Per una cultura della cura
2019/7, p. 1
Due temi attuali su cui si sono confrontati un centinaio di
superiori generali. La devastazione ecologica in atto un
segno tangibile anche di una generale crisi morale. In
tante persone sessualmente abusate i lineamenti del
Cristo ferito.
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Testimoni
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L’ultima assemblea USG ad Ariccia
SALVAGUARDIA DEL CREATO
E ABUSI SESSUALI
Due temi attuali su cui si sono confrontati un centinaio di superiori generali. La devastazione ecologica in atto un segno tangibile anche di una generale crisi morale. In tante persone sessualmente abusate i lineamenti del Cristo ferito.
Salvaguardia del creato e abusi sessuali sono stati al centro dell’ultima assemblea dei superiori generali, svoltasi ad Ariccia dal 22 al 25 maggio u.s. Due temi solo apparentemente lontani da quelle che potrebbero sembrare le più urgenti problematiche della vita consacrata. Sono invece la conferma di quanto anche i consacrati non possano e non debbano estraniarsi da due gravissime “ferite” che, come si è detto ad Ariccia, chiamano in causa anche tutta la realtà ecclesiale.
Era la prima assemblea gestita dal nuovo segretario generale USG, fr. Emili Turù, ex superiore generale dei fratelli Maristi. Poco più di un centinaio i partecipanti. Sollecitati dagli interventi di alcuni esperti, nella prima giornata dei lavori, hanno provato, come suggerito dal tema dell’assemblea, a mettersi “in ascolto del grido della terra e del grido dei poveri”. L’accostamento “terra-poveri” non è puramente casuale. In una sempre più degradata “salvaguardia del creato”, i primi a subirne le conseguenze, è stato ribadito, sono proprio i poveri.
In attesa del Sinodo
sull’Amazzonia
Quattro anni fa, ed esattamente il 24 maggio 2015, papa Francesco ha pubblicato l’enciclica “Laudato Si’”. Questo documento ha costituito il punto sostanziale di riferimento di tutti gli interventi dei relatori della prima giornata: Felix Mushobuzi, Kureethadam Joshtrom Isaac, Juan Carrasquilla Ossa. Mai come nel caso del tema ecologico si è rivelato prezioso il triplice passaggio: vedere, giudicare, agire. Forse per la prima volta, tanti superiori generali, sollecitati e aiutati anche da una lunga serie di video, slide e panel, hanno potuto confrontarsi seriamente con i contenuti dell’enciclica, considerata, si è detto in assemblea, il testo più importante del XXI secolo sul tema della salvaguardia del creato. La devastazione ecologica in atto è fondamentalmente anche il segno tangibile di una sempre più profonda crisi non solo ambientale, ma anche e soprattutto morale e spirituale. Il testo di papa Francesco obbliga tutti a guardarsi dentro, a non sfuggire alle proprie responsabilità, a non passare alla storia, è stato detto testualmente, come dei “menefreghisti”.
Il problema è grave, molto più di quanto non sembri. Viviamo in una società ferita, ammalata socialmente ed eticamente, in un vero e proprio “ospedale da campo”. Non si può fingere di non vedere un fenomeno devastante come questo. Bisogna capire dove si è sbagliato anche moralmente. Tutti i peccati di mancata salvaguardia del creato, purtroppo, non hanno mai trovato il dovuto spazio nell’ambito della confessione sacramentale. Anche qui, proprio in forza della comune vocazione umana e cristiana, c’è bisogno di una continua e coraggiosa conversione. Non basta interrogarsi seriamente su quanto si fa, al riguardo, come singoli; lo si deve fare anche a livello di comunità e di congregazioni religiose. Siamo di fronte a una questione di coscienza, di responsabilità individuale e sociale. Bisogna cambiare stile di vita. Ma, appunto, una vera conversione ecologica è impossibile senza una profonda e riscoperta sensibilità spirituale.
Un serio banco di prova del livello di consapevolezza di questa sensibilità, è alle porte con il sinodo episcopale sull’Amazzonia dal 6 al 27 ottobre prossimo. I sinodali, fra i quali ci saranno anche 15 superiori generali, proveranno a individuare dei “Nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale” in Amazzonia, anzitutto, ma anche per tutto il resto del nostro pianeta. Tra le prime a muoversi molto responsabilmente, a questo riguardo, sono state le superiore generali. Sheila Kinsey, ne ha parlato ampiamente riprendendo alcuni passaggi della recente XXI “Plenaria”, in cui 850 superiore generali si sono confrontate sul tema: “Seminatrici di speranza per il pianeta”.
Feriti nella vita
e nella fede in Dio
Se il sinodo sull’Amazzonia è davanti a noi, l’incontro in Vaticano sugli abusi sessuali (21-24 febbraio u.s.), voluto convintamente da papa Francesco, è alle nostre spalle. Nell’assemblea di Ariccia ne hanno parlato a lungo quattro diretti protagonisti dell’incontro, due superiore generali (Veronica Adeshola Openibo e Carmen Sammut) e due superiori generali (Michael Brehl e Ernesto Sánchez). Tutti hanno fatto esplicito riferimento ad una dichiarazione congiunta (UISG-USG) sulla protezione dei minori, pubblicata il 19 febbraio u.s., prima ancora, quindi, dell’incontro di Ariccia. Il “punto non negoziabile”, era detto nel titolo stesso della dichiarazione, non lascia adito ad equivoci: “l’abuso dei bambini è un male ovunque e in ogni tempo”.
Gli abusi soprattutto sessuali, è stato detto, hanno notevolmente indebolito la credibilità della Chiesa compromettendone seriamente la sua missione nel mondo di oggi. È un fatto inquietante, ha sottolineato Openibo, che la Chiesa non abbia fatto di tutto per proteggere in modo particolare i suoi membri più giovani e vulnerabili. Non basta oggi vergognarsi del male compiuto. Va fatto di tutto perché la Chiesa riscopra e viva la sua missione nella massima trasparenza, dicendo chiaramente cosa ha fatto e cosa sta facendo, a livello continentale, a questo riguardo. È importante dialogare anzitutto con le vittime, ma anche con tutte le categorie di persone direttamente o indirettamente coinvolte in queste drammatiche vicende. Non serve a nulla nascondere il problema sotto il tappeto. Bisogna arrivare alle cause più profonde, proteggendo consapevolmente e deliberatamente i bambini e gli adulti vulnerabili da qualsiasi abuso anche negli ambienti ecclesiali, nelle scuole, negli ospedali, nelle case/famiglia. Bisogna dialogare per arrivare al fondo di questi drammi, puntando, ad esempio, sull’educazione delle persone anche attraverso le omelie in chiesa, nei seminari, nella catechesi, nei corsi di preparazione al matrimonio e così via.
Se c’è un ambito di formazione permanente per tutti, compresi cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, quello riguardante gli abusi sessuali andrebbe collocato sicuramente al primo posto. Va bandita con ogni mezzo la cultura del silenzio. Solo in base ad una nuova consapevolezza sarà possibile perseguire prospettive di luce e di serenità nel complesso, variegato e non raramente coinvolto mondo ecclesiale.
Non appena varcata l’aula del sinodo, gremita di vescovi e cardinali, Sammut si è posta immediatamente una semplice domanda: «Dove sono i laici, gli uomini e le donne che compongono la maggior parte della Chiesa? Quando si smetterà di identificare la Chiesa con i ministri dell'eucaristia?». Fino a quando i vescovi continueranno a parlare tra loro, difficilmente riusciranno a intercettare le domande e le problematiche del mondo di oggi.
Senza l’aiuto dello Spirito Santo è difficile percepire il “grido dei piccoli” che implorano giustizia. È impressionante la quantità di “feriti” distrutti non solo nella loro vita, ma anche nella loro fede in Dio. Bastava ascoltare, alla sera, la testimonianza diretta di alcune di queste vittime. «Devo confessare d’aver pianto ascoltando le loro storie». Come giustificare il comportamento di tanti ministri della Chiesa capaci di un “accumulo” vero e proprio di abusi nei confronti di vittime innocenti? Di fronte a tanta sofferenza è spontaneo sentirsi impotenti. Nella vita e nel volto di tante persone profondamente colpite dal “peggiore dei mali”, era facile intravedere i lineamenti del Cristo ferito. Troppo spesso le vittime degli abusi hanno sopportato questa sofferenza da sole, nella totale incomprensione, senza aver mai avuto, purtroppo, neanche il coraggio di parlarne.
È difficile superare gli inevitabili sensi di colpa per il mancato, adeguato e doveroso accompagnamento nei confronti di tanti “sopravvissuti” agli abusi sessuali. Quante volte si è preferito negare la gravità del problema, qualificandolo, invece, come un pretestuoso attacco alla Chiesa per averne poi un eventuale ritorno di ordine economico!
Nel confronto diretto soprattutto nei gruppi linguistici, nell’incontro vaticano, c’è stata non solo una progressiva presa di coscienza, ma anche una “conversione” vera e propria nel rapportarsi alla gravità di questi fatti. Certamente gli abusi sono di una gravità assoluta. Ma è ancora più intollerabile, da parte di tanti pastori, il coprire e il non assumersi le proprie responsabilità nei confronti sia delle vittime che degli autori degli abusi. Il problema non si risolve trasferendo queste persone da un posto all’altro, oppure vietando loro ogni forma di impegno pastorale o anche riducendole allo stato laicale. Tutto questo non le garantisce automaticamente di fronte ad eventuali nuove ricadute. L’obiettivo di fondo e più impegnativo è quello di trasformare tutti gli ambienti ecclesiastici in “luoghi sicuri” per i bambini e per gli adulti vulnerabili. Ma fino a che punto si è disposti ad assumersi le proprie responsabilità? Al termine dell’incontro c’è stata, nella Sala Regia, insieme al papa Francesco, una commovente e significativa celebrazione penitenziale, un’occasione in più per rinsaldare un impegno comune a camminare con le vittime degli abusi verso una loro piena guarigione.
Sopravvivere a se stessi
come fantasmi
Per prevenire abusi sessuali, ha affermato Michael Brehl, è indubbiamente importante garantire “luoghi sicuri”, ben sapendo che non lo saranno mai del tutto. È ancora più urgente, tramite un’adeguata formazione iniziale e continua e una indispensabile conversione, dar vita a delle “relazioni sicure”. Ma il cammino da compiere, a questo riguardo, è ancora lungo. Gesù per far comprendere ai suoi discepoli la gravità dello scandalo, ha collocato un bambino in mezzo a loro. Un’immagine pertinente per aiutare a cogliere la gravità degli abusi. Fino a quando non si assumerà un analogo comportamento nei confronti delle vittime e dei sopravvissuti degli abusi, non si va da nessuna parte. Anche se la strada intrapresa in questi ultimi tempi potrebbe essere quella giusta, c’è ancora tanto da fare. La trasparenza, a tutti i livelli, è fondamentale. Al centro dell’attenzione vanno sempre collocate le vittime, non la tutela delle istituzioni religiose. Una più stretta e continuata collaborazione con l’UISG non potrà che giovare alla causa comune.
Pur potendo contare su un ottimo team di collaboratori, anche per Ernesto Sanchez il problema degli abusi sessuali è stato una costante fonte di tensione e di logoramento. Riprendendo alcuni passaggi dei relatori dell’incontro vaticano, ha osservato che la mancata risposta alle tante vittime degli abusi ha ferito profondamente quella parte del popolo cristiano che si è sentito abbandonato dai propri pastori. Di fronte alla gravità degli abusi, nessun vescovo dovrebbe voltarsi dall’altra parte. Ognuno di loro ha una diretta responsabilità su tutta la Chiesa. Senza una urgente riforma strutturale, giuridica e istituzionale, non si va molto lontano.
Anche per Sanchez i momenti più forti dell'incontro sono stati quelli dell’ascolto in diretta delle testimonianze di alcuni sopravvissuti all'abuso. Come nel caso di quella madre di famiglia che all’età di undici anni era stata abusata da un sacerdote della sua parrocchia. Ritrovandosi con un corpo totalmente ferito e umiliato, come non pensare addirittura di essersi lei stessa “immaginato” tutto, di essere stata lei la causa della tremenda sofferenza subìta? Come poteva, una bambina, “capire” cos’era realmente successo?
Sanchez ha sottolineato il silenzio tombale che ha accompagnato non solo il momento di questo sofferto racconto, ma anche quello dell’uscita dall’aula al termine dell’incontro.
Non meno eloquente l’ultima testimonianza diretta, quella di un giovane violinista cileno. Quando si subisce un abuso, ha detto, si vorrebbe “mettere fine a tutto”, “smettere di essere se stessi”, fuggendo “da se stessi”. Col passare del tempo, ci si sente “assolutamente soli”, si diventa “un’altra persona” e si rimarrà per sempre “un’altra persona”. Si sopravvive a se stessi “come un fantasma che gli altri non riescono a vedere”. Si rimane per sempre una persona “estranea”. Ma quello che fa maggiormente soffrire è la consapevolezza che “nessuno ti capirà”, una certezza, questa, che “ti rimane per tutto il resto della vita”. Terminata la sua testimonianza, questo giovane ha eseguito al violino un brano di Bach. In quella melodia non c’era solo un “grido di dolore”, ma anche il desiderio, comunque, di ricostruirsi “una nuova vita”.
Angelo Arrighini