Camminare insieme
2019/7, p. 5
«Papa Francesco ci ha lasciato un forte impegno», ha
affermato il vescovo Mihai; «non bisogna chiudersi nei
musei, bisogna saper andare oltre. Non si tratta di
ripristinare quello che c’era nel passato, ma di inventare
forme nuove di presenza, anche sociale».
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Testimoni
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Papa Francesco in Romania
CAMMINARE
INSIEME
«Papa Francesco ci ha lasciato un forte impegno», ha affermato il vescovo Mihai; «non bisogna chiudersi nei musei, bisogna saper andare oltre. Non si tratta di ripristinare quello che c’era nel passato, ma di inventare forme nuove di presenza, anche sociale».
Quando arriviamo a Bucarest (4 giugno) sono ancora visibili i segni dell’accoglienza riservata a papa Francesco in terra ortodossa.Giovanni Paolo II, vent’anni fa, era stato accolto come un liberatore; Francesco è visto come uno capace di dare risposta alle sfide di oggi. Radio e TV sottolineavano continuamente la sua “semplicità”.
A Bucarest risiede un decimo dei 19 milioni di abitanti, un quinto dei quali è emigrato all’estero in cerca di lavoro. «È un’ingiustizia non potere avere fonti di lavoro per tanti giovani. ... Voi avete un livello di nascite impressionante: qui non si vede l’inverno demografico che vediamo in Europa» (Conferenza stampa durante il viaggio di ritorno). A Iasi sono rientrati in un anno 10.000 migranti; è una tendenza diffusa. Il Paese deve immaginare anche questo scenario.
Soddisfazione
e impegno
La visita è stata un successo dal punto di vista organizzativo, di “ascolto” e di apprezzamento ed è giustificata la soddisfazione degli organizzatori. Alta la qualità degli interventi – discorsi e omelie –, impreziositi da un approccio rispettoso alle questioni più sensibili e apprezzabili anche per il “non detto”, per aver rinunciato a espressioni potenzialmente divisive. È il frutto di una regia consapevole che ha chiamato all’opera vescovi, teologi, storici con un risultato esplicitamente apprezzato anche dal versante ortodosso.
«Non si è trattato di euforia mondana», ci dice Mihai Cătălin Frățilă, vescovo dell’eparchia greco-cattolica “San Basilio Magno” a Bucarest, «ma di partecipazione profonda alla missione che papa Francesco incarna. La straordinaria accoglienza accordata a papa Francesco da tutte le componenti sociali e religiose non è stata culto della personalità, quanto piuttosto il riconoscimento del suo approccio aderente alla vita».
«Papa Francesco ci ha lasciato un forte impegno», continua il vescovo Mihai; «non bisogna chiudersi nei musei, né indugiare a curarsi le ferite della storia. Bisogna saper andare oltre anche le ingiustizie, bisogna cercare insieme il di più che guarisce. Non si tratta di ripristinare quello che c’era nel passato, ma di inventare forme nuove di presenza, anche sociale».
Camminare...
Le tappe (Bucarest, Sumuleu-Ciuc, Blaj e Iasi) sono unite dal tema del pellegrinaggio. È stato intonato nella cattedrale di san Giuseppe a Bucarest durante l’omelia con l’accento del “camminare insieme”: «Maria cammina e ci invita a camminare insieme. ... Giovani e anziani si incontrano, si abbracciano e sono capaci di risvegliare ognuno il meglio dell’altro. È il miracolo suscitato dalla cultura dell’incontro, dove nessuno è scartato né etichettato, al contrario, dove tutti sono ricercati, perché necessari, per far trasparire il Volto del Signore».
Ha trovato seguito nel santuario di Sumuleu-Ciuc: «Siamo pellegrini. ... Pellegrinare è sapere che veniamo come popolo alla nostra casa. È sapere che abbiamo coscienza di essere popolo».
È stato ripreso durante l’incontro con la gioventù e le famiglie a Iasi: «in questa capitale storica e culturale del Paese [da dove] si partiva insieme – nel Medioevo – come pellegrini per la Via Transilvana, verso Santiago di Compostela».
«È difficile camminare insieme, vero? ... Da dove cominciamo per camminare insieme? ... Voi guardate al futuro e aprite il domani per i vostri figli, per i vostri nipoti, per il vostro popolo offrendo il meglio che avete imparato durante il vostro cammino: che non dimentichino da dove sono partiti. Dovunque andranno, qualunque cosa faranno, non dimentichino le radici. ... Aprire strade per camminare insieme e portare avanti quel sogno dei nonni che è profezia: senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra».
...insieme
Tutti i passaggi della visita sono stati cadenzati dal tema ecumenico, non fosse altro per le aspettative che si erano spontaneamente alimentate in proposito. In Romania, più dell’80% della popolazione si riconosce nella Chiesa ortodossa, il 5,5% aderisce alle Chiese della Riforma e il 5% (8,7% secondo statistiche cattoliche) ai vari riti della Chiesa cattolica (con prevalenza dei greco-cattolici). Le percentuali molto differenti di “pratica” dei fedeli conferiscono alla Chiesa cattolica un’immagine di maggiore vivacità e partecipazione.
Sia la Chiesa ortodossa, sia la greco-cattolica hanno attraversato nel secolo scorso persecuzioni violente. La libertà restituita alle Chiese dalla caduta del regime di Ceauşescu non ha ridato loro la pace e restano tensioni che rallentano il cammino ecumenico e il progresso sociale.
«È necessario camminare insieme, camminare in unità, e proporsi tutti con convinzione di non rinunciare alla vocazione più nobile a cui uno Stato deve aspirare: farsi carico del bene comune del suo popolo. Camminare insieme, come modo di costruire la storia, richiede la nobiltà di rinunciare a qualcosa della propria visione o del proprio specifico interesse a favore di un disegno più ampio, in modo da creare un’armonia che consenta di procedere sicuri verso mete condivise. Questa è la nobiltà di base» (Incontro con le autorità).
Le asperità ecumeniche sono soprattutto a livello istituzionale. Il patriarca Daniel è cresciuto in ambiente ecumenico, ma deve rispondere a un Sinodo che, dopo l’episodio di Corneanu, vede nel dialogo ecumenico un pericolo per l’ortodossia della fede. Da allora, Daniel non ha più pregato con i cattolici, nemmeno durante il tradizionale appuntamento della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Per questo gli sguardi si erano concentrati sulla recita del Padre nostro nella cattedrale di Bucarest (ancora incompiuta e aperta soltanto per l’occasione). «Ho visto, durante la preghiera del Padre nostro, che la maggioranza della gente sia in rumeno, sia in latino, pregava. La gente va oltre noi capi: noi capi dobbiamo fare degli equilibri diplomatici per assicurare che andiamo insieme. Ci sono delle abitudini, delle regole diplomatiche che è bene conservare perché le cose non si rovinino; ma il popolo prega insieme» (Conferenza stampa durante il viaggio di ritorno).
I fedeli da una parte sono obbedienti alle indicazioni dei capi e non condividono né i riti né le opere sociali; dall’altra vivono con leggerezza un ecumenismo di fatto, a livello familiare, dove sono sempre più frequenti i matrimoni interconfessionali e l’appartenenza a confessioni diverse non impedisce una conduzione armonica della vita familiare. Con le nuove generazioni, alcune tensioni si vanno smorzando.
L’incontro nell’incompiuta cattedrale di Bucarest ha rivelato la diversa indole delle parti. Papa Francesco ha proposto una meditazione sul Padre nostro ispirata e carica di afflato.
«Ogni volta che diciamo “Padre nostro” ribadiamo che la parola Padre non può stare senza dire nostro. ... Chiedendo il pane quotidiano, ti domandiamo anche il pane della memoria, la grazia di rinsaldare le radici comuni della nostra identità cristiana. ... Il pane che chiediamo, con la sua lunga storia che va dalla semina alla spiga, dal raccolto alla tavola, ispiri in noi il desiderio di essere pazienti coltivatori di comunione, che non si stancano di far germogliare semi di unità, di far lievitare il bene, di operare sempre accanto al fratello: senza sospetti e senza distanze, senza forzature e senza omologazioni, nella convivialità delle diversità riconciliate».
Il patriarca Daniel – diversamente da quello che papa Francesco pensava – non ha recitato con lui il Padre nostro. Il gesto, assommato alle parole di saluto con le quali giustificava l’accoglienza nella cattedrale come gratitudine per il contributo di 200.000 dollari alla fabbrica e le oltre 400 chiese cattoliche prestate al culto ortodosso della diaspora, è stato interpretato dai più come un messaggio giustificatorio inviato al Sinodo. Da parte ortodossa, molti ritengono che il patriarca Daniel abbia perso un’occasione per qualificare se stesso nella sua Chiesa e la Chiesa ortodossa nel precario contesto ecumenico.
Rivolgendosi al Sinodo, papa Francesco ha riproposto «il tempo di camminare insieme nella riscoperta e nel risveglio della fraternità che già ci unisce. E questo già �� unitate. Camminare insieme con la forza della memoria. ... Camminare insieme nell’ascolto del Signore. ... Camminare insieme verso una nuova Pentecoste».
L’eredità del martirio
A Blaj, la beatificazione dei sette vescovi greco-cattolici martiri, si presentava come un passaggio insidioso per il rischio che si prestasse a forme di rivendicazione e di accuse radicate nel passato. Timori che potrebbero essere all’origine della mancata rappresentanza ortodossa, benché invitata. Papa Francesco ha trasformato i timori in un momento alto di testimonianza anche ecumenica. Non ha nominato il comunismo e ha messo a tema il male in tutte le sue forme: c’è una battaglia spirituale che non avrà mai fine.
«Queste terre conoscono bene la sofferenza della gente quando il peso dell’ideologia o di un regime è più forte della vita e si antepone come norma alla stessa vita e alla fede delle persone. ... Invece la logica del Signore è diversa: lungi dal nascondersi nell’inazione o nell’astrazione ideologica, cerca la persona con il suo volto, con le sue ferite e la sua storia».
«Questi pastori, martiri della fede, hanno recuperato e lasciato al popolo romeno una preziosa eredità che possiamo sintetizzare in due parole: libertà e misericordia». Sono gli orizzonti del cammino che solo se percorso insieme può portare frutto a vantaggio di tutti.
«Oggi un Paese in sviluppo con un alto livello di nascite come voi, con questo futuro, non può permettersi il lusso di avere nemici dentro. Si deve fare un processo di avvicinamento, sempre: tra le diverse etnie, le diverse confessioni religiose, soprattutto le due cristiane… Questa è la prima cosa: sempre la mano tesa, l’ascolto dell’altro. Camminando insieme. Pregando insieme. L’ecumenismo della preghiera. Abbiamo nella storia l’ecumenismo del sangue: quando uccidevano i cristiani non domandavano: “Tu sei ortodosso? Tu sei cattolico? Tu sei luterano? Tu sei anglicano?”. No. “Tu sei cristiano”, e il sangue si mischiava. Un ecumenismo della testimonianza, è un altro ecumenismo. Della preghiera, del sangue, della testimonianza. Poi, l’ecumenismo del povero, come lo chiamo io, che è lavorare insieme ... per aiutare gli ammalati, gli infermi, la gente che è un po’ al margine del minimo benessere. ... Camminare insieme, e questo è già unità dei cristiani. Ma non aspettare che i teologi si mettano d’accordo per arrivare all’eucaristia. L’eucaristia si fa tutti i giorni con la preghiera, con la memoria del sangue dei nostri martiri, con le opere di carità e anche volendosi bene» (Conferenza stampa durante il viaggio di ritorno).
Marcello Matté e Francesco Strazzari