Il volto ostile della nazione
2019/6, p. 24
Gli italiani appaiono oggi incapsulati in una società piena
di rancore e incerta nel programmare il futuro. Lo
sviluppo del Paese continua a essere diffuso e diseguale.
Una lettura dei dati nell’ultimo Rapporto del Censis.
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I dati dell’ultimo Rapporto Censis
IL VOLTO OSTILE
DELLA NAZIONE
Gli italiani appaiono oggi incapsulati in una società piena di rancore e incerta nel programmare il futuro. Lo sviluppo del Paese continua a essere diffuso e diseguale. Una lettura dei dati nell’ultimo Rapporto del Censis.
«La Chiesa ha sempre esortato all’amore del proprio popolo, della patria, al rispetto del tesoro delle varie espressioni culturali, degli usi e costumi e dei giusti modi di vivere radicati nei popoli. Nello stesso tempo, la Chiesa ha ammonito le persone, i popoli e i governi riguardo alle deviazioni di questo attaccamento quando verte in esclusione e odio altrui, quando diventa nazionalismo conflittuale che alza muri, anzi addirittura razzismo o antisemitismo. La Chiesa osserva con preoccupazione il riemergere, un po’ dovunque nel mondo, di correnti aggressive verso gli stranieri, specie gli immigrati, come pure quel crescente nazionalismo che tralascia il bene comune… Lo Stato nazionale non può essere considerato come un assoluto, come un’isola rispetto al contesto circostante. Nell’attuale situazione di globalizzazione non solo dell’economia ma anche degli scambi tecnologici e culturali, lo Stato nazionale non è più in grado di procurare da solo il bene comune alle sue popolazioni. Il bene comune è diventato mondiale e le nazioni devono associarsi per il proprio beneficio» (Papa Francesco, Discorso alla Plenaria della pontificia Accademia delle scienze sociali, 2/5/2019).
Queste affermazioni del pontefice sono un’efficace lente d’ingrandimento per leggere più in profondità le attuali e preoccupanti fibrillazioni del corpo sociale della nazione italiana. Alla luce di diversi Rapporti sulla situazione sociale del Paese di questi ultimi anni, la nazione appare divisa e sfibrata, demotivata e ostile. A questo riguardo il 52° Rapporto del Censis,ci dice senza mezzi termini che siamo passati dal rancore alla cattiveria. Alcuni dati ce lo confermano: per il 75% degli italiani gli immigrati fanno aumentare la criminalità, per il 63% sono un peso per il nostro sistema di welfare. Solo il 23% degli italiani ritiene di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori. E il 67% ora guarda il futuro con paura o incertezza.
Le radici sociali
di un “sovranismo psichico”
La delusione per la mancata ripresa ha incattivito gli italiani. Ecco perché “si sono resi disponibili a compiere un salto rischioso e dall'esito incerto, un funambolico camminare sul ciglio di un fossato che mai prima d'ora si era visto da così vicino, se la scommessa era poi quella di spiccare il volo. E non importa se si rendeva necessario forzare gli schemi politico-istituzionali e spezzare la continuità nella gestione delle finanze pubbliche. È stata quasi una ricerca programmatica del trauma”. Il Censis così dipinge l’attuale fase nazionale di reazione pre-politica con profonde radici sociali, “che alimentano una sorta di sovranismo psichico, prima ancora che politico” e che talvolta assume i tratti della caccia al capro espiatorio. La cattiveria, dopo e oltre il rancore, si dispiega in una “conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”.
Il processo strutturale chiave è l’assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive. L’Italia è il Paese dell'Unione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori. Il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale. Più del 63% degli italiani è convinto che nessuno difende i loro interessi e la loro identità: devono pensarci da soli. Così le diversità dagli altri sono percepite come pericoli da cui proteggersi: il 69,7% non vorrebbe come vicini di casa i rom, il 69,4% non accetta accanto a sé persone con dipendenze da droga o alcol. Il 52% è convinto che si fa di più per gli immigrati che per gli italiani, quota che raggiunge il 57% tra le persone con redditi bassi. Rispetto al futuro, solo il 33,1% degli italiani è ottimista. Cresce un bisogno radicale di sicurezza che minaccia la visione di una società aperta. I più ostili verso gli extracomunitari sono gli italiani più fragili: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78% dei disoccupati. Per il 75% l'immigrazione aumenta poi il rischio di criminalità. Il 59,3% degli italiani è convinto che tra dieci anni nel nostro Paese non si raggiungerà un buon livello d’integrazione tra etnie e culture diverse.
Società piatta
e nazione sovrana
Secondo la ricerca del Censis, sono sotto gli occhi di tutti: squilibrio dei processi d’inclusione dovuto alla contraddittoria gestione dei flussi migratori; insicura assistenza alle persone non autosufficienti, interamente scaricata sulle famiglie e sul volontariato; incapacità di sostenere politiche di contrasto alla denatalità; faticosa gestione della formazione scolastica e universitaria; lentezza della macchina burocratica e della digitalizzazione dell’amministrazione; scarsità degli investimenti in nuove infrastrutture e nella manutenzione di quelle esistenti; ritardo nella messa in sicurezza del territorio o nella ricostruzione dopo devastazioni per alluvioni, frane e terremoti.
Gli italiani appaiono “incapsulati in una società piena di rancore e incerta nel programmare il futuro”. Ogni spazio lasciato vuoto dalla dialettica politica è riempito dal risentimento di chi non vede riconosciuto l’impegno, il lavoro, la fatica dell’aver compiuto il proprio compito di resistenza e di adattamento alla crisi. L'impresa che ha saputo ristrutturarsi (a costo di sacrifici e tagli occupazionali) non trova risposte nella modernizzazione degli assetti pubblici, nel fisco, nella giustizia, nella ricerca. L’operaio, il dirigente, il libero professionista o il commerciante che hanno affrontato la crisi economica hanno atteso, spesso invano, il miglioramento del contesto di vita e di opportunità. Le famiglie e le aziende che si sono sostituite al welfare pubblico hanno sperato in un’uscita dalla provvisorietà, ma hanno finito per rimanere sempre più isolate.
La ricerca ci dice che stiamo muovendoci “da un’economia dei sistemi verso un ecosistema degli attori individuali, verso un appiattimento della società”. In un ecosistema di attori ciascuno afferma un proprio paniere di diritti e perde senso qualsiasi mobilitazione sociale. Ognuno organizza la propria dimensione sociale fuori dagli schemi consolidati: il lavoro dipende da qualche specializzazione e quindi non ha un padrone, ma tanti committenti; convivono interessi diversi e anche contrapposti; non si opera più dentro le istituzioni per cambiarle, ma ci si mobilita al di fuori. All’interno di questo sistema sociale si guarda a una governance che sia autoritaria e dia stabilità. Il popolo sembra ricostituirsi nell’idea di una nazione sovrana supponendo, in modo emozionale, che le cause dell’ingiustizia e della diseguaglianza sono tutte contenute nella non-sovranità nazionale. I riferimenti alla società piatta come soluzione del rancore, e alla nazione sovrana come garante di fronte a ogni ingiustizia sociale, hanno costruito il consenso elettorale e sono alla base del successo nei sondaggi politici in Italia come in altre democrazie del mondo. L’errore attuale, secondo il Rapporto, rischia di essere quello di dimenticare che lo sviluppo italiano continua a essere diffuso e diseguale. Bisogna prendere coscienza del fatto di avere di fronte un ecosistema di attori e processi. “Ritorna il tema dell'egemonia e del ruolo delle élite. Serve una responsabilità politica che non abbia paura della complessità, che non si perda in vicoli di rancore o in ruscelli di paure, ma si misuri con la sfida complessa di governare un complesso ecosistema di attori e processi”.
Un popolo sempre più
ego-centrato
Guardando il Paese sotto l’aspetto dei consumi, si evidenzia che il potere d’acquisto delle famiglie italiane è ancora inferiore del 6,3% in termini reali rispetto a quello del 2008. La forbice nei consumi tra i diversi gruppi sociali si è allargata. Fatta 100 la spesa media delle famiglie italiane, quelle operaie si posizionano oggi a 72 (erano a 76 nel 2014), quelle degli imprenditori a 123 (erano a 120 nel 2014). Il dato dei consumi che non ripartono non può essere spiegato solo dai redditi stagnanti e dall'incertezza.Molti italiani sembrano infatti dire: “se la società è incattivita e ostile, allora tanto vale pensare a me stesso e alla mia famiglia”. Questa logica è amplificata dall’uso delle piattaforme digitali: 9,7 milioni gli italiani sono “compulsivi” nell’uso dei social network (pubblicano di continuo post, foto, video per mostrare a tutti quello che fanno e per esprimere le loro idee); 12,4 milioni li usano per ampliare i propri circuiti relazionali; infine 13,2 milioni leggono i post e guardano le foto degli altri, intervenendo poco o per niente in prima persona.
Crescono allora i consumi che migliorano la qualità della vita, che fanno raccontare noi stessi e il mondo, che ci convincono che grazie a quei prodotti lo miglioriamo. Si va dai consumi dell’io che vuole bene a se stesso (es. prodotti senza lattosio, con farine benessere, integratori) al boom dei prodotti certificati che diventano icone di italianità (vini biologici di origine controllata e con indicazione geografica tipica).
Per catturare mente e portafoglio del nuovo consumatore occorre inseguirlo tra i diversi canali di comunicazione: nell’ultimo anno 23,7 milioni di persone hanno acquistato un prodotto o un servizio perché ne hanno visto o sentito la pubblicità su tv, radio, giornali o riviste; 18 milioni perché ne hanno visto o sentito la pubblicità sui social network; 7,7 milioni perché consigliati da un influencer su blog e social media. Ci sono stati però 17 milioni di persone che non hanno acquistato prodotti perché hanno giudicato la pubblicità fuorviante e quasi 37 milioni che hanno comprato prodotti in autonomia, senza fidarsi di nessun suggerimento.
Incubi e sogni
degli italiani
Secondo il 55,4% degli italiani nel 2018 la situazione economica del Paese è peggiorata. Per il 42,3% è peggiorato anche l’ordine pubblico e il rischio di essere vittima di reati. Nei prossimi mesi la situazione economica peggiorerà ancora per il 48,4% e per il 40,2% peggiorerà anche la sicurezza. Per il 70% nell’ultimo anno sono aumentati gli episodi d’intolleranza e razzismo verso gli immigrati. Le cause sono: difficoltà economiche e insoddisfazione della gente (50,9%), paura di subire reati (35,6%), percezione che gli immigrati in Italia siano troppi (23,4%).
I grandi scienziati, il Presidente della Repubblica, il Papa e i vertici delle forze dell'ordine: questo è il quadrilatero che beneficia ancora della fiducia dei cittadini. Per quanto riguarda il resto delle élite, la fiducia è ai minimi termini verso i vertici dei partiti (4%), i parlamentari (3,2%), i direttori di giornali e telegiornali (3,6%), i banchieri (1,5%). La post-verità ha generato la voglia di figure rassicuranti, che incarnino un senso di responsabilità e siano in grado di trasmettere sicurezza.
Gli italiani non sognano la fuga dalla Ue. Il 66,2% di loro non vuole l’uscita dall’euro e il ritorno alla lira; il 65,8% è contrario al ritorno alla sovranità nazionale con l'uscita dall'Unione europea; oltre il 50% non è favorevole all’idea di ristabilire controlli alle dogane tra i Paesi europei. Però i ceti meno abbienti chiedono che l’Unione europea sia meno disattenta alle loro condizioni.
Ancora secondo gli italiani, per una crescita che non produca esclusi o scarti i fattori irrinunciabili sono: dare più spazio a chi è bravo favorendo i più capaci e i meritevoli (52,1%), realizzare una maggiore uguaglianza e una distribuzione più equa delle risorse (47,8%), avere più welfare e protezione sociale per dare maggiore sicurezza alle persone (34,3%). Concretamente, il 73,9% degli italiani si dice favorevole all’imposizione di una tassa sui grandi patrimoni e il 74,9% all’introduzione di un salario minimo per legge. Nell’immaginario collettivo la sicurezza non gioca contro la libertà individuale: ne è la condizione necessaria per poter sprigionare il potenziale di energie psichiche necessarie per dare concretezza alle aspirazioni di un più alto benessere. Il Paese perciò ha bisogno di una politica che premi l’impegno e promuova la solidarietà, i legami sociali e il senso di comunità.
Mario Chiaro