse a buon mercato, più o meno realizzabili, ma di un padre che non ci faccia sentire più soli.
Lorenzo Prezzi